Work life balance, come ritrovare equilibrio tra lavoro e tempo libero (anche in vacanza)

Economia
Yara Al Zaitr

Yara Al Zaitr

Nell’arco della nostra vita – secondo Glickon – ognuno di noi passa oltre 90mila ore lavorando. Di queste ogni anno ne trascorre 200 sognando una vacanza. Eppure, quando poi finalmente arriva il momento tanto agognato, quasi nessuno riesce a staccare completamente la testa. Ma perché questo succede? Lo abbiamo chiesto a Monica Bormetti, psicologa del lavoro che ci ha aiutato a costruire una guida per ritrovare un equilibrio sano tra ufficio e vita privata

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"Pensi mai di lasciare tutto e cambiare vita?". "Costantemente, ma non so se avrò mai il coraggio di farlo"

 

Luca non ha nemmeno 30 anni, ma come molti altri suoi coetanei quando gli si parla di lavoro, non ha paura di ammettere che ogni tanto vorrebbe mollare tutto e andarsene. Come lui anche Giada, Monica, Martina e Beatrice. Un sentimento che è raccontato e si concretizza anche in un dato: secondo il ministero del lavoro nel 2022 sono quasi 2,2 milioni le persone che in Italia hanno deciso di dare le proprie dimissioni. Parliamo del cosiddetto fenomeno della Great Resignation, spesso dovuto proprio alla speranza di trovare un equilibro più soddisfacente tra vita privata e lavoro.

 

Non stupisce quindi sapere che il 46% delle persone afferma – secondo Glickon, azienda leader nel mercato software dell’Hr-tech – di essere disposta a cambiare il proprio lavoro, in nome della felicità, anche se questo dovesse significare rinunciare a qualcosa in termini economici o di benefit. E proprio per questo stupisce ancora meno che il 65% abbia ammesso di aver vissuto “con felicità” le proprie dimissioni o il proprio licenziamento.

Lavorare anche in ferie

Nell’arco della nostra vita – come ha rilevato Glickon nel suo Osservatorio – ognuno di noi passa oltre 90mila ore lavorando. Di queste ogni anno ne trascorre 200 sognando una vacanza. Eppure quando poi finalmente arriva il momento tanto agognato, quasi nessuno riesce a staccarsi completamente dal lavoro. In ferie oltre il 40% dei lavoratori controlla le e-mail, mentre il 20% dichiara di sentirsi in dovere di essere reperibile e disponibile. Tanto da portare in valigia con sé, oltre al costume, anche il pc o il telefono aziendale. Insomma, quando si è in ufficio si sogna la spiaggia e viceversa in spiaggia si continua a pensare all’ufficio. Ma perché succede questo? Come mai non riusciamo a staccare completamente la testa? Lo abbiamo chiesto a Monica Bormetti, psicologa del lavoro che si occupa di formazione e coaching su work-life balance e benessere digitale.

 

“Le cause possono essere diverse, però ce n’è una che, dal mio punto di vista, caratterizza il nostro periodo storico e a cui è utile fare attenzione: la nobilitazione della stanchezza – spiega Bormetti. – Mi riferisco a quel fenomeno che il filosofo sud-coreano Byung-Chul Han descrive nel suo libro La società della stanchezza: la tendenza a sentirsi soddisfatti perché si è stanchi e troppo indaffarati. Ecco questo sentirci realizzati perché siamo stanchi e indaffarati, credo non ci porti da nessuna parte. In questo scenario la pigrizia non ha spazio, e invece forse dovremmo fargliene di più.”

 

A tutto questo si aggiunge la società digitale, che tramite smartphone, e-mail, smart working e riunioni online, ha cancellato il confine fisico tra contesto lavorativo e privato, facendo mescolare l’identità della persona a quella del lavoratore. “La tecnologia digitale, per come la stiamo usando finora – aggiunge Bormetti – è molto orientata all'efficientamento e velocizzazione del lavoro. Riunioni online, e-mail continue e ora l'intelligenza artificiale hanno alla base l'idea di aumentare la produttività, non il benessere delle persone.”

 

“Noi esseri umani facciamo fatica a darci un limite in ciò che facciamo quando non c'è un limite posto dall'esterno. Questo è stato dimostrato in psicologia, anche al di là delle nostre abitudini digitali. Il mondo digitale però rinforza questa nostra tendenza, ha fatto cadere tutti quei confini strutturali che fino a qualche anno fa mantenevano una separazione chiara tra il momento del lavoro e quello del tempo libero – racconta Bormetti. – Avere la possibilità di leggere le e-mail dal lettino in spiaggia fa crollare il confine tra lavoro e privato. E il punto è che quando iniziamo a leggere le e-mail dal lettino, andiamo avanti finché non abbiamo la sensazione di aver concluso, di averle smarcate tutte. Cosa che si realizza per qualche minuto, forse qualche ora, e poi il flusso di comunicazioni riprende inesorabile.”

Storie di lavoratori ordinari

La mancanza di un confine ben delineato tra le due vite spesso genera reazioni come stress, burnout, quiet quitting e infine great resignation. “La vita milanese stressa ed è fondamentalmente basata sul vivere per lavorare – ci racconta Martina, che vive da anni a Milano e che ha deciso di cambiare azienda proprio per i ritmi insostenibili. – Nel lavoro che avevo prima mi è capitato eccome di pensare che il lavoro avesse il sopravvento. La mia vita privata praticamente non esisteva. E anche la mia salute è stata in parte compromessa per un periodo a causa del troppo lavoro. Il lavoro dovrebbe essere una delle tante parti della giornata e non quasi la sua totalità. E invece purtroppo è così.”

 

“Mi è capitato di essere stressata a causa del lavoro. E così ho capito che quel posto e quel lavoro non facevano più per me – ci racconta Giada, professionista nel mondo della comunicazione. – Non ero più disposta ad accettare quelle condizioni e con un po’ di amarezza sapendo che la situazione, dopo averla affrontata più volte, non sarebbe mai potuta cambiare, ho deciso di cambiare io. Mi sono rimboccata le maniche e ho reagito cercando un nuovo lavoro.”

 

“Vita privata e lavoro sono interdipendenti: spesso finisco col gestire la seconda in base agli impegni lavorativi” ci spiega Beatrice, che per riuscire ad arrivare a fine mese si destreggia tra due lavori. Così come fa Monica, sempre di corsa per prendere un treno o un volo, per inseguire una passione che è diventata la sua professione, ma che non è sempre facile da gestire: “la maggior parte delle volte il mio lavoro condiziona la mia vita privata e di conseguenza il mio umore e le relazioni con le altre persone.”

 

Il problema, quindi, per molti non è quello di non amare il lavoro che si svolge, ma quello di non riuscire a staccarsene, nemmeno in ferie, a casa o in famiglia. “Mi capita spesso di essere stressata – ci racconta Manar, addetta all’ufficio personale, ma anche mamma. – Mi capita di saltare il pranzo per il troppo lavoro e alcune volte sono così stressata da non riuscire a mangiare nulla per l’intera giornata. Una sorta di stretta allo stomaco. Mi rendo conto certe volte che la mia giornata è dedicata al 80% al lavoro, la piccola parte restante alla casa e alla famiglia. Mi capita spesso di ripensare alle priorità e di chiedermi se è veramente necessario dover lavorare così tanto.”

 

“Per quanto riguarda le ripercussioni sulla vita privata, mi è capitato di risentire delle troppe cose da fare in determinati periodo dell’anno, in particolare durante le feste natalizie o pasquali – ci spiega Valentina, giornalista giovanissima che per tentare di sfondare nel settore fa tre lavori diversi. – Ho un lavoro che purtroppo non ha grande flessibilità e spesso sono stata costretta a rinunciare alla famiglia per non far saltare turni in giorni festivi.”

 

“Negli ultimi mesi non ho parlato con una sola persona soddisfatta della propria vita lavorativa per una ragione o per l’altra, spesso proprio per il carico di lavoro – dice Vittoria, humanitarian aid worker. – Quando sono in ferie controllo il telefono se mi arrivano messaggi di lavoro, perché so che potrebbero esserci delle urgenze. Ci sono alcune attività da cui non riesco proprio a staccare. Non so dire se sia sano, ma non mi pesa, perché sono più tranquilla a sapere quello che sta succedendo.”

 

“Sapere che passiamo 90mila ore della nostra vita a lavorare mi fa molto effetto – commenta Omar, ingegnere aerospaziale – e mi spinge a voler trovare una via di fuga a questo sistema. Non penso che lasciare tutto sia la strada giusta per cambiare vita, perché in qualche modo bisogna comunque guadagnarsi da vivere. Però sicuramente penso al fatto di cambiare la mia vita e di ricercare l’indipendenza economica.”

Ritrovare un equilibrio

Come possiamo fare quindi per ritrovare un equilibrio tra lavoro e vita privata? Secondo Monica Bormetti, psicologa che dedica la sua professione proprio ad aiutare i lavoratori a ritrovare la serenità, l'equilibrio è uno stato di perenne movimento. “Non si tratta quindi di una condizione statica che una volta conquistata non ci abbandonerà più. L’essere umano vive di ciclicità. In questa ciclicità ci sono fasi differenti: quella del fare, del lavoro, dell’operosità, della produttività e poi la fase dell’essere, della contemplazione, dell’introspezione. La fase del fare e del lavoro esiste perché esiste il suo opposto, cioè la fase dell’essere e del privato.”

 

“Il primo passo – consiglia Bormetti – è quello di imparare a ritagliarsi nella quotidianità piccoli momenti per essere e non per fare, in cui la nostra sfera privata non viene fagocitata giorno dopo giorno. Parlo di piccoli momenti perché spesso c'è l'idea di dover staccare del tutto la spina in ferie, per esempio, e poi però immergersi nel lavoro al 100% il resto dell'anno. L'equilibrio invece lo troviamo con micro-azioni quotidiane: prenderci il tempo per consumare un pasto con calma, fare due passi uscendo dall'ufficio per distenderci, fare una chiacchiera con un amico.”

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Cambiare insieme

Perché l’equilibrio individuale si raggiunga però è importante anche crearne uno collettivo, che riguardi la macro-sfera aziendale e non solo quella del singolo dipendente. “Un’altra cosa importante che si può fare – continua Bormetti – è quella di favorire la sicurezza psicologica, ovvero quel senso di serenità nell'esprimere idee e preoccupazioni, senza il timore di essere zittiti o non ascoltati. Creare un luogo di lavoro con un buon livello di sicurezza psicologica influenza significativamente il binomio produttività e benessere.”

 

Ma non solo, perché è fondamentale anche imparare a organizzare il tempo on e off collettivamente, raccomanda Bormetti. “In occidente siamo molto abituati a pensare alla gestione del tempo come un elemento individuale, per esempio prendendosi un giorno a settimana per fare determinate attività. In realtà ci rende molto più sereni organizzare il tempo in accordo con colleghi o l'azienda, per esempio stabilendo per tutti che un giorno a settimana non si fanno riunioni, o che non si risponde alle e-mail dopo un certo orario. Tutto ciò funziona quando è un'azione collettiva.”

 

Un’altra soluzione che stanno sperimentando diversi Stati e aziende e che si sta rivelando utile su produttività e benessere è quella della cosiddetta settimana lavorativa corta, ovvero un modello dove il lavoro viene organizzato in 4 giorni invece che nei canonici 5, a cui siamo abituati. “La nostra mente non può essere focalizzata e produttiva a lungo, – spiega Bormetti – quindi concentrare in meno tempo lo stesso lavoro ottimizza quel tempo e ci permette di dedicare più spazio nella vita a noi stessi.”

 

La chiave, quindi, è quella di ripensare il nostro modo di lavorare, considerando nella formula anche però la nostra sfera privata e la nostra serenità. In cinque brevi consigli, insomma, conclude Bormetti, dobbiamo: imparare ad accogliere la pigrizia quando serve, senza denigrare il “non fare nulla”, trovare e coltivare piacere in qualcosa che ci appassiona, fissare dei limiti sostenibili quando lavoriamo, delegare e imparare a dire di no, e soprattutto praticare il self-care, mettendo al primo posto la propria salute fisica e mentale.

 

*tutti i nomi dei lavoratori sono nomi di fantasia

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