
Lavoro, in Europa il 12% è precario: in Italia il trend peggiore
Il nostro Paese, con il 13,5%, si colloca al sesto posto in Ue. Forti le differenze territoriali: al Nord il valore si attesta intorno al 14% circa, nel Centro al 16,3%, in linea con la media nazionale, mentre al Sud la percentuale di precari sale vertiginosamente al 23% degli occupati. Ma preoccupa soprattutto la tendenza: il nostro è lo Stato europeo in cui l’incidenza dei lavori a tempo determinato è aumentata di più nel corso dell’ultimo decennio (+3,4% tra il 2013 e il 2022)

In Europa circa un lavoratore su 8 ha un lavoro a tempo determinato, quindi precario. L’Italia si colloca al sesto posto di questa speciale classifica, ma registra la tendenza peggiore tra i 27 Paesi nell’ultimo decennio. Il lavoro subordinato a tempo determinato è più frequente tra le persone giovani, tra chi ha un livello di istruzione più basso ed è più frequente tra le donne rispetto agli uomini. Lo dicono i dati del Eu labour force survey (ovvero rilevamento sulla forza lavoro) di Eurostat sul 2022
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I lavoratori europei con un contratto a tempo determinato sono circa 24 milioni, il 12,1% degli occupati e il 14% di tutti i lavoratori dipendenti. Per gli over 25 la ragione principale è il non aver trovato un’offerta di lavoro permanente, come ha affermato il 37,7% degli intervistati in questa fascia di età
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Analizzando l’ampia fascia sotto i 30 anni, invece, solo il 21,6% attribuisce la causa della precarietà lavorativa alla mancanza di un’offerta a tempo indeterminato. Al contrario, più di un lavoratore su 4 (28,7%) tra gli under 30 indica come causa la sovrapposizione con un percorso formativo in corso
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I dati registrati nel 2022 sono in linea con quelli del 2021 e riflettono un lieve ma costante miglioramento rispetto agli anni precedenti. Nel 2013, i lavoratori europei con contratto a tempo determinato erano il 12,9% del totale, un dato che è cresciuto fino al culmine del 2017, quando i precari erano il 13,8% degli occupati. Un crollo importante si è avuto nel 2020, anche se il dato è solo all’apparenza positivo. La percentuale dell’11,9%, infatti, deriva dal fatto che molti precari abbiano perso il lavoro, uscendo quindi dal novero degli occupati
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Restringendo il campo ai 20 Paesi che usano la moneta unica, si nota come nel 2022 abbiano segnato una percentuale di lavoratori precari pari al 13,2%
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Significativo il caso dei Paesi Bassi dove i lavoratori subordinati a tempo determinato sono il 23,2% del totale, quasi il doppio della media Ue. Seguono Spagna (18,1%), Portogallo (14,3%), Francia e Finlandia (entrambe con il 14%). La precarietà più bassa si registra nei paesi dell’area baltica e in alcuni dell’Europa orientale. Sul podio dei Paesi dove l’incidenza dei contratti a tempo determinato è più bassa troviamo: la Lituania (1,6%), la Romania (1,8%) e la Lettonia (2,4%)

L’Italia, con il 13,5% (16,8% considerando solo i lavoratori dipendenti), si colloca al sesto posto in Ue, ma preoccupa il trend. Il nostro è il Paese europeo in cui l’incidenza dei lavori a tempo determinato è aumentata di più nel corso dell’ultimo decennio: +3,4% tra il 2013 e il 2022. Ancora una volta, rileva l’Istat, pesano le enormi differenze territoriali. Nel Nord della penisola il valore si attesta al 14% circa, nel Centro al 16,3%, in linea con la media nazionale, mentre al Sud la percentuale di precari sale vertiginosamente al 23% degli occupati

L’Italia è lo stato europeo con la quota più elevata di giovani non inseriti in un percorso di formazione che hanno un contratto a tempo determinato: 43,6%, contro una media europea del 25,1%, che è già il doppio rispetto alla media registrata in tutte le età. Al divario territoriale si aggiunge quello di genere. Nel 2022 le donne europee con un contratto a tempo determinato sono state il 2,4% in più degli uomini. In altri anni il divario è stato più ampio (2,8% nel 2009 e 2,5% nel 2010), ma quello del 2022 è comunque il valore più elevato degli ultimi 12 anni

Il gender gap influisce in maniera molto diversa tra i 27 Stati. Cipro registra il dato peggiore con circa 7 punti percentuali di distacco tra donna e uomo, seguito da Spagna, Croazia e Finlandia con più di 5 punti. In Italia lo scarto è del 3,5%, quasi un punto in più della media Ue (2,4%). Solo in 3 paesi, tutti situati in Europa orientale (Romania, Bulgaria e Lettonia), la precarietà risulta maggiore tra gli uomini

In Italia, le donne lavoratrici tra i 25 e i 54 anni rappresentano il 57,4% rispetto all’88,2% degli uomini padri nella stessa fascia d’età. Il 19% ha dichiarato di essersi licenziata di recente o di avere intenzione di farlo nei prossimi mesi, spinta principalmente dalle necessità di prendersi cura dei propri figli. Eppure, dati alla mano, occupazione femminile e numero di figli non mostrano una chiara correlazione lineare
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