Quella linea sottile tra palco e realtà, come è nato il doc di Sky Tg24 “Il sogno bianco”

La quinta è quella zona di confine tra lo spettacolo e la vita. Quell’attimo prima di entrare in scena si è immersi in un’onda di tensione, adrenalina, paure e coraggio. Ma basta un passo e inizia il sogno. IL SOGNO BIANCO – Dietro le quinte de “Il lago dei cigni” alla Scala, il documentario realizzato da Sky Tg24 in collaborazione con il Teatro alla Scala a 150 anni dalla composizione della celebre musica di Pëtr Il'ič Čajkovskij , è nato da qui, dal voler raccontare la magia della danza da quella zona di confine, attraversandola continuamente. Entrando e uscendo dal palco, passando dalla scena alla sala prove e viceversa il più possibile per mostrare quanto sia labile proprio quel confine che separa la cosiddetta finzione dalla realtà. E quanto sia bello e altrettanto affascinante tutto quello che accade dietro e che solitamente non è visibile. Per svelare quella macchina teatrale che non è fatta solo di protagonisti ma anche di sarte, truccatori, direttori di palcoscenico e tante altre maestranze senza le quali nulla sarebbe possibile. “Si fanno i miracoli non solo in palcoscenico!” ha esclamato in sala trucco il primo ballerino Timofej Andrijashenko di fronte a un tutù realizzato dalla sartoria in soli tre giorni. Il documentario non ha seguito né un copione né una sceneggiatura. Siamo giornalisti e siamo abituati a raccontare ciò che accade, nulla di più. Per questo siamo stati insieme a tutto il Corpo di Ballo del Teatro alla Scala diretto da Frédéric Olivieri nei dieci giorni di preparazione a Il lago dei cigni di Rudolf Nureyev, tornato in scena lo scorso luglio. Già, dieci giorni. Una maratona vera e propria per la compagnia, che arrivava da un’impegnativa Paquita firmata da Pierre Lacotte. Una versione, quella di Nureyev, che è in repertorio alla Scala da tempo e che è nelle gambe dei danzatori del corpo di ballo ma che non è mai facile ritrovare per la sua complessità. Non va dimenticato che gli stessi danzatori dell’Opéra di Parigi, quando andò in scena per la prima volta nel 1984, si lamentarono per la difficoltà come ricorda anche il direttore Olivieri che all’epoca era parte della compagnia. Così, merito anche di tutti i maitre che conoscono bene la coreografia, il Lago di Nureyev ha ripreso vita velocemente. In sala e pochissimi giorni dopo nelle prove di scena, fino all’arrivo della prima rappresentazione. Il documentario segue anche nella costruzione l’idea principale di voler attraversare quella linea immaginaria che rappresenta la quinta. Per cui non segue una struttura classica a blocchi ma mischia i vari step anche per esaltare poi il risultato ottenuto in determinati momenti. E per aiutare lo spettatore a capire, passo dopo passo, cosa ci sia dietro quella precisa scena o assolo. Quale preparazione, quale esercizio, quale fatica, quanto sudore. Una fatica e un sudore corale perché il lavoro richiesto al corpo di ballo ne Il lago dei cigni di Nureyev è davvero di una complessità unica. Ci sono tantissime danze nel primo e nel terzo atto. E poi i due atti bianchi richiedono ancora un grande sforzo, anche nello stare fermi e nel gestire quei crampi inevitabili quando si deve restare fermi immobili in posa per tanto tempo. A fare da voce narrante a tutto il documentario i due protagonisti: l’étoile Nicoletta Manni, nel ruolo di Odette/Odile, e il primo ballerino Timofej Andrijashenko, il principe Siegfried. A loro, che sono una coppia sul palco e nella vita, il compito di guidare chi guarda nella magia nascosta dello spettacolo. Ed è grazie alla loro straordinaria capacità comunicativa e alla verità che riescono sempre a portare sulla scena e fuori dalla scena che si perde di vista quel confine tra palco e realtà. E che tutto diventa vero, come in una lunga diretta.

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Quella linea sottile tra palco e realtà, come è nato il doc di Sky Tg24 “Il sogno bianco”

Chiara Ribichini