Global minimum tax, esenzione per multinazionali Usa: cosa succederà adesso? Gli scenari

Economia
©IPA/Fotogramma

Introduzione

Dal 2021, anno in cui l’OCSE ha avanzato un progetto di riforma della tassazione globale delle multinazionali, concordato da oltre 140 Paesi, il panorama intorno alla global minimum tax è cambiato radicalmente, fino all'esenzione delle imprese statunitensi decisa all'ultimo G7. Ecco cosa è successo

Quello che devi sapere

La proposta dell’OCSE sulla global minimum tax

L’iniziativa dell’OCSE del 2021 aveva intorno a sé un clima politico favorevole, come dimostra anche la firma dell’Amministrazione americana, guidata allora dal presidente Joe Biden (non seguita però da una ratifica del Congresso), e aveva due pilastri fondamentali:

  • Rilocalizzazione della tassazione: l'imposizione fiscale avviene dove le multinazionali generano i loro profitti, non solo dove hanno la sede legale;
  • Imposta minima globale: introduzione di un'aliquota minima del 15% per le grandi aziende a livello internazionale

 

Su Insider: Come Trump ha fatto naufragare la tassa minima per le multinazionali

Come si è mossa l’Unione europea

Su questo fronte l'Unione europea ha agito con prontezza, introducendo la direttiva 2022/2523. Oggi, 22 dei 27 Paesi membri hanno già recepito in modo completo il nuovo sistema di tassazione. Alcuni Stati, tuttavia, hanno adottato un approccio più cauto. In Lituania, ad esempio, le normative sono ancora in fase di bozza mentre in Slovacchia due delle tre componenti del tributo sono state posticipate, data la scarsità di grandi gruppi aziendali nel Paese. Altri Stati invece, come Malta, Lettonia ed Estonia hanno preferito ritardare l'adozione delle misure al 2030. Per quanto riguarda l'Italia, la Global minimum tax è stata inclusa nel Decreto Legislativo 209/2023, parte della più ampia riforma fiscale del governo Meloni, e sono già stati pubblicati diversi decreti ministeriali per la sua applicazione

 

Per approfondire:  G7, accordo su global minimum tax con esenzioni Usa. Ocse: "Pietra miliare"

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Come si sono mossi fuori dall’UE

Storia diversa per i Paesi che si trovano fuori dal contesto comunitario. Secondo quanto evidenziato da Il Sole 24 Ore, che ha monitorato la situazione, all’inizio del 2024 i Paesi che avevano attuato almeno in parte la Global minimum tax erano 23. Nell’ultimo anno e mezzo 36 Stati si sono attivati: nove hanno approvato norme già in via di definizione, mentre altri 27 hanno varato nuove norme attuative (anche parziali o in aggiunta a tributi già esistenti). Alcuni di questi sono gli ultimi Paesi ritardatari dell’Unione europea (Grecia, Spagna, Portogallo, Cipro, Polonia e Croazia), mentre altri sono territori d’oltremare e dipendenze della Corona britannica (Gibilterra, Guernsey, Jersey e Isola di Man), oppure Stati del Golfo (Qatar, Emirati Arabi Uniti, Oman). Sono poche, invece, le economie di peso a essersi mosse (Brasile, Canada, Australia)

Cosa è stato deciso al G7

L’ultimo G7, che si è tenuto in Canada lo scorso giugno, ha modificato lo scenario: Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia e Regno Unito hanno accettato (o probabilmente dovuto accettare) l’esenzione delle multinazionali USA, comprese le cosiddette big tech, dal secondo pilastro del sistema di tassazione global, cioè appunto dalla global minimum tax. Un’esenzione che sarebbe dovuta “in virtù delle regole di tassazione minima esistenti negli USA a cui sono soggetti”. Il riferimento è al sistema di tassazione GILTI (acronimo di Global Intangible Low-Taxed Income), istituito negli Stati Uniti nel 2017 durante la prima amministrazione Trump. Questo regime prevede l'imposizione fiscale sui profitti generati all'estero che superano una certa soglia di rendimento. Tuttavia, finora questa imposta, caratterizzata da un'aliquota relativamente bassa, non è stata riconosciuta da altri Paesi come equivalente alla global minimum tax: per questo si era deciso di applicarla anche alle imprese americane

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Cosa potrebbe succedere

Ma quindi, cosa potrebbe succedere adesso? Due gli scenari possibili:

  • Migrazione di imprese: un possibile scenario è lo spostamento di grandi gruppi aziendali verso gli Stati Uniti, attratti da un regime fiscale più vantaggioso. In un contesto simile le imprese europee potrebbero trovarsi in una posizione svantaggiosa, dovendo affrontare i dazi imposti da Trump e, al tempo stesso, competere con aziende americane non soggette alla global minimum tax;
  • Ritorno della concorrenza fiscale: il mancato accordo potrebbe riaccendere la competizione fiscale tra le nazioni. Altri Paesi, seguendo l'esempio degli Stati Uniti, potrebbero introdurre regimi fiscali nazionali simili, invocando così l'esenzione dall'imposta globale

La questione è arrivata alla Corte Ue

A ciò si aggiunge anche la recente decisione della Corte costituzionale del Belgio, che lo scorso 17 luglio ha ritenuto ammissibile il ricorso di alcune associazioni imprenditoriali sulla imposta minima suppletiva e ha trasmesso il caso alla Corte di giustizia Ue, che dovrà valutare la compatibilità di tale imposta con il diritto dell’Unione. Un’eventuale bocciatura della normativa in Belgio avrebbe inevitabili ripercussioni anche negli altri Stati membri

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Le altre decisioni dell'ultimo G7

L'ultimo G7 ha anche raggiunto un'intesa di massima su un approccio chiamato "side by side". Questo significa che si è concordato sulla coesistenza di due sistemi fiscali paralleli: da un lato c’è la minimum tax, promossa dall'OCSE, mentre dall'altro la normativa statunitense, che già dispone di misure per contrastare lo spostamento di profitti verso Paesi con bassa tassazione. Le misure, oltre alla GILTI già citata, includono anche la BEAT (Base Erosion and Anti-Abuse Tax) e la CAMT (Corporate Alternative Minimum Tax). I dettagli tecnici di questo accordo dovranno essere definiti e ratificati a livello internazionale. Secondo la Commissione Europea, le modifiche potrebbero essere inserite come safe harbour, ovvero come misure di semplificazione, in base all'articolo 32 della già citata direttiva 2022/2523

Cosa può cambiare per le imprese italiane

Dall'accordo del G7 emerge che il modello "side by side" potrebbe essere applicato ai gruppi la cui capogruppo, o Ultimate Parent Entity (Upe), ha sede negli Stati Uniti. Questo approccio dovrebbe riguardare specificamente l'imposta minima integrativa (Iir) e l'imposta minima suppletiva (Utpr). L'imposta minima domestica (Qdmtt), invece, continuerebbe ad essere applicata senza cambiamenti. In questo modo le società italiane controllate da gruppi con sede negli USA rimarrebbero soggette all'imposta minima domestica. Tuttavia, sarebbero esentate dalle altre due imposte, grazie anche a una misura safe harbour, in vigore fino al 2026, che sospende l'imposta minima suppletiva calcolata per il Paese della capogruppo

 

Per approfondire: Oggi, lunedì 16 giugno, è il tax day: da imprese e autonomi 42 miliardi all’Erario

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