Dazi, made in Italy più caro per gli americani: 100 dollari in più all’anno
EconomiaIntroduzione
Fino a 100 dollari in più all’anno: questo l’aumento, con i nuovi dazi imposti da Donald Trump, per ogni famiglia americana che vorrà comprare made in Italy. A fare i calcoli è stato il Centro studi di Unimpresa che stima per i consumatori Usa un incremento medio per persona di 15-21 dollari all’anno, ovvero tra 75 e 100 dollari per famiglia. E se si guarda al totale, si arriva fino a 7 miliardi di dollari annui.
Ma, per fare una stima dei contraccolpi dell’effetto dazi per le imprese italiane che esportano negli Stati Uniti, bisogna considerare se e quanto i consumatori americani vorranno cambiare abitudini decidendo di rinunciare a comprare italiano e, soprattutto, cosa non comprare più o di meno.
Quello che devi sapere
L'agroalimentare italiano e l'opinione dei consumatori americani
- La fetta principale del made in Italy è quella dell’agroalimentare italiano: tra il 2023 e il 2024 - in base ai dati elaborati da Nomisma per Centromarca - l’import negli Usa è cresciuto da 6,8 a 8 miliardi di euro. E nel decennio 2014 - 2024 il fatturato grocery è passato da 3,8 a 9,9 miliardi di euro, con una crescita del +161%. Una ricerca condotta in questi giorni negli Stati Uniti da YouGov, per Centromarca, rileva che solo il 16% dei consumatori afferma di essere disposto a pagare di più per acquistare prodotti grocery italiani, mentre il 48% afferma di essere disposto a spendere la stessa cifra che sborsa per altri prodotti. Il 10% vorrebbe investire di meno, mentre il 26% non ha un’opinione precisa. Tra coloro che consumano prodotti grocery made in Italy, il 47% dice che con l’aumento dovuto ai dazi manterrebbe la quantità di prodotti italiani acquistati, mentre il 30% la ridurrebbe.
Per approfondire:
Calo made in Italy, 3 miliardi di perdite con dazi al 10%: già colpiti settori moda e cibo
I primi 5 prodotti made in Italy usati abitualmente negli Usa
- Per una lettura più precisa bisogna tenere conto che circa la metà dei consumatori americani utilizza prodotti alimentari italiani: il 14% lo fa ogni settimana, il 25% mensilmente. Tra i prodotti usati abitualmente, nelle prime cinque posizioni troviamo:
- pasta (50% di citazioni),
- olio di oliva (46%),
- formaggi (38%),
- salse (37%)
- e vino (33%)

Le perdite tra agroalimentare e moda e lusso
- Il Centro studi di Unimpresa calcola che nel solo settore agroalimentare (export di 5-6 miliardi di euro), la riduzione della domanda del 5-10% potrebbe tradursi in un calo di 250- 600 milioni di euro, con 400-600 milioni persi solo nel vino e 100-150 milioni nei formaggi. Duro colpo anche per la moda e il lusso (12 miliardi di euro di export) che rischiano una flessione di 600-1.200 milioni di euro.
Come cambiano i prezzi
- Ma se si va a vedere i singoli elementi, quali saranno gli aumenti? L’incremento medio dei prezzi dei beni italiani dovrebbe attestarsi tra il 15 e il 25%.
- Si potrebbe arrivare a punte del 20% su vini: ciò significa che una bottiglia passa da 20 a 24 dollari, mentre una fascia alta da 50 dollari potrebbe passare a 60 dollari.
- Per l'olio si passerebbe da 15 a 18 dollari al litro. Considerando un consumo medio di 300 milioni di litri annui negli Usa, il costo aggiuntivo per i consumatori si aggira sui 240-300 milioni di euro.
- L’export di formaggi italiani (Parmigiano Reggiano, Grana Padano, Pecorino) vale 550 milioni di euro. Un kg di Parmigiano da 45 dollari al dettaglio salirebbe a 50-54 dollari (+20-25%), con un impatto complessivo di circa 110-150 milioni di euro annui sui consumatori Usa.
- Un prosciutto di Parma da 100 dollari potrebbe arrivare a costare 120
- dollari.
- Per l'abbigliamento da 200 a 240 dollari per una giacca

Le preoccupazioni
- Dal settore del vino, Giovanni Manetti, presidente del Consorzio Chianti Classico, nei giorni scorsi ha fatto sapere: “Siamo certamente preoccupati delle ripercussioni che il 20% di dazi potrà avere sui nostri vini e adesso confidiamo nella diplomazia italiana ed europea affinché questa scelta dell’Amministrazione Trump sia rivista quanto prima. Noi produttori dovremo lavorare per condividere questo gravoso impegno economico con il trade statunitense che riteniamo sia altrettanto colpito da questa imposizione tariffaria. Collaboreremo insieme, convinti che il consumatore americano che da sempre ama e consuma Chianti Classico resterà fedele ai vini di qualità, al Gallo Nero, al nostro territorio che si rispecchia in ogni nostra bottiglia”.
- Mentre Nicola Bertinelli, presidente del Consorzio di tutela del ’Re dei formaggi’, spiega: "Di certo la notizia non ci rende felici, ma il Parmigiano Reggiano è un prodotto premium e l’aumento del prezzo non porta automaticamente a una riduzione dei consumi". Ora "lavoreremo per cercare con la via negoziale di fare capire per quale motivo non ha senso applicare dazi a un prodotto come il nostro che non è in reale concorrenza con i parmesan americani", aggiunge.
Per approfondire:
Vino, in arrivo il nuovo piano Ue: dall'alcol free al Qr code, ecco le misure previste