Via della Seta, Italia comunica uscita alla Cina: cos’è e quali sono possibili conseguenze
Nel 2019, sotto il primo governo Conte, era stato firmato il memorandum che andava a gettare le basi per una nuova e rafforzata cooperazione - in primis commerciale - tra Roma e Pechino, nell'ambito del progetto lanciato nel 2013. Eravamo il primo Paese del G7 a fare questa mossa. Adesso siamo il primo Stato a decidere di abbandonare la strada intrapresa
- Se ne parlava da tempo. Adesso è arrivata la conferma: l’Italia si sfila dalla Nuova Via della Seta. La Farnesina ha ufficializzato la volontà di non estendere la durata del memorandum firmato con la Cina oltre la sua scadenza (22 marzo 2024). La comunicazione è stata inviata nei giorni scorsi all'ambasciata della Repubblica popolare cinese. Resta ferma, si chiarisce nella missiva, la volontà di "sviluppare e rafforzare la collaborazione bilaterale" tra i due Paesi. L’Italia è il primo Stato a ritirarsi
- Era il 2013 quando il presidente cinese Xi Jinping, 10 anni dopo ancora saldamente al potere, annunciava la Belt and Road Initiative, nota proprio come la Nuova Via della Seta. Richiamando quella che secoli fa era la fitta rete di vie commerciali cinese, si candidava così a tornare ancora più al centro dell’economia mondiale, partendo dallo sviluppo di collegamenti con Europa, altre zone dell’Asia e con l’Africa (con mire anche verso l'America Latina)
- Il progetto, da centinaia di migliaia di dollari e con centinaia di Paesi aderenti, si sviluppa attraverso vie terrestri – gasdotti, oleodotti, strade, ferrovie e così via – e vie marine, compreso lo sviluppo dei porti, per collegare la Cina ai suoi partner a partire dal Mediterraneo e l’Oceano Indiano. Non solo: nel 2015 è stata lanciata la Digital Silk Road, a sottolineare l’influenza del Dragone nella sfera digitale, dall’e-commerce alle telecomunicazioni e dai pagamenti online ai sistemi di sorveglianza
- Insomma, si punta a un interscambio di merci e progetti più rapido, più efficace e più stretto su ogni fronte possibile. L’Italia ha siglato un memorandum con Pechino nell’ambito della Nuova Via della Seta nel 2019, sotto Giuseppe Conte come premier e Luigi Di Maio come ministro degli Esteri: nessun Paese nel G7 lo aveva fatto prima e non lo ha fatto dopo. Il documento non aveva lo stesso valore di un vero accordo internazionale, ma andava a promuovere la cooperazione tra i due Paesi firmatari in diversi ambiti
- Si gettavano le basi su cui Roma e Pechino avrebbero lavorato insieme su “settori di reciproco interesse”, come infrastrutture e trasporti, commercio, aviazione civile, energia e telecomunicazioni. Decine di altri documenti specificavano più nel dettaglio su cosa si intendesse agire, dal commercio elettrico ai beni culturali e dall’agricoltura alla ricerca
- Subito si erano levate pesanti critiche per la firma del memorandum, anche da parte di Fratelli d’Italia. Come molte forze politiche di altri Paesi occidentali, le opposizioni mettevano in luce che legarsi troppo alla Cina, senza però conoscere le sue vere mire espansionistiche, avrebbe potuto compromettere i rapporti con alleati più tradizionali e non sempre vicini a Pechino. A partire dagli Stati Uniti
- Si era molto discusso ad esempio della possibile cooperazione in tema di telecomunicazioni, alla luce dei rischi di spionaggio da parte di Pechino. Anche per questo si è fatto molto poco nell’ambito del memorandum, che ha ricevuto un’attuazione scarsa e parziale in quasi tutti i suoi ambiti
- Molto si sperava di ottenere dal commercio. Come sottolinea Pagella Politica, le cose non sono andate benissimo: se il valore delle merci in entrata da Pechino, dal 2019 al 2022, è salito da 31,7 a 57,5 miliardi di euro, le esportazioni italiane in Cina nello stesso periodo sono passate solamente da 13 a 16,4 miliardi. In alcuni Paesi che non hanno mai preso parte alla Nuova Via della Seta, la Cina negli ultimi 10 anni ha poi investito più che in Italia: da noi 16 miliardi, nel Regno Unito oltre 50
- Non mancano però adesso le voci di chi pensa che la fuoriuscita dal progetto possa provocare una reazione da parte della Cina. E c’è anche chi parla di possibili rischi per le imprese italiane. In ogni caso, la mossa era data per certa da mesi. La premier Meloni in passato aveva anche parlato del memorandum come di un “errore”
- Senza un rinnovo ufficiale, il governo sperava che il memorandum sarebbe comunque diventato carta straccia. Stando a quanto si apprende – il primo a dare la notizia della fuoriuscita italiana era stato il Corriere della Sera – da Pechino avrebbero richiesto una disdetta formale
- Adesso si punta a non pregiudicare i rapporti. “Abbiamo già convocato per l'anno prossimo a Verona la riunione intergovernativa Italia-Cina per affrontare tutti i temi di commercio internazionale. Continuano ad esserci ottimi relazioni e rapporti, pur essendo un Paese che è anche un nostro competitor a livello globale", ha detto il vicepremier e ministro degli Esteri, Antonio Tajani
- Tra i Paesi europei che hanno preso parte alla Via della Seta c’è il Portogallo, unico Stato dell’Europa occidentale insieme all’Italia. Poi Croazia, Bulgaria, Grecia, Estonia, Lettonia, Lituania, Malta, Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Slovenia. Molti di più i Paesi in Asia, Africa e nella zona del Medio Oriente