Perché i dazi e le politiche di Trump potrebbero causare una fuga dei cervelli dagli Usa
Economia
Introduzione
L’introduzione delle tariffe da parte dell’amministrazione Trump ha causato profondi scossoni sui mercati finanziari, e la guerra commerciale potrebbe avere effetti ancora più profondi sul commercio internazionale. Ma non sono solo questi gli ambiti che potrebbero essere travolti dalle politiche dell’attuale inquilino della Casa Bianca. Secondo un nuovo editoriale della prestigiosa rivista Science, firmato da Stefan Raff-Heinen e Fiona E. Murray della MIT Sloan School of Management, le azioni di Trump potrebbero farsi sentire soprattutto sulla competitività degli Stati Uniti nel campo dell’innovazione e nella capacità della superpotenza di attrarre cervelli da mezzo mondo.
I due sottolineano anche come i tagli ai fondi federali per la ricerca “minacciano il motore imprenditoriale alla fonte: i laboratori universitari. Senza un sostegno federale duraturo il Paese rischia di perdere il suo vantaggio tecnologico, minacciando la competitività economica e la sicurezza nazionale”.
Quello che devi sapere
I rischi per la competitività Usa
- Nell’editoriale pubblicato su Science si legge che “gli Stati Uniti attraggono da tempo i migliori talenti in ingegneria e scienza, offrendo opportunità di eccellenza accademica e imprenditoriale, insieme a finanziamenti flessibili in fase iniziale tramite programmi governativi e universitari che si allineano alle esigenze di un progetto man mano che avanza attraverso traguardi tecnologici”. E adesso “è una seria preoccupazione che, con il calo del sostegno governativo, meno scienziati avranno le risorse per perseguire l’imprenditorialità, soffocando l’innovazione e invertendo la tendenza di dottori di ricerca e post-doc che entrano nelle startup”.
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Il rientro dei cervelli in Italia
- La situazione provocata dalla guerra commerciale e dalle altre politiche di Donald Trump, dunque, potrebbe non solo spingere molti ricercatori a trovare fortuna altrove ma anche a rientrare nei loro Paesi di origine dagli Stati Uniti. A sottolinearlo è stata anche la ministra dell’Università e della Ricerca Anna Maria Bernini, che in occasione dell’evento Agenda Sud 2030 ha dichiarato: “Per quanto riguarda Università e ricerca, la guerra dei dazi sta avendo un effetto di ritorno. Ci sta facendo tornare scienziati, studiosi e dottori di ricerca. L’attuale amministrazione americana ha tagliato fondi per la ricerca, mentre noi stiamo investendo. Abbiamo stanziato 11 miliardi sulle infrastrutture di ricerca. Quindi stiamo assistendo a un fenomeno di ritorno perché i ricercatori tornano in Italia perché sono finanziati”.
Come si muovono gli altri Paesi
- L’Italia, comunque, non sembra essere l’unico Paese a muoversi per cercare di accogliere questa possibile onda di studiosi “in fuga”. Sempre Science, in un altro articolo pubblicato sulla rivista, ha sottolineato come la Francia sia stata tra i primi Paesi a fare passi concreti per cercare di sfruttare la potenziale onda in uscita di talenti dagli Stati Uniti. L’Università di Aix Marseille ad esempio ha lanciato un’iniziativa all’inizio di questo mese chiamata Safe Place for Science, che investirà tra 10 e 15 milioni di euro per supportare circa 15 ricercatori.
La situazione in Francia
- Secondo quanto affermato dalla portavoce dell’Università, l’offerta ha finora attirato più di 50 candidati. L’ente “ha già accolto un ricercatore” per una visita. Un’altra università francese, Paris-Saclay, ha dichiarato a Science che potrebbe estendere o lanciare nuove iniziative per supportare i ricercatori statunitensi. E il ministro della ricerca francese ha recentemente inviato una lettera alle università francesi chiedendo “proposte concrete” su come attirare ricercatori dagli Stati Uniti, secondo quanto riportato da France-Presse.
Le mosse dalla Cina
- Le offerte in altri Paesi sono state più dirette: dopo che l’amministrazione Trump ha minacciato di interrompere 400 milioni di dollari di finanziamenti federali per la Columbia University, Yi Rao, neurobiologo della Università di Pechino, ha contattato i ricercatori dell’istituzione per offrire il suo aiuto: “Sono rimasto scioccato nell’apprendere della vasta cancellazione di sovvenzioni e contratti”, ha scritto in un’e-mail vista da Science, aggiungendo che “se un bravo scienziato desidera avere una posizione stabile per condurre ricerche scientifiche, non esiti a contattarmi”.
Dalla Svizzera all’Australia
- All’Università di Losanna l’oncologa Johanna Joyce, presidente eletta dell’Associazione europea per la ricerca sul cancro, ha detto che le candidature spontanee al suo laboratorio da parte di scienziati statunitensi sono aumentate di cinque volte da gennaio. È chiaro per lei che “il futuro di così tanti scienziati negli Stati Uniti e in tutto il mondo è rapidamente diventato molto incerto”. Alcuni esperti di politica hanno poi sostenuto che i governi nazionali dovrebbero fare di più per attrarre talenti stranieri. Danielle Cave dell’Australian Strategic Policy Institute ha spinto affinché l’Australia offra visti o permessi rapidi ai migliori scienziati statunitensi, un’idea che è stata discussa anche in Norvegia e in altri Paesi nelle ultime settimane.
Quanti pensano di lasciare gli Usa
- Secondo Danielle Cave non riuscire a sfruttare la situazione “sarebbe sprecare un’opportunità unica”. E che questa opportunità esiste sembra essere confermato anche dai numeri: secondo un sondaggio condotto da Nature, il 75% dei più di 1600 scienziati che hanno risposto alle domande della rivista sta valutando la possibilità di lasciare il Paese. La tendenza sembra essere particolarmente rilevante tra i ricercatori all’inizio della carriera. Dei 690 ricercatori post-laurea che hanno risposto al sondaggio, 548 stanno pensando di andarsene; 255 dei 340 studenti di dottorato coinvolti hanno detto lo stesso.
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