
Introduzione
Dopo la decisione di Donald Trump sui dazi, è scesa in campo sempre più insistentemente l’ipotesi di tassare il mondo legato alle big tech americane, come contromossa. Si tratterebbe di una tassazione sul “valore digitale” di un Paese, esattamente come se si trattasse dell’estrazione di risorse minerarie o combustibili.
Da anni Regno Unito, Francia e Italia stanno lavorando alle web tax nazionali che oggi però sono a un punto critico. Quali mosse pensa quindi di fare l’Europa? Il 9 aprile, intanto, è prevista l'approvazione dei dazi reciproci annunciati da Bruxelles.
Quello che devi sapere
Le mosse dell'Ue
- La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen guarda anche ai partner europei non comunitari. Non è un caso, quindi, che abbia sentito il premier britannico Keir Starmer, recapitando a Downing Street la "profonda preoccupazione" della Commissione e sottolineando un duplice concetto: "L'impegno" sui negoziati resta ma, al contempo, "l'Ue è pronta a difendere i propri interessi attraverso contromisure proporzionate, se necessario" . La vera sfida, tuttavia, è trovare le contromisure che abbiano il necessario consenso tra i Paesi membri. Non a caso, a Bruxelles si parla più di contromisure che di controdazi, uscendo quindi dal binario della più classica guerra commerciale.
Per approfondire:
Perché i dazi e le politiche di Trump potrebbero causare una fuga dei cervelli dagli Usa
L'ipotesi "web tax"
- Nel mirino resterebbe comunque il settore dei servizi, dove il surplus è nettamente favorevole a Washington. Da qui proprio l'idea di una “web tax” europea, una sorta di equo compenso da far pagare alle Big Tech (come Amazon, Apple, Google, Microsoft, Meta e X). L'idea non è nuova, l'Ocse ci lavora, per esempio, da tempo. E qualcuno, come l'Italia, ha già una digital service tax nazionale.
Lo scenario
- In settimana, intanto, potrebbero arrivare anche le multe per Apple e Meta per aver infranto la legge sui mercati digitali. Si tratta di un dossier separato da quello dei dazi ma che, inevitabilmente, rischia di intersecarsi con i negoziati tra Ue e Usa. Il tempo però stringe e la Commissione è chiamata mettere in campo subito un piano di aiuti alle imprese.
La partita italiana
- Intanto, in Tribunale a Milano, Meta ha lasciato scadere i termini per accordarsi con l’Agenzia delle Entrate sulla contestazione di 887 milioni di Iva non versata (nè dichiarata) tra il 2015 e il 2021. Il punto di partenza della Gdf e della Procura milanese è che lo scambio di dati tra utente e piattaforma digitale è una permuta assoggettabile all’imposta sul valore aggiunto. Meta, a differenza del passato in materia di ricavi pubblicitari, contesta alla radice l’impostazione dell’accusa e andrà a processo. Per Meta (e “X”, indagata per 12 milioni di evasione Iva), il rapporto di accettazione dei servizi tra utente e piattaforma non origina imponibili. Per la Procura milanese, e non solo, l’imponibilità invece è piena non solo nel rapporto B2B, ma anche in quello B2C, e senza conseguenze per il consumatore non partita Iva.
L'approccio di Meloni: "Niente allarmismi"
- La premier italiana Meloni ha definito quella dei dazi “una scelta sbagliata” che non giova né all’economia europea né a quella statunitense. In un’intervista rilasciata al Tg1, la premier ha invitato però a non “alimentare allarmismi”. Intanto, si fanno sempre più insistenti le voci di una possibile missione di Meloni a Washington, proprio per parlare con Trump dei dazi, prima dell'arrivo del vicepresidente americano JD Vance in Italia (programmato tra il 18 e il 20 aprile).
Tajani: "Web tax? Non dobbiamo fare gara a chi mette più dazi"
- Della cosiddetta tassa sui servizi digitali ha parlato anche il ministro degli Esteri Tajani, il 7 aprile: "Siamo ancora in una fase preparatoria, sono tanti gli strumenti che l'Ue avrebbe. Ma qui non dobbiamo vedere chi impone più dazi all'altro, noi dobbiamo fare gli interessi dell'economia occidentale, trovando soluzioni che permettano vantaggi sia agli Usa che all'Ue".
L'iniziativa della Francia
- Anche il ministro francese dell'Economia e delle Finanze Eric Lombard ha suggerito di reagire alle tariffe del presidente Trump regolamentando più severamente l'uso dei dati da parte delle Big Tech statunitensi. "Potremmo rafforzare alcuni requisiti amministrativi o regolamentare l'uso dei dati", ha affermato Lombard in un'intervista con Le Journal Du Dimanche. E ha aggiunto che un'altra opzione potrebbe essere quella di "tassare alcune attività", senza però essere più specifico.
Austria: "Colpire Big Tech se falliscono i negoziati con Usa"
- "L'obiettivo principale sono i negoziati", ha ribadito il ministro austriaco dell'Economia Wolfgang Hattmannsdorfer. Ma "se i negoziati dovessero fallire", un pacchetto di misure dovrebbe "colpire le società tecnologiche".
Irlanda contraria
- Totalmente contraria, invece, è l'Irlanda, come ha detto chiaramente il primo ministro Simon Harris:."Sarebbe una straordinaria escalation in un momento in cui tutti dobbiamo lavorare invece per una de-escalation", ha affermato. L'economia di Dublino del resto dipende pesantemente dagli investimenti Usa, in primis dei colossi americani tecnologici e farmaceutici.
Per approfondire:
Dazi, made in Italy più caro per gli americani: 100 dollari in più all’anno