
Reddito di cittadinanza, Inps: 70% dei percettori iniziali del 2019 lo riceve ancora
Una nuova analisi dell'Istituto previdenziale sui beneficiari del reddito e della pensione di cittadinanza spiega che sono state circa 4,65 milioni le persone coinvolte fino alla fine del 2021, circa 2 milioni di famiglie, con una spesa che sfiora i 20 miliardi. In molti non hanno mai smesso di usufruirne, complici anche le difficoltà di trovare un impiego durante la pandemia

Il 70% di chi ha iniziato a percepire il reddito o la pensione di cittadinanza tra aprile e giugno del 2019 lo aveva ancora nell'ultimo semestre del 2021. È quanto emerge da una nuova analisi dell’Inps che sottolinea alcune criticità di questa misura nell’ambito delle politiche attive del lavoro
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Il report sottolinea che da quando è entrata in vigore la misura hanno beneficiato di almeno una mensilità due milioni di nuclei familiari, pari a 4,65 milioni di persone per un’erogazione totale di quasi 20 miliardi di euro
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La platea di coloro che hanno usufruito di questa misura nei 33 mesi esaminati, scrive l’Inps, è un “insieme vasto, articolato, eterogeneo, accomunato dall’assenza o carenza di reddito familiare”. Tra queste persone ci sono infatti “neonati e centenari, componenti di famiglie numerose e persone che vivono da sole, chi ne ha beneficiato per un solo mese e chi per oltre due anni; studenti, lavoratori, titolari di pensione, inattivi, persone nel frattempo decedute”
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Dall’analisi dei percettori a dicembre 2021 emerge che il 44,7% dei nuclei sono monocomponenti e che il 67,3% sono senza minori. I nuclei con disabili sono il 17%. L’importo medio è di 546 euro, ma chi beneficia del reddito percepisce un importo molto più alto (577 euro) rispetto a chi riceve la pensione di cittadinanza (281 euro)
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Di questi, sei nuclei su dieci hanno percepito più di 18 mensilità e quelli da più tempo presenti nella misura hanno caratteristiche più sfavorevoli rispetto ai nuclei di recente ingresso
L'analisi dell'Inps
Una condizione particolarmente critica è quella dei cosiddetti nuclei “persistenti”, ovvero di coloro che hanno percepito almeno 24 mensilità (due anni) tra aprile 2019 e dicembre 2021, e risultavano ancora beneficiari alla fine dell’anno scorso

Secondo l’Inps, “la persistenza sembra essere legata soprattutto alla nazionalità del richiedente, alla composizione del nucleo, all’area geografica di residenza, a indicatori economici”. Il 67% di questi nuclei persistenti, per esempio, risiede al Sud

L’inps rileva inoltre che molti persistenti “hanno un attaccamento al mercato del lavoro basso o nullo; tra di essi la percentuale di chi ha contribuzione recente è di 25 punti inferiore (33% vs 58%) rispetto ai non persistenti”

Il debole attaccamento al lavoro dei beneficiari del reddito non è una novità. Nel report l’Inps sottolinea infatti che su 100 soggetti che hanno iniziato a beneficiare del reddito tra aprile e giugno 2019, quelli "teoricamente occupabili" sono poco meno di 60. Una caratteristica che secondo l’Istituto mostra che questo tipo di misura riguarda effettivamente chi è a rischio di esclusione sociale

In generale, nota l’Inps, ha una maggiore probabilità di persistenza chi ha la cittadinanza italiana, la residenza al Sud, rientra tra i nuclei monocomponenti e ha indicatori economici sfavorevoli (bassi redditi familiari, assenza di posizione contributiva)

Secondo la sottosegretaria al Mef, Maria Cecilia Guerra, per garantire che le persone abbiano una vita dignitosa bisogna puntare sulla qualità del lavoro eliminando le “forme atipiche". Anche il segretario delle Uil, PierPaolo Bombardieri (nella foto), punta il dito contro le tipologie flessibili: “In Italia negli ultimi tre anni, quindi ben prima della pandemia, su 24 milioni di contratti accesi, abbiamo avuto 4 milioni di contratti a tempo indeterminato e 20 milioni di contratti precari, part time, partite Iva, false cooperative"