
In Italia oltre mille pensionati al giorno nei prossimi 25 anni: quali sono i rischi?
Oggi si parla di culle vuote immaginando un problema di mancanza di manodopera in futuro, che però c’è già oggi: come sottolineano i dati, il nostro Paese è in testa a tutte le classifiche per percentuali di ultracinquantenni, ultrasessantenni e anche ultraottantenni, mentre resta in fondo per numero di lavoratori. In questo modo il rischio è che il sistema previdenziale vacilli in occasione dell’uscita dal mondo del lavoro di 26,3 milioni di Italiani, nati durante il boom economico

Quando si parla di pensione non si parla quasi mai di come si affronta la fase di invecchiamento della popolazione. L’Italia, secondo i dati del network sanitario Usa NiceRx, è al quinto posto mondiale, dopo Hong Kong, Giappone, Svizzera e Singapore, per aspettativa di vita alla nascita. Un dato che nel 2022 è stimato in 80,5 anni per gli uomini (2,5 mesi in più rispetto all’anno precedente) e in 84,8 anni per le donne
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Come evidenzia Alberto Brambilla, presidente di Itinerari Previdenziali, sul Corriere della Sera, tali aspettative si riducono se pensiamo che la vita in buona salute si riduce a 10,6 anni per le donne e 10,3 per gli uomini: il che è indice di scarsi o inesistenti programmi di screening e di prevenzione da parte sia del sistema sanitario che dei programmi di assistenza sanitaria
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Un evidente rischio, secondo Brambilla, dal momento che senza prevenzione, la spesa sanitaria per le cronicità aumenterà con l’invecchiamento della popolazione. Manca in modo evidente soprattutto una normativa sulla non autosufficienza (Long term care) la cui spesa, all’aumentare degli ultraottantenni, sarà sempre maggiore
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La preoccupazione generale è per le cosiddette “culle vuote”, ma i dati di Eurostat mostrano l’Italia prima in Europa in tutte le classifiche per percentuale di ultracinquantenni, ultrasessantacinquenni e ultraottantenni sul totale della popolazione. Siamo in sostanza i più vecchi d’Europa
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Mancano poi i lavoratori, visto il pensionamento dei nati nel periodo del boom economico: i nati tra il 1946 e il 1964 sono oltre 14 milioni e hanno età tra i 59 anni e i 77 anni; a questi possiamo sommare i nati nella fase finale, cioè fino al 1978, pari a circa altri 12,3 milioni. Significa che nel periodo del boom sono nati ben 26,3 milioni di Italiani, quasi la metà, e che nei prossimi anni ne pensioneremo quasi mille al giorno, per un totale di 8 milioni
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Per questo, osserva Brambilla, i lavoratori non mancheranno domani ma già oggi: i dati evidenziano come l’Italia conti al momento attuale 36,5 milioni di persone in età da lavoro, anche se gli occupati sono appena 23 milioni e471 mila, un record per l’Italia ma che ci pone come valore assoluto all’ultimo posto tra i Paesi europei
L'articolo di Alberto Brambilla sul Corriere della Sera
Il dato di fine 2022 segnala invece che i pensionati erano 16 milioni e 90mila, in aumento di circa 90 mila unità rispetto al 2018. Il rapporto fondamentale per la tenuta dei conti previdenziali, attivi/pensionati è di 1,46: l’obiettivo che l’esecutivo si dovrebbe dare è quello di portarlo almeno a 1,5-1,6, un dato sostenibile che aiuti il Paese in quella che potrebbe essere un enorme fase di pensionamento della popolazione

Le prestazioni pensionistiche non sono mai mancate, ma le scelte sono state spesso sbagliate: come sottolinea Brambilla, il governo anziché prevedere agevolazioni per le imprese per aumentare l’occupazione ha preferito ridurre il cuneo fiscale, prendendosi in carico 6-7 punti di contribuzione previdenziale. Il lavoratore paga, perciò, molto meno ma comunque la pensione resta la stessa

Il costo dell’operazione è di 10 miliardi ma soprattutto, in questo modo, c’è il rischio di compromettere la salute dell’INPS, già gravata dall’eccessiva spesa previdenziale e dalle scappatoie che cercano di mandare le persone in pensione anticipata

A ciò si aggiungono anche le diverse forme di pensionamento e l’esplosione della spesa assistenziale, che include anche invalidità civili, indennità di accompagnamento, pensioni e assegni sociali, integrazioni al minimo, maggiorazioni sociali, 14° mensilità e social card: questo significa spendere ogni anno oltre 48 miliardi, a cui occorre sommare i costi delle varie forme di prepensionamento, a partire dai cosiddetti lavori gravosi. Aggiungendo altre spese diventa un totale di 165 miliardi
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