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Pnrr, governo in ritardo sugli obiettivi. Meloni: "Non vedo rischi per la terza tranche"

Economia
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Roma sembra in difficoltà sui milestones del Piano nazionale di ripresa e resilienza: le risorse del 2022 sarebbero a rischio, visto che i target paiono essere raggiunti solo sulla carta, e anche su quelli del 2023 si registrano problemi simili. A destare preoccupazione sono il codice degli appalti, dove l’esecutivo registra il pressing delle imprese per un periodo transitorio, e le concessioni balneari. Ma il presidente del Consiglio rassicura: "Mi sembra che la Commissione apprezzi il lavoro serio dell'Italia"

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L’Italia è in ritardo sul Pnrr. Gli obiettivi del 2022 sembrano essere stati conclusi solo sulla carta mentre quelli del 2023, a tre mesi dall’inizio dell’anno, sembrano essere distanti da un esito positivo. Sono perciò a rischio i 19 miliardi del 2022 e anche quelli del 2023, visto che i 15 targets o milestones, la cui scadenza è fissata per il 30 giugno, rischiano di non essere portati a termine. A tutto ciò si aggiunge anche la volontà del governo di Roma di intervenire con una richiesta di modifica sul progetto RePowerEu, con uno stanziamento di nuove risorse per l’indipendenza energetica italiana. Ma il presidente del Consiglio Giorgia Meloni, da Bruxelles, rassicura: "No, non vedo assolutamente rischi" che l'Ue non paghi la terza tranche del Pnrr. "C'è un lavoro molto serio, collaborativo, noi abbiamo ereditato una situazione che sicuramente richiede di lavorare molto velocemente, è quello che stiamo facendo assieme alla Commissione. Ho parlato ora con Ursula von der Leyen e mi sembra che la Commissione apprezzi molto il lavoro serio dell'Italia. Le decisioni che si prendono sono decisioni che stiamo condividendo".

Gli obiettivi e i ritardi

Ma su cosa l’Italia è indietro? Uno dei temi è certamente il codice degli appalti, uno dei punti focali di tutto il Recovery Plan, come evidenzia Il Messaggero. La prima approvazione del decreto legislativo in Consiglio dei ministri è arrivata a dicembre, ma da allora il testo ha subito ulteriori modifiche e ha ancora davanti a sé un percorso travagliato. Infatti, nonostante il via libera definitivo del Cdm sia previsto per il prossimo martedì, non è scontato che le norme entrino in vigore, dato che le imprese chiedono una fase transitoria, e quindi uno slittamento dei tempi. Altro punto centrale è la produzione di idrogeno in aree industriali dismesse, con il relativo accordo per la transizione dal metano e l’autorizzazione per la sperimentazione del trasporto ferroviario. I ministeri devono ancora assicurare la funzionalità della piattaforma per i pagamenti alle imprese e tempi lunghi si prevedono anche per la tecnologia satellitare.

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Il punto della situazione

Come evidenzia Il Sole 24 Ore, soltanto cinque target sono stati raggiunti dei 13 previsti entro marzo. Su alcuni, come il già citato codice degli appalti, il governo Meloni pensa di chiedere all’Unione Europea un rinvio al 2024 mentre su altri, come i balneari, il governo è a un bivio: cedere a Bruxelles, e quindi fare le gare per le concessioni, oppure mappare le spiagge, come sembra intenzionato a fare. Altro tasto dolente è poi la spesa effettiva: come evidenzia sempre il quotidiano di Confindustria, la Corte dei Conti ha sottolineato come i miliardi spesi finora siano poco più di 10 sui 168 disponibili, appena il 6% del totale. Quasi assenti le spese sulle Missioni 4, 5 e 6, che riguardano rispettivamente i settori di istruzione, inclusione e coesione e, infine, salute. Andando più in dettaglio si può notare come lo Stato abbia speso appena 79 milioni in materia sanitaria sui 15 miliardi disponibili: un rapporto dello 0,5%. I cordoni della borsa si allargano di poco per quanto riguarda le spese in materia di inclusione e coesione, che arrivano a 239 milioni, soltanto l’1,2% dei quasi 20 miliardi a disposizione, e di istruzione, dove si è speso il 4,1% delle risorse disponibili (1,2 miliardi sui quasi 31 presenti). In controtendenza, invece, le spese relative alla Missione 3, quelle relative alle “Infrastrutture per la mobilità sostenibile”, dove si è speso il 16,4% di quanto c’era a disposizione.

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