A un anno dall’inizio del conflitto tra Mosca e Kiev, persistono le incertezze sul fronte economico per tutti i Paesi dell’Eurozona, Italia compresa. Sono stati numerosi i problemi che Roma ha dovuto affrontare in questo periodo, come l’inflazione, la crisi energetica, con conseguente diversificazione delle forniture, ma anche l’aumento dei prezzi del grano
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I dodici mesi di conflitto russo in Ucraina hanno segnato l’economia di tutti i Paesi dell’Eurozona, compresa l’Italia, prima della guerra dipendenti dalla Russia per il gas e da Kiev per alcuni prodotti, come ad esempio il grano. Secondo quanto ribadito da Bankitalia nel bollettino di gennaio 2023, nel nostro Paese persiste ancora l'incertezza: “In uno scenario in cui si ipotizza la sospensione permanente delle forniture di materie prime energetiche dalla Russia all'Europa, il prodotto si contrarrebbe nel 2023 e nel 2024 - avverte - e crescerebbe moderatamente nell'anno successivo. L'inflazione salirebbe ulteriormente quest'anno, per poi scendere decisamente nel prossimo biennio”. Il ritorno al valore normale del 2% è previsto soltanto per il 2025 (GUERRA IN UCRAINA, LO SPECIALE).
L’inflazione e la crisi energetica
Due dei più grandi problemi economici che ha dovuto affrontare l’Italia negli ultimi mesi sono stati certamente l’inflazione, giunta al 9% a fine 2022, e la crisi energetica, che ha portato le famiglie italiane a dover spendere in tutto il 2022 1.434 euro per la bolletta elettrica, il 108% in più rispetto al 2021, e 1.459 euro per il gas, una spesa superiore del 57% rispetto a 12 mesi prima. Le due misure sono correlate, come evidenzia Bankitalia, che sottolinea come “in Italia oltre il 70% dell'inflazione complessiva sia dovuta ai rincari dell'energia, nonostante le misure governative in materia energetica abbiano mitigato la dinamica dei prezzi al consumo per oltre un punto percentuale”. La guerra ha costretto Roma a diversificare il suo approvvigionamento energetico: rispetto a dodici mesi fa oggi è l’Algeria il nostro primo fornitore, che a dicembre ha fatto arrivare in Italia 2.301,91 milioni di standard al metro cubo di gas (dati Snam), seguita dall’Azerbaigian, mentre la Russia è rapidamente scesa dai 2.023 milioni di standard al metro cubo di marzo 2022 ai soli 478 di dicembre. Un valore destinato a ridursi ancora nei prossimi mesi.
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La riduzione dell’export italiano e il turismo
Da sempre la tratta Italia-Russia ha rappresentato uno dei sentieri più battuti dalle aziende nostrane: secondo i dati dell'Osservatorio del ministero degli Esteri nel 2021, cioè poco prima dell’inizio del conflitto, il volume di esportazioni dall'Italia alla Russia aveva raggiunto un valore pari a 7,7 miliardi di euro, l'1,5% sul totale delle esportazioni italiane. A causa sia del conflitto che del divieto di import ed export con Mosca sancito dall’Unione europea, tale cifra si è dovuta ridurre, ma meno di quanto si pensi: infatti, secondo una recente analisi del sito brussellese Politico Europe, l'Italia ha mantenuto un valore dell'export di 4,8 miliardi di euro nel 2022 rispetto ai 6,5 medi del quinquennio precedente. Questo perché le aziende italiane non sono tutte fuggite dalla Russia (infatti, solo Enel e Generali sono andate via mentre altre 9 hanno deciso di sospendere l’attività, ma con una clausola che permetta loro di riprendere asset e operatività nel prossimo futuro) e perché Mosca ha iniziato una serie di triangolazioni con Paesi terzi, come Turchia, Emirati Arabi e Armenia, per aggirare le sanzioni di Bruxelles. Dall’altro lato ha invece influito notevolmente l’assenza dei russi nel turismo nostrano: come evidenzia Lavoce.info, prima del 2022 Mosca costituiva il decimo mercato per numero di arrivi e addirittura l’ottavo per numero complessivo di presenze (5.819.444, comunque in calo rispetto al picco di quasi 8 milioni di presenze del 2013). Ad oggi questo volume sembra essersi ridotto ma non azzerato, visto che comunque lo scorso anno una minima parte di turisti è arrivata, dopo aver aggirato il problema dei visti partendo da luoghi all’interno dell’Unione europea oppure da Paesi terzi.
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La rotta Italia-Ucraina
Problemi diversi hanno invece riguardato la tratta tra Roma e Kiev. L’Ucraina è infatti uno dei principali produttori mondiali di grano, mais, orzo e frumento. Prima della guerra il nostro Paese importava il 15% del proprio fabbisogno di mais, destinato all’alimentazione degli animali, per un totale di 785 milioni di chili proprio dall'Ucraina, seconda dietro soltanto all'Ungheria. Tale dato si è ripercosso inevitabilmente anche sui prezzi della soia, che cresce negli stessi campi: non è un caso, perciò, che ad inizio del conflitto i prezzi dei cereali siano schizzati su del 7%. Una situazione che ha coinvolto anche il grano, anche se in tono minore: infatti, prima del conflitto Roma importava da Kiev appena il 2,5% di grano duro e il 5% di grano tenero, per un totale di 122 milioni di chili. La situazione, che ha visto i porti ucraini bloccati per mesi, ha causato alcuni problemi alla catena industriale italiana, con un rincaro dei prodotti legato però anche ad altri fattori, come il riscaldamento climatico e i rincari dell’energia. Da non dimenticare, comunque, che la classifica dell’import di grano in Italia vede in testa altri Paesi prima dell'Ucraina, come Francia (19,9%), Canada (14,4%) e ancora Ungheria (13%).