Lavoro, stipendi più alti ma l’inflazione rende più poveri. Ecco i più colpiti
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Carovita, nonostante gli aiuti stipendi ancora indietro
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Introduzione
Si lavora e si portano a casa stipendi che sulla carta sembrano più alti rispetto all’anno scorso. Eppure, apriamo il portafoglio e sembra un’illusione: la sensazione di essere più poveri è una realtà. Ecco tutti i dati
Quello che devi sapere
La discesa del reddito e gli effetti
- Nel 2023, per il secondo anno consecutivo, il reddito delle famiglie italiane è sceso in termini reali dell’1,6%. Che quello che ci entri in tasca vale meno non è solo l’Istat a ricordarlo, ma la vita quotidiana. A fare più male è l’inflazione, salita al 5,9%, che ha eroso il potere d’acquisto ben oltre la crescita nominale dei redditi (+4,2%). Chi ne paga di più le conseguenze? I lavoratori autonomi, già colpiti da una contrazione dei redditi che si trascina da anni, e le famiglie del Nord-Est e del Centro, dove la perdita è stata più marcata
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La disuguaglianza si allarga
- Questo comporta un allargamento delle disuguaglianze: nel 2023, il reddito dei nuclei più abbienti è stato 5,5 volte più alto di quello delle famiglie più povere, un divario in crescita rispetto all’anno precedente (5,3 volte). Mentre il costo della vita accelera, chi già faticava a sbarcare il lunario ora deve fare i conti con una realtà ancora più dura
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Una distribuzione non omogenea
- Se il reddito medio delle famiglie italiane si attesta a 37.511 euro annui, è bene ricordare che la distribuzione è tutt’altro che omogenea. Anzi, il 50% delle famiglie non supera i 30.039 euro l’anno (2.503 euro al mese), e per molti questa cifra è ben lontana dall’essere sufficiente. Nel 2024, il 23,1% della popolazione è a rischio di povertà o esclusione sociale, una percentuale in leggero aumento rispetto al 2023 (22,8%). Parliamo di oltre 13 milioni e mezzo di persone che si trovano in una delle seguenti condizioni: reddito insufficiente, grave deprivazione materiale e sociale, o bassa intensità lavorativa
Famiglie numerose e anziani i più colpiti
- Le famiglie numerose e i monogenitori sono tra i più colpiti. Il rischio di povertà o esclusione sociale ha raggiunto il 34,8% per le coppie con almeno tre figli (contro il 32% del 2023) e il 32,1% per i genitori single, con una crescita di tre punti percentuali in un solo anno. Una situazione che evidenzia quanto conciliare lavoro e famiglia sia ancora un’impresa ardua in Italia. Anche gli anziani soli sono sempre più vulnerabili: il 29,5% degli over 65 che vivono da soli è a rischio povertà, una percentuale in aumento rispetto al 27,2% del 2023
Il problema del lavoro
- Se un tempo l’impiego era la garanzia di una vita dignitosa, oggi non è più così: il 9,2% della popolazione vive in famiglie a bassa intensità di lavoro, dove gli adulti tra i 18 e i 64 anni hanno lavorato meno di un quinto del tempo disponibile nel 2023. Questo problema è particolarmente diffuso tra i giovani under 35 che vivono soli (15,9%) e tra i genitori single (19,5%). La precarietà e i contratti part-time involontari hanno reso il mercato del lavoro un campo minato, dove anche chi lavora fatica a tenere il passo con le spese
Le zone con le disuguaglianze più forti
- Il Nord-Est è la zona con la minore incidenza di rischio di povertà o esclusione sociale (11,2%), mentre il Mezzogiorno continua a registrare percentuali drammatiche (39,2%). Eppure, proprio nelle regioni settentrionali il calo del reddito reale è stato più marcato: nel Nord-Est si è registrata una flessione del 4,6%, seguita dal Centro (-2,7%), mentre nel Sud il calo è stato più contenuto (-0,6%) e nel Nord-Ovest si è vista una lieve crescita (+0,6%). Il paradosso è evidente: le aree più ricche subiscono un impatto maggiore sui redditi, ma partono comunque da una condizione di vantaggio rispetto al Sud
Il peso delle pensioni
- A completare il quadro c’è il peso delle pensioni. Se per i lavoratori autonomi la perdita di potere d’acquisto è stata significativa (-17,5% rispetto al 2007) e anche i lavoratori dipendenti hanno visto un calo (-11%), chi vive di pensioni ha visto un aumento del reddito del 5,5%. Questo spiega perché il rischio di povertà o esclusione sociale si attesti al 33,1% tra chi dipende da pensioni e trasferimenti pubblici, mentre diminuisce per chi ha un reddito da lavoro dipendente (14,8%)
L’erosione del potere di acquisto
- A conti fatti, guadagniamo di più, ma possiamo permetterci di meno. Il dato più eloquente è quello della perdita complessiva dei redditi in termini reali: dal 2007 a oggi, la contrazione è stata in media dell’8,7%. Questo significa che, nonostante l’aumento nominale degli stipendi, il potere d’acquisto continua a erodersi sotto il peso dell’inflazione, delle spese fisse e della crescita dei costi essenziali
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