
Pensioni 2024, da Quota 103 a Opzione Donna e Ape Sociale: le ipotesi nella Manovra
Il governo Meloni sta mettendo a punto la prossima Legge di Bilancio, che potrebbe destinare fino a 1,5 miliardi agli interventi sulla previdenza in attesa di una riforma strutturale nei prossimi anni. In vista dell’incontro coi sindacati del 5 settembre si fanno strada interventi “chirurgici” come il potenziamento degli strumenti per l’uscita anticipata di donne e lavoratori fragili e l’estensione del contratto d’espansione in azienda. La proposta della Lega per l’introduzione di “Quota 41” non è ancora esclusa

Come prevedibile tramonta l’ipotesi di una riforma strutturale della previdenza, almeno per il 2024. Nel primo Consiglio dei Ministri dopo la pausa estiva la premier Meloni e i ministri competenti hanno iniziato a definire le priorità della manovra che sarà incentrata sul taglio del cuneo fiscale e sui sostegni alle famiglie. Dei circa 30 miliardi stimati si profila una riduzione di risorse per altre misure. Ecco allora quali potrebbero essere gli interventi dedicati alle pensioni
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Attesa per fine settembre, la Nota di aggiornamento al Def (Nadef) metterà nero su bianco le cifre a disposizione dell’esecutivo per ciascuna proposta da inserire nella Finanziaria prima di iniziare l'iter parlamentare. Per le pensioni l’ipotesi al momento è di destinare fino a 1,5 miliardi di euro al netto della indicizzazione dei trattamenti previdenziali all’inflazione
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Con le risorse a disposizione, resta difficile immaginare al momento una riforma strutturale delle pensioni che superi la Legge Fornero anche se, come ha chiarito il ministro dell’Economia Giorgetti, “nessuna riforma previdenziale tiene, nel medio e lungo periodo, con i numeri della natalità che vediamo oggi”. E dunque un intervento organico sarebbe rimandato al 2025

All’incontro coi sindacati in programma il 5 settembre – un secondo tavolo è previsto il 18 – la ministra del Lavoro Marina Elvira Calderone potrebbe presentare proposte con le relative coperture che mirano al potenziamento di strumenti previdenziali già operativi dedicati a categorie specifiche, come lavoratori fragili e donne

Innanzitutto, nel 2024 l’Anticipo pensionistico sociale (Ape) verrebbe prorogato di un anno con l’allargamento della platea dei beneficiari: oggi comprende i lavoratori dipendenti che negli ultimi 6 o 7 anni hanno svolto mansioni gravose, gli invalidi civili al 74%, i dipendenti disoccupati che hanno terminato la Nadef e i caregivers che assistono da almeno 6 mesi

Tra le ipotesi per il potenziamento dell’Ape sociale nella Legge di Bilancio 2024 spunta il coinvolgimento dei professionisti impegnati in attività gravose e usuranti

Una seconda linea di intervento riguarda il rinnovo di Quota 103. L’eventuale proroga di un anno dello strumento che consente di andare in pensione con almeno 62 anni di età e 41 anni di contributi costerebbe “solo” 4 miliardi. Secondo i calcoli della Ragioneria dello Stato, tuttavia, la stabilizzazione di questo strumento è destinato ad appesantire le casse dello Stato: la spesa arriverebbe a incidere dell’8,4% sul Pil

Il governo potrebbe poi allargare le maglie di Opzione Donna dopo la stretta dell’ultima Legge di Bilancio. Tra le ipotesi c’è l’estensione del beneficio che consente alle lavoratrici di ottenere la pensione di anzianità a partire dai 60 anni di età, senza distinzioni legate al numero di figli o alla mansione ricoperta

Strada in salita ma non sbarrata per l'introduzione di Quota 41, la possibilità di uscire dal lavoro con 41 anni di contributi a prescindere dell’età anagrafica. La proposta della Lega potrebbe diventare realtà a partire dal 2025 con costi stimati tra i 4 e i 5 miliardi. In alternativa ci sarebbe l'introduzione per il solo 2024 col rischio di vanificare i risparmi in arrivo dagli anni successivi
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Altre proposte sul tavolo delle pensioni sono indirizzate ai giovani con incentivi alla previdenza complementare per sanare i buchi contributivi causati dalla precarietà. C'è poi l'ipotesi di un potenziamento del contratto di espansione, lo strumento che consente l’uscita anticipata a patto che il datore di lavoro smetta di versare i contributi negli ultimi 3 anni, con risparmi per l’azienda e lo Stato ma con la conseguenza di assegni più leggeri
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