
Da auto a lavatrici, i tempi di consegna si allungano a causa del Covid e della guerra
Mancanza di microchip, scarsità di materie prime, trasporti rallentati: chi vuole acquistare determinati beni di consumo è spesso costretto ad aspettare molto di più rispetto al periodo antecedente alla pandemia o alla guerra russa in Ucraina. “Questi fattori si combinano spesso assieme: ecco perché gli italiani sono costretti ad attendere molto di più che in passato”, spiega il professor Paolo Trucco a Il Sole 24 Ore

Tempi di attesa raddoppiati e triplicati, a volte anche 5/6 volte superiori rispetto al periodo pre-pandemia e guerra russo-ucraina. Come sostiene Il Sole 24 Ore, si allungano i tempi di consegna dei beni di consumo
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A determinare questo fenomeno “ci sono più fattori. La scarsità di chip, materie prime e semilavorati; l’aumento dei costi dell’energia; la crisi dei trasporti, a volte anche tutti combinati tra di loro”, sostiene Paolo Trucco, professore di risk management del Politecnico di Milano
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Ad esempio, i microprocessori sono diventati introvabili, un fattore che si è acuito durante la pandemia: infatti nel 2020 e nel 2021 il mercato digitale globale è cresciuto del 9 e del 5%
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La parte del leone la svolgono smartphone e computer, che rappresentano l’81% del mercato; poi ci sono l’Iot (l’Internet of Things) che rappresenta l’8%; i televisori e l’auto il 4% e infine gli altri settori cumulati (tra questi macchine per l’industria, arredo, elettrodomestici etc.) che sono solo il 3%
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Il mercato dei chip per gli smartphone vale undici volte quello dell’automotive, nonostante l’auto nel 2021 sia cresciuta del 51% sul 2020 mentre gli smartphone soltanto dell’8%. Questo significa che la fornitura dei chip per auto è finita in fondo alle gerarchie rispetto a quella per i telefoni cellulari. "Il punto è che chi li adopera per lavatrici o forni usa quelli basici, che non costano certo quanto quelli per gli smartphone”, evidenzia Trucco al giornale
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Un problema grave è anche la scarsità di materie prime, come piombo, rame, alluminio, urea, provenienti dall’area del conflitto russo-ucraino. La penuria ha aumentato i prezzi e i costi energetici hanno aggravato la questione, poiché hanno innescato un sottodimensionamento produttivo degli impianti

Anche in questo caso si predilige l’elettronica all’automotive, con conseguente allungamento dei tempi, per il quale non aiuta nemmeno la delocalizzazione ad Est. È il caso di Audi, che sta ritardando le sue consegne a causa della crisi di Leoni, società affiliata che si trova a Kiev e che si occupa dei cavi interni delle vetture

A ciò si aggiunge la crisi dei trasporti: il lockdown cinese e il blocco del porto di Shanghai hanno determinato una congestione del traffico marittimo e una scarsità di container, che restano a lungo fermi sulle navi. L’aumento dei noli, che hanno raggiunto il 300% in un anno, contribuisce molto ma a questo si aggiungono anche gli effetti del blocco cinese sui porti europei e americani (a cui fanno seguito in Italia i problemi dell’autotrasporto con la carenza di autisti)

A tutto questo, si legge nell'articolo del Sole, due sono le possibili soluzioni: una di queste è il back reshoring, cioè il ritorno della produzione nel Paese d’origine. “Secondo un rapporto di Allianz, su circa 1200 multinazionali con sede in Usa, Regno Unito, Francia, Germania e Italia, meno del 15% di queste considererebbe il rientro nel Paese d’origine come una possibilità, ma circa il doppio potrebbe rilocalizzare alcuni stabilimenti in Paesi limitrofi”, sostiene Riccardo Passerini, analista di EY

Un’altra è sicuramente il just in time, che significa il rifornimento del materiale di trasformazione esattamente nel momento in cui vi è necessità, “eventualmente trasformabile nel just in case, un nuovo approccio collaborativo per la gestione dei rapporti di filiera, con contratti di fornitura di lungo periodo come nuovo elemento prioritario al posto della mera analisi di costo”, evidenzia sempre Passerini