Lavoro, ecco perché i salari reali in Italia continuano a diminuire dal 1990. Lo studio
La bocciatura da parte del Cnel dell’istruttoria sul salario minimo legale ha riacceso lo scontro politico, ma il problema delle buste paga troppo basse esiste da diversi anni. Un’analisi del Corriere della Sera spiega le cause del “cortocircuito” che impedisce agli stipendi dei lavoratori dipendenti di aumentare in rapporto al costo della vita
- Il tema stipendi continua a tenere banco nel dibattito politico, dopo che il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (Cnel) ha bocciato la proposta di introduzione di un salario minimo legale caldeggiata da parte delle opposizioni. Ecco perché in termini reali le buste paga dei lavoratori italiani diminuiscono
- Uno studio del Corriere della Sera ha analizzato le cause che impediscono agli stipendi dei lavoratori dipendenti italiani di tenere il passo rispetto all'aumento del costo della vita. Secondo dati Ocse, dal 1990 al 2020 i salari reali, ovvero i salari rapportati ai prezzi, in Italia sono calati del 2,9%. Un calo accentuato nell’ultimo anno: -7,3%, il dato più negativo tra le grandi economie
- In primo luogo pesa l’inflazione, che seppur in discesa resta elevata: a settembre, secondo l’Istat, l’indice dei prezzi al consumo è aumentato del 5,7% su base annua. Il perdurare della guerra in Ucraina e la rapida ripresa post Covid hanno contribuito a impennare i prezzi, da quelli energetici ai generi alimentari
- Per comprendere l’effetto negativo dell’alta inflazione sui salari reali dei lavoratori, l’analisi del quotidiano si concentra sulla bassa produttività, ovvero la quantità di prodotto che si riesce a sfornare nell’unità di tempo
- Secondo dati Eurostat, in vent’anni il livello di produttività è cresciuto in Italia dello 0,33% l’anno contro l’1% della Germania e lo 0,94% della Francia
- La produttività “anestetizza" almeno in parte l’impatto negativo dell’inflazione sui salari. Con un livello adeguato di produttività le retribuzioni potrebbero salire senza innescare un aumento automatico dei prezzi
- In vigore dal 1993, il sistema di contrattazione in Italia ha evitato la spirale negativa tra prezzi e salari con l'obiettivo di stabilizzare i primi
- Di conseguenza i contratti nel nostro Paese vengono rinnovati di norma ogni tre anni: in buona parte a livello nazionale, mentre la contrattazione a livello aziendale è praticata dal 26% delle imprese
- Nei settori dove la produttività è maggiore, come il chimico o il metalmeccanico, il rinnovo è regolare e gli aumenti salariali più consistenti. Dove la produttività è più bassa, come nei servizi, i salari salgono di meno e più lentamente
- Lo studio del Corriere evidenzia l’effetto negativo dei salari reali bassi sull’economia nazionale laddove il 60% del Pil è sostenuto dai consumi interni. Anche a seguito di una raccomandazione Ue del 2016, il Cnel si è candidato per l’Italia a diventare la sede dove elaborare proposte mirate per incrementare la produttività e provare a invertire la tendenza sul peso degli stipendi