Stipendi, dal 2026 fine del segreto salariale: le nuove regole previste dalla direttiva Ue

Economia
©IPA/Fotogramma

Introduzione

Il ministero del Lavoro ha avviato un tavolo con le parti interessate in vista del 7 giugno 2026 quando anche in Italia entrerà in vigore la nuova normativa europea sulla trasparenza salariale. Obiettivo primario della direttiva 970/2023 è il contrasto al fenomeno del “gender pay gap”, la differenza percentuale nella retribuzione media percepita tra uomini e donne a parità di mansione. Ecco cosa cambierà negli uffici.

Quello che devi sapere

Differenze tra Paesi, settori ed età

Secondo gli ultimi dati Eurostat, nel Vecchio Continente per ogni ora lavorata una donna guadagna in media circa il 12% in meno rispetto a un collega maschio di pari grado. Differenze sensibili emergono tra i vari Paesi Ue, con Svezia e Lussemburgo dove la forbice risulta più stretta, così come tra i vari settori. In Italia, l’Istat calcola che il “gender pay gap” nel privato sfiora il 16%, dieci punti sopra il pubblico (5,2%). Non solo, i dati dell'osservatorio JobPricing 2023 rilevano un incremento del divario retributivo con l’avanzare dell’età: per le donne over 50 il divario sale a due cifre mentre tra i giovani non va oltre il 6%.

 

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Differenze tra Paesi, settori ed età

Come cambiano annunci e colloqui di lavoro

Una prima novità introdotta dalla normativa Ue sulla trasparenza salariale riguarda la fase di selezione del personale. Nelle offerte dovrà comparire la retribuzione prevista per la posizione aperta così come eventuali voci accessorie in base al contratto collettivo di riferimento. Durante il colloquio non sarà più possibile richiedere al candidato lo “storico salariale” sull'attuale posizione ricoperta così come sui precedenti impieghi.

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Richiesta di informazioni

La normativa apre inoltre alla possibilità di richiedere alcune informazioni al datore di lavoro sui criteri retributivi utilizzati in azienda. In particolare, sarà possibile conoscere dati relativi alla progressione di carriera (come gli scatti di anzianità o le promozioni) su categorie di dipendenti che svolgono lo stesso impiego o uno di pari valore. In ogni caso, la richiesta dovrà sempre rispettare il principio di riservatezza individuale così come previsto dalla normativa Ue sulla privacy (Gdpr). In pratica, sarà possibile sapere il guadagno medio di un collega che ricopre la stessa mansione senza tuttavia arrivare a conoscere nel dettaglio il cedolino della busta paga.

La soglia del 5% nel divario

Scopo della richiesta di informazioni è accertare l’eventuale presenza di un divario retributivo ingiustificato. Secondo la direttiva, se lo stipendio tra colleghi di pari grado supera il 5%, l’impresa è obbligata a intervenire, pena sanzioni. Spetterà all’azienda giustificare il “gap” e dimostrare l’assenza di discriminazioni. In caso contrario, il lavoratore sarà legittimato a chiedere un risarcimento per danno patrimoniale o la riparazione del danno arrecato.

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Chi può fare la richiesta

Come previsto dalla normativa, il lavoratore può avanzare la domanda al proprio datore in autonomia oppure tramite rappresentanti del lavoro o di una commissione per la parità. All’azienda viene riconosciuta la libertà di scegliere il canale di comunicazione per la procedura, per esempio l'email oppure la compilazione di un form online sul sito. Ad essere vincolanti sono invece i tempi di risposta che non potranno superare i 2 mesi dalla richiesta. In caso di mancata (o parziale) risposta, il lavoratore potrà sollecitare chiarimenti entro ulteriori 2 mesi ma solo il sindacato o gli organismi per la parità di genere potranno accedere ai dati reali.

Gli adempimenti delle aziende

Non solo azioni dei singoli lavoratori, la direttiva Ue introduce precisi obblighi a carico delle aziende, a partire dall’attuazione di un monitoraggio interno e la pubblicazione di report periodici sui livelli retributivi. La cadenza da 1 a 3 anni varia in base alla grandezza dell’impresa. Sono esentate dalla compilazione del report le realtà più piccole che dovranno comunque osservare obblighi di trasparenza individuale.

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Meno di 1 impresa su 10 ha un piano

Ma quante imprese sono pronte a "dichiarare guerra" al divario salariale? Secondo l’ultima “Global Pay transparency”, realizzata dalla società di consulenza globale nel capitale umano Mercer, solo il 7% delle attività europee ha previsto un piano strutturato sul tema. “Le più grandi lavorano già da qualche anno per comprendere il fenomeno e gestirlo. Ma sulle più piccole c'è molto lavoro da fare perché sono indietro”, spiega a La Stampa Guido Cutillo, direttore del corso in “Executive compensation e governance” alla Luiss Business School.

Sensibilizzazione sul diritto

Sul fronte della parità salariale, spetterà poi alle stesse aziende informare i propri dipendenti sul nuovo diritto e sulle modalità per esercitarlo. Mentre i direttori del personale dovranno tenere aggiornate le policy interne contro la discriminazione retributiva di genere.


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Come cambiano le risorse umane

Oltre alla maggiore trasparenza, la normativa che gli Stati membri si impegnano a recepire entro giugno 2026 promette cambiamenti significativi sull’intero settore delle risorse umane. Nella selezione del personale le aziende saranno chiamate a valutare in modo ancora più stringente competenze, condizioni di lavoro, impegni individuali e a definire livelli standard di inquadramento nel segno dell’equità di genere. Per Mattia Pirulli, segretario confederale della Cisl, la direttiva va nella direzione di una “maggiore trasparenza salariale ma serve un coinvolgimento attivo delle parti sociali per definire criteri di valutazione del lavoro, strutture di classificazione e definizione di lavoro di pari valore”.

Settore pubblico e cronoprogramma

Le nuove norme si apprestano a investire anche il settore pubblico. Per l’ammissione a gare o concessioni le aziende dovranno soddisfare il requisito della parità retributiva, pena il divieto di accesso a eventuali finanziamenti statali. Entro giugno 2027 le aziende saranno chiamate a ultimare la prima rendicontazione sui livelli retributivi mentre la Commissione Ue ha fissato per il 7 giugno 2031 un primo “tagliando” sugli obiettivi raggiunti.

 

Per approfondire: Ocse, in Italia salari a -7,5% dal 2021: "Crescita sotto la media da 25 anni"

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