Pil, cosa dice davvero la revisione dei conti pubblici dell'Istat

Istat dixit. L’ha detto l’Istat e quindi deve essere vero. Con la revisione dei dati di contabilità nazionale per gli ultimi cinque anni emerge un quadro un po’ diverso di come è andata l’economia italiana negli ultimi cinque anni. Vale la pena di sottolineare tre punti. Il primo è una bella notizia. Il volume del Pil nel 2023 e negli anni precedenti è stato rivisto verso l’alto e, conseguentemente, come sottolinea il commento dell’Istat: “il Pil … si è attestato a un livello per la prima volta superiore al massimo raggiunto prima della crisi finanziaria del 2008”. Siamo tornati dove eravamo nel 2007 un po’ prima di quanto avessi segnalato in una nota qui pubblicata in precedenza. Ci sono voluti sedici anni, ma finalmente ce l’abbiamo fatta. La seconda è una brutta notizia, almeno per questo governo. È vero che il Pil è stato rivisto verso l’alto. È vero che dal 2019 siamo cresciuti un po’ più rapidamente della media dell’area dell’euro: tra il 2023 e il 2019 il Pil italiano è aumentato del 4,6% contro il 4% dell’area dell’euro . Ma questa maggiore crescita è interamente dovuta a quanto l’Italia ha fatto prima che l’attuale governo entrasse in carica. L’Istat ha infatti rivisto verso il basso il tasso di crescita del Pil nel 2023 . Per dare a Cesare quel che è di Cesare occorrerebbe però andare a vedere i tassi di crescita del Pil non a livello annuale, ma trimestrale. Quanta è stata la crescita dall’ultimo trimestre del 2022, quanto il governo Meloni fu formato, al secondo trimestre del 2024 ? L’Istat non ha ancora rivisto i dati trimestrali, ma correggendo quelli precedenti in base alla revisione del dato annuale, ho stimato che la crescita cumulata del Pil nei sei trimestri in cui ha operato il governo Meloni è stata dello 0,8% più bassa dell’1% dell’area euro. Intendiamoci, sono piccole differenze. Stiamo sostanzialmente tenendo il passo degli altri paesi europei ed è meglio di quanto avvenne nei primi due decenni di questo secolo quando eravamo il fanalino di coda dell’Europa . Ma i dati Istat non giustificano certo il tono trionfalistico del governo Meloni che ha finora sostenuto che l’Italia stava beneficiando di tassi di crescita doppi di quelli dell’area dell’euro. Non nei 6 trimestri in cui Meloni è stata al governo. Insomma, ci stiamo difendendo ma siamo lontani da una vera svolta che ci faccia recuperare il terreno perso. La terza notizia è buona e cattiva allo stesso tempo. Riguarda il nostro debito pubblico. La revisione verso l’alto del Pil ha comportato una riduzione del rapporto tra debito e Pil che ora è stimato essere stato del 134,6% a fine 2023. Si tratta, più o meno, dello stesso livello di fine 2019. Abbiamo riassorbito la botta del Covid, nonostante deficit pubblici schizzati a livelli che non si vedevano da decenni. Sento già qualcuno dire: vedete che conviene fare più deficit pubblico? Se il deficit aumenta, il Pil è più alto e il rapporto tra debito e Pil non cresce: il maggior deficit si autofinanzia! Questo ragionamento non tiene della parte cattiva delle notizie sui conti pubblici: il rapporto tra debito pubblico e Pil non è aumentato nonostante i deficit elevatissimi per due motivi. Il primo è che i dati sul deficit incorporano già la spesa per i bonus edilizi , mentre i dati sul debito, che riflettono gli squilibri di cassa e non di competenza, li comprendono solo in parte. Il grosso sarà riflesso nel debito solo negli anni a venire. Il secondo motivo è ancora peggiore. Il rapporto tra debito e Pil non è cresciuto anche perché il Pil è stato gonfiato dall’inflazione del 2021-23 . Il valore dei titoli pubblici è stato eroso dall’aumento dei prezzi: è stata la più grande patrimoniale pagata dagli italiani negli ultimi decenni, qualcosa nell’ordine di almeno una decina di punti percentuali di Pil , diciamo intorno ai 200 miliardi. Il risparmiatore italiano ha pagato il conto senza neanche accorgersene. Altro che deficit che si finanzia da solo!