Pensioni, perché in Italia si lascia il lavoro prima dell’età "legale" dei 67 anni?
EconomiaIntroduzione
Secondo il Rapporto annuale dell’Inps nel nostro Paese l'età effettiva di uscita dal lavoro è di 64,2 anni. Questo dipende anche dalle varie forme di anticipo introdotte negli ultimi anni - come Quota 103, Opzione Donna o l’Ape sociale - che hanno contribuito a far aumentare il numero di chi sceglie di ritirarsi prima.
E, in tema di previdenza, fra i fattori che preoccupano c’è l’andamento demografico: tra il 1960 e il 1965 sono nati circa un milione di bambini l'anno mentre in questi ultimi anni si è scesi sotto quota 400mila. Nei prossimi otto anni la grande maggioranza di queste persone andrà in pensione e nel nostro sistema a ripartizione questi assegni andranno pagati con i contributi di chi resterà al lavoro, a meno di incrementare ulteriormente i trasferimenti dello Stato.
Quello che devi sapere
Il Rapporto dell’Inps
- Il Rapporto annuale dell’Inps ha segnalato che in Italia l'età effettiva di uscita dal lavoro è di 64,2 anni, grazie alle misure che consentono l'anticipo pensionistico rispetto ai 67 previsti per l'età di vecchiaia e che questo, insieme a importi di pensione ancora generosi e superiori di quasi 14 punti a quelli della media europea mette a rischio il sistema. "Le previsioni Eurostat per l'Ue relative agli andamenti demografici fanno presagire un peggioramento del rapporto tra pensionati e contribuenti - scrive l’Istituto - con rischi crescenti di squilibri per i sistemi previdenziali, soprattutto per quei Paesi, come l'Italia, dove la spesa previdenziale è relativamente elevata"
Per approfondire:
Non solo in Italia
- Tuttavia questo fenomeno non è un qualcosa che riguarda solo l’Italia: in Germania l’età per la pensione di vecchiaia è 65,9 anni e quella effettiva 64,2, in Spagna i dati sono 66,2/64 e in Grecia 67/63,8
Per approfondire:
La rubrica di Carlo Cottarelli: "Pil, cosa dice davvero la revisione dei conti pubblici dell'Istat"
I sistemi di uscita dal lavoro
- In Italia oggi si va in pensione di vecchiaia con 67 anni di età e 20 di contributi, in pensione anticipata con 42 o 41 anni e 10 mesi di contributi, e infine ci sono le altre forme di anticipo introdotte negli ultimi anni come Quota 103, Opzione Donna o l’Ape sociale
Sempre più persone scelgono le forme anticipate
- E proprio da queste dipende l’età effettiva più bassa di quella "legale": dal 2013 si è allargato il divario fra chi sceglie la pensione di vecchiaia e chi sceglie quella anticipata
L’andamento delle pensioni anticipate
- Se dal 2012 al 2018 le nuove pensioni anticipate non hanno mai superato quota 300mila, nel 2019 hanno oltrepassato le 500mila per poi scendere leggermente nel 2020 e nel 2021 e calare nel 2022 sotto le 400mila e, infine, nel 2023 poco sopra le 300mila
L’età effettiva in realtà è salita
- Tuttavia in passato l’età effettiva era ancora più bassa rispetto a oggi, addirittura sotto i 60 anni nel 1992 (59,4) e nel 2002 (59,7 anni)
Il nodo di un Paese anziano
- Tutto questo preoccupa l’Inps perché l’Italia è un Paese più anziano di altri: nel 1970 ogni cinque lavoratori c’era poco più di un pensionato, nel 2023 il rapporto era 5 a 2 e nel 2050 diventerà quasi 5 a 4 e servirà quindi pagare più contributi per pagare le pensioni di chi è più anziano
L’andamento demografico
- Nella discussione in vista della Manovra, il tema previdenziale sembra accantonato con la possibilità che ci si limiti a prorogare le misure esistenti quali Opzione donna e l'Ape sociale, oltre a fare piccoli aggiustamenti sulle uscite verso la pensione dei lavoratori pubblici. Ma il tema in prospettiva andrà affrontato visto l'andamento demografico e una crescita occupazionale che, pur sostenuta, non può reggere le pensioni in arrivo dei baby boomer. Negli anni tra il 1960 e il 1965 sono nati circa un milione di bambini l'anno mentre in questi ultimi anni si è scesi sotto quota 400mila. Nei prossimi otto anni la grande maggioranza di queste persone andrà in pensione e nel nostro sistema a ripartizione questi assegni andranno pagati con i contributi di chi resterà al lavoro, a meno di incrementare ulteriormente i trasferimenti dello Stato
Le rassicurazioni dell’Inps
- Va detto che, dopo l’uscita del Rapporto, il presidente dell’Inps, Gabriele Fava, ha rassicurato del fatto che "la tenuta dei conti è assolutamente in equilibrio nel breve-medio periodo", ma una riflessione va fatta e "spetta al legislatore". Poi l’Istituto in una nota ha precisato: "Non si ravvedono problemi di sostenibilità a lungo e breve termine, soprattutto alla luce dei rassicuranti dati provenienti dal mercato del lavoro che nel 2023 ha fatto registrare il numero record di 26,6 milioni di assicurati, con ulteriori potenziali di crescita già riscontrate nei primi 6 mesi del 2024". Inoltre l'età di pensionamento è in linea con quella degli altri Paesi Ue mentre il numero dei pensionati "è sostanzialmente stabile intorno ai 16 milioni, così come il numero delle pensioni liquidate"
Il gender gap nelle pensioni
- Sempre in tema di pensioni, il Rapporto evidenzia anche una situazione ancora irrisolta di gender gap: al 31 dicembre 2023 i pensionati erano circa 16,2 milioni, di cui 7,8 milioni di maschi e 8,4 milioni di donne per un importo lordo complessivo delle pensioni erogate di 347 miliardi di euro. "Sebbene rappresentino la quota maggioritaria sul totale dei pensionati (il 52%), si legge, le donne percepivano il 44% dei redditi pensionistici, ovvero 153 miliardi di euro contro i 194 miliardi dei maschi. Per gli uomini il reddito da pensione è in media di 2.056,91 euro lordi mentre per le donne è di 1.524,35 euro, il 25,9% in meno rispetto agli uomini
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