Dazi, sarà possibile far cambiare idea a Trump?

Nonostante sia passato ormai qualche giorno dal suo invio, la lettera del Presidente Trump contenente i dazi che dal primo agosto sarebbero imposti sulle nostre esportazioni verso gli Stati Uniti continua a essere letta e riletta per ricavarne il vero significato. È solo un nuovo passo di una negoziazione? Trump fa sul serio? Vuole davvero imporre dazi del 30%? Sarà possibile fargli cambiare idea? La reazione dei mercati è stata contenuta, niente di paragonabile a quella seguita all’annuncio del 2 aprile. Questo suggerisce che sia opinione diffusa che alla fine i dazi imposti sull’Europa saranno molto più bassi di quelli finora considerati. Restano ancora due settimane prima del fatidico primo agosto per cui c’è ancora tempo. Sembra essere questa anche l’interpretazione da parte della Commissione europea che, per ora non ha fatto contro-annunci . Ho sempre pensato che alla fine ci sarebbe stato un accordo su basi eque. E quelle prospettate da Trump ora certo non lo sono. L’ho sempre pensato perché non vedo l’interesse che gli Stati Uniti avrebbero nel rompere l’alleanza tra le due sponde dell’Atlantico che ha caratterizzato gli 80 anni dopo la Seconda guerra mondiale. Ma comincio ad avere qualche dubbio. Avvicinamento o no? Presumibilmente in una negoziazione, dopo un’iniziale differenza, anche forte, le due parti tendono ad avvicinarsi. In questo caso, però, non c’è segno di un avvicinamento, nonostante una delle due parti abbia assunto toni conciliatori. Trump aveva annunciato il 2 aprile dazi del 20%. L’Europa ha fatto concessioni. Due le più rilevanti: ha annunciato che non imporrà la tassa minima del 15% alle multinazionali americane e ha prontamente risposto alla richiesta americana di portare la spesa per la difesa al 5% del Pil. Il risultato è stato che i dazi proposti sono passati dal 20% al 30%. Non è un bel segnale. Ma se non sta cercando semplicemente un “better deal” cosa vuole Trump? Un’interpretazione è che quello cui stiamo assistendo sia semplicemente una manifestazione, sotto nuova forma, di una delle correnti che ha sempre caratterizzato la politica americana, quella dell’isolazionismo e, conseguentemente, dell’autarchia. Gli Stati Uniti non hanno bisogno di altri Paesi. Sono grandi abbastanza per vivere benissimo da soli. Se gli altri poi vogliono avere l’onore di avere a che fare con lo zio Sam, si devono adeguare alle sue condizioni. Altrimenti commercino tra di loro. È vero che negli ultimi decenni l’America ha avuto bisogno delle importazioni da altri Paesi, ma questo dipende solo dagli errori commessi dai predecessori di Trump, troppo deboli e privi di una visione strategica per capire che gli altri Paesi si prendevano gioco degli Stati Uniti. Occorre rendere grande l’America di nuovo, grande e capace di vivere bene ed essere davvero forte senza dover commerciare con gli altri. Occorre far rinascere il settore manifatturiero americano, che ora, in termini di volumi di produzione, vale la metà di quello cinese. Spero che non sia così. Spero che quell’alleanza di valori che hanno caratterizzato gli ultimi ottant’anni sopravviva a questa fase di temporanea incomprensione. Le prossime due settimane saranno decisive non solo per il futuro economico, ma anche per quello politico, del mondo occidentale.

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