
Pensioni, ecco come le uscite anticipate del passato pesano sulla possibile riforma
Nel 2022 il 30,8% dei trattamenti erogati esclusivamente all’interno del capitolo “previdenza” erano di anzianità. E sui conti dell’Inps pesano ancora gli assegni figli dei meccanismi generosi del passato

La riforma del sistema pensionistico sembra destina a slittare in avanti: la tenuta dei conti pubblici e la linea di prudenza adottata dal governo nel Def non consentono infatti di riavviare subito il cantiere per superare i vincoli imposti dalla legge Fornero, che fissa l’asticella della pensione di vecchiaia a 67 anni
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Ad ammetterlo è la stessa ministra del Lavoro e delle Politiche sociali, Marina Calderone: "Confido che subito dopo l'estate ci sia la possibilità di aprire ad un primo approccio della riforma", che quindi vedrà la luce più avanti, con la possibilità di attuarla dall'anno prossimo, per superare la legge Fornero e introdurre nuove misure di flessibilità in uscita
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Fino alla fine del 2023 è in vigore Quota 103, cioè la possibilità di andare in pensione con almeno 62 anni di età e 41 anni di contributi. La normativa generale rimane però la Legge Fornero, che consente il pensionamento di anzianità con 42 anni e 10 mesi di contributi (41 anni e 10 mesi per le donne) a prescindere dall’età
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L’obiettivo dell’esecutivo è arrivare a Quota 41, che permetterebbe di uscire dal lavoro con 41 anni di contributi indipendentemente dall’età. Ma la strada non è semplice, e come riporta Il Sole 24 Ore l’andamento a ritmo sostenuto della spesa previdenziale non sembra certo incoraggiare un abbassamento dell’asticella
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A pesare sui conti pensionistici sono ancora oggi i meccanismi generosi del passato. All’inizio di quest’anno infatti - riporta ancora il quotidiano economico - il 17,4% degli oltre 17,7 milioni di assegni pensionistici erogati dall’Inps era destinato a persone di età inferiore ai 64 anni. E risultava in pagamento a soggetti con meno di 59 anni il 10,3% dei trattamenti: oltre 1,8 milioni, comprese le prestazioni pensionistiche agli invalidi civili
L'approfondimento del Sole24Ore
Secondo i più recenti dati dell’Inps nel 2022, grazie agli interventi adottati negli ultimi quindici anni sul sistema previdenziale, l’età media “alla decorrenza” dei beneficiari di pensioni strettamente previdenziali è salita a 64,4 anni. Ma i conti sono ancora appesantiti dalle uscite anticipate del passato: risultano infatti ancora in pagamento quasi 190mila baby-pensioni, figlie delle vie d’uscita degli anni ’70 e ’80

Inoltre nel 2022 il 30,8% dei trattamenti erogati esclusivamente all’interno del capitolo “previdenza” erano pensioni d’anzianità o comunque anticipate. Per il governo Meloni, insomma, la strada verso la riforma appare in salita. I sindacati però premono: “Ricordiamo tutti le promesse elettorali, invece non c'è un'idea di come si affronterà il tema della riforma”, ha attaccato il segretario generale della Uil, Pierpaolo Bombardieri (in foto)

E la fiducia nella possibilità che dopo l’estate si apra una discussione per arrivare a una riforma non sembra essere alta: “Gli annunci della ministra sulla ripartenza del tavolo pensioni a settembre non hanno alcuna credibilità, la nostra risposta sarà la mobilitazione unitaria", il governo "non ha alcuna intenzione di tenere fede agli impegni presi prima e dopo il voto”, ha detto il segretario confederale della Cgil Christian Ferrari

Per arrivare a uscite anticipate dal lavoro Cgil, Cisl e Uil da tempo chiedono di consentire l'uscita a partire dai 62 anni di età, di disegnare una pensione di garanzia per i giovani e di tornare alla versione originaria di Opzione donna, con 35 anni di contributi e 58-59 anni di età

Nel frattempo al ministero del Lavoro è stato ricostituito il Nucleo di valutazione della spesa previdenziale. Lo scopo è quello di "portarci avanti e tenerci pronti", ha spiegato la titolare del dicastero Marina Calderone, rispetto agli interventi prioritari da mettere in campo non appena possibile
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