Introduzione
Un mercato europeo di 450 milioni di abitanti, 100 milioni in più degli Stati Uniti, con disoccupazione ai minimi storici e un tasso di risparmio così alto che ogni anno 300 miliardi d'investimenti degli europei se ne vanno all'estero. Un mercato europeo in cui sono presenti anche dei dazi, vere e proprie "barriere interne" che frenano la crescita prima ancora che per l'offensiva protezionistica di Donald Trump. Ecco come funzionano
Quello che devi sapere
Cosa sono i dazi interni
Ma cosa sono i dazi interni? Si tratta di barriere - normative, di mancati investimenti, di vecchie abitudini e atteggiamenti tesi a 'proteggere' interessi nazionali - in larga parte, appunto, nazionali e non nati a Bruxelles
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Le parole di Giorgia Meloni
"Consideriamo fondamentale, a maggior ragione in un quadro di instabilità dei mercati internazionali, che l'Europa abbia il coraggio di rimuovere quei dazi interni che si è autoimposta in questi anni", ha dichiarato la premier Giorgia Meloni, intervenendo all'Assemblea di Confindustria a Bologna. "Basti questo dato - ha aggiunto -: secondo il Fondo monetario internazionale, il costo medio per vendere un bene tra gli Stati dell'Unione europea equivale a una tariffa di circa il 45%, rispetto al 15% stimato per il commercio interno negli Stati Uniti. Per non parlare dei servizi, dove la tariffa media stimata arriva al 110%: non può essere sostenibile"
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I numeri del Fmi
I numeri del Fmi, squadernati dal direttore Affari europei Alfred Kammer nel dicembre del 2024, dicono che il ritardo di produttività dell'Europa, con un Pil che negli anni ha accumulato un gap del 30% rispetto agli Usa, ruota attorno a barriere interne che "potrebbero essere equivalenti a dazi del 44% sul commercio di beni", e addirittura del 110% sui servizi
Draghi: “L’Europa abbia il coraggio di rimuovere i dazi interni”
Se si vuole ritrovare la crescita occorre rimuovere i dazi interni, aveva detto l'ex presidente del Consiglio Mario Draghi a febbraio, "standardizzare, armonizzare e semplificare le normative nazionali e spingere per un mercato dei capitali più basato sul capitale di rischio"
Quali sono gli ostacoli principali
Ma quali sono gli ostacoli principali? A questo proposito si segnalano:
- Regolamentazioni e standard nazionali eccessivi o divergenti: Anche se l'UE si impegna per l'armonizzazione, rimangono differenze nazionali in aree come la sicurezza dei prodotti, gli standard ambientali, i requisiti di etichettatura e le specifiche tecniche. Se un prodotto deve essere leggermente modificato o nuovamente certificato per soddisfare standard diversi in ogni Stato membro, ciò aggiunge costi e complessità, agendo di fatto come una barriera al commercio;
- Burocrazia e oneri amministrativi: Procedure amministrative nazionali diverse, requisiti di licenza o regole di conformità fiscale possono creare ostacoli significativi per le imprese che operano oltre confine, specialmente per le piccole e medie imprese (PMI);
- Protezionismo nazionale (mascherato): Gli Stati membri potrebbero implementare politiche che, pur non essendo esplicitamente dei dazi, favoriscono comunque produttori nazionali. Questo può avvenire in diversi modi, come regole sugli appalti pubblici, aiuti di Stato (anche se soggetti alle norme dell'UE), o processi di certificazione nazionali eccessivamente complessi che sono più facili da gestire per le aziende nazionali;
- Dipendenze energetiche e delle catene di approvvigionamento: Pur non essendo una "tariffa", la dipendenza da specifiche fonti energetiche esterne o materie prime critiche può creare vulnerabilità interne e svantaggi competitivi per alcune industrie all'interno dell'UE, che alcuni potrebbero inquadrare metaforicamente come un onere economico interno;
- Sistemi e aliquote fiscali nazionali differenti: Pur non essendo dazi, le diverse aliquote IVA o altre imposte nazionali possono complicare il commercio transfrontaliero e talvolta portare a distorsioni;
- Mancanza di piena integrazione in alcuni settori: Alcuni settori, come i servizi o i mercati digitali, non sono integrati quanto il mercato delle merci, portando a maggiore frammentazione e barriere che possono assomigliare a "dazi interni" nel loro effetto economico
Le ragioni delle barriere nazionali
Nei fatti, non è stata l'Ue ad aver eretto gran parte di quelle barriere, ma gli interessi nazionali dei Paesi membri. Il rapporto Draghi della scorsa estate sottolineava sì l'approccio europeo troppo 'regolatore' al digitale, con più di 100 normative specifiche e il solo Gdpr sulla protezione dei dati responsabile di un sovrapprezzo del 20% in più per il costo degli stessi per le aziende europee. Ma proprio Draghi avverte che per stare al passo con gli enormi investimenti americani sull'Intelligenza Artificiale servono enormi capitali di rischio: l'Ue li ha ma sono stretti nei confini nazionali, per farli circolare dovrebbe integrare le Borse e il capitale di rischio, un progetto decennale fermato finora dai veti nazionali
Il monito del Fmi
Il Fondo monetario internazionale va oltre: lasciar fallire le imprese improduttive, far sì che le banche prestino "indistintamente" in tutta Europa così da spalmare rischio e andare dove c'è rendimento. Il contrario delle banche dei 'territori'. Un monito che parla tanto alle normative nazionali difformi quanto anche ai numerosi ostacoli nazionali alle fusioni bancarie transfrontaliere: basta guardare al triangolo Francia-Germania-Italia
A cosa rinunciare
E ancora, nel discorso di Kammer si chiedeva di rinunciare a politiche industriali - anche in questo caso prevalentemente nazionali - "perdenti, volte a tutelare settori maturi: guardare avanti, non indietro". "Rimuovere barriere amministrative all'ingresso". Se comprare su internet in tutta Europa oggi è più facile, comprare un'auto in Europa è persino più difficile: fra gli oneri burocratici rinforzati di recente c'è l'obbligo di targa nazionale per non sfuggire alle polizze italiane spesso più costose, quando negli Usa basta immatricolare in uno dei 50 Stati
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