
Pensioni, Quota 41 allo studio del governo con incentivi per chi resta: cosa sappiamo
L’esecutivo Meloni prevede di cominciare a lavorare in ambito previdenziale già nella prossima Manovra: l’obiettivo sarebbe “testare” per un solo anno l’uscita a 62-63 anni, per poi varare una vera e propria modifica a partire dal prossimo anno. “Spenderemo meno di 1 miliardo per agevolare 40-50 mila lavoratori. Pensavamo anche a un bonus per chi resta a lavorare, ma la prudenza di bilancio ci induce a rinunciare”, ha dichiarato il sottosegretario al Lavoro Claudio Durigon a “La Repubblica”

Finestre per l'uscita anticipata, per esempio a 62 o 63 anni con un "congruo" numero minimo di anni di contributi, ma anche incentivi per chi decide di restare con un aumento in busta paga che potrebbe essere anche del 10%. È questo il doppio binario al quale starebbe lavorando il Tesoro sul fronte delle pensioni
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IL RITORNO DELLA LEGGE FORNERO - Il tema è caldissimo e i tempi sono molto stretti: perché se il governo non trovasse una soluzione entro dicembre, quando scadranno quota 102, Ape sociale e Opzione donna tornerebbe in vigore il regime previsto dalla legge Fornero da sempre visto negativamente da molta parte della maggioranza, Lega in primis
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FINANZE PUBBLICHE IN PERICOLO - Se per le prime due misure si prevede una proroga, bisognerà trovare una soluzione per tutto il resto. Ma la questione pensionistica rappresenta anche un nodo per le finanze pubbliche, perché qualsiasi intervento sarà caro. Basti pensare che solo per l'adeguamento degli assegni all'inflazione da qui al 2025, appena decretato, serviranno 50 miliardi e gli spazi di manovra sono molto ristretti viste tutte le altre emergenze da tamponare, in primis il caro energia
Pensioni, Durigon: "Quota 41 per un anno, poi la vera riforma"
IL 10% PER CHI RESTA – Sul fronte delle pensioni l'idea del Tesoro, secondo quanto anticipato dal Corriere della Sera, prevederebbe che un lavoratore che abbia maturato i requisiti possa restare al lavoro; in questo caso smetterebbe, come anche il datore di lavoro, di versare i contributi e una parte di questa cifra entrerebbe in busta paga con un aumento pulito del 10%
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QUOTA 41 - Per tutto il resto della platea si discute da tempo di arrivare alla cosiddetta Quota 41, andare cioè in pensione con 41 anni di contributi. Il nodo è se vincolarla o meno ad una determinata età del lavoratore. Possibile anche l’esperimento di un anno per valutare il peso reale della misura che potrebbe arrivare a costare quasi 5 miliardi l'anno
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UN’IPOTESI CHE SEMBRA CONFERMATA – A tal proposito Claudio Durigon, sottosegretario leghista al lavoro, ha confermato a La Repubblica che “a gennaio non si tornerà pienamente alla legge Fornero. Avremo una Quota 41 con 61 o 62 anni per il solo 2023, come misura ponte verso la riforma organica che faremo il prossimo anno - spiega - Spenderemo meno di 1 miliardo per agevolare 40-50 mila lavoratori. Pensavamo anche a un bonus per chi resta a lavorare, ma la prudenza di bilancio ci induce a rinunciare"
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LA FLESSIBILITÀ IN USCITA – In merito alla flessibilità in uscita, un tema caro tanto ai sindacati quanto alla maggioranza, Durigon ha dichiarato che “penso sia una cosa fattibile per tutti, a partire da una certa età e tenendo conto che il metodo contributivo sta diventando prevalente tra i lavoratori. Rivedremo tutte le uscite anticipate, con un occhio di riguardo a giovani, donne e mestieri usuranti"

DA NON ESCLUDERE LE PENALIZZAZIONI - Il pensionamento con 41 anni di contributi, spiegano i sindacati, permetterebbe di andare in pensione intorno ai 62-63 anni, in linea con la media europea. Difficile immaginare però, vista l'attuale situazione, formule di pensionamento anticipato senza una qualche penalizzazione rispetto all'assegno pieno. Basti pensare alla formula di Opzione donna: nei primi nove mesi del 2022 ne hanno usufruito quasi in 18mila ma con un taglio severo degli assegni che oscilla tra il 20 il 25%

PENSIONE DI GARANZIA PER I PIÙ GIOVANI – Anche per questo l’obiettivo è quello di garantire in futuro pensioni adeguate e dignitose, insieme alla sostenibilità del sistema. Secondo il sindacato, se si scindesse l'assistenza dalla previdenza la spesa si collocherebbe intorno al 13,5% del Pil, nella media Ue. E non a caso anche su un'altra richiesta la linea di Cgil, Cisl e Uil è compatta: quella di una pensione di garanzia per i più giovani, che possa garantire un futuro previdenziale anche a chi è appena entrato nel mondo del lavoro
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