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Strage di piazza della Loggia, 50 anni fa l'attentato terroristico di matrice fascista

Cronaca
©Ansa

28 maggio 1974, una bomba esplode durante la manifestazione antifascista. Il bilancio è di otto morti e oltre 100 feriti. La Corte di Cassazione dichiara colpevoli in via definitiva Carlo Maria Maggi e Maurizio Tramonte. Maggi muore nel 2018 all’età di 84 anni

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Piove la mattina del 28 maggio 1974 quando, alle ore 10.12, un boato lacera il cielo in Piazza della Loggia a Brescia. Una bomba con 700 grammi di esplosivo da cava, nascosta in un cestino dei rifiuti, esplode durante la manifestazione antifascista indetta dai sindacati e dal Comitato Antifascista per rispondere allo stillicidio di attentati di destra avvenuti in città nei primi mesi di quell'anno. In Piazza della Loggia muoiono otto persone e si contano un centinaio di feriti. Inizia una ricerca della verità che proseguirà per quattro decenni. Le tappe della vicenda.

La strage

In pieno centro a Brescia è in corso la manifestazione contro il terrorismo neofascista indetta dai sindacati e dal Comitato Antifascista. Sono presenti il sindacalista della Cisl Franco Castrezzati, Adelio Terraroli del Partito comunista italiano e il segretario della Camera del lavoro di Brescia Gianni Panella. Tantissime le persone in piazza. Allo scoppio dell’ordigno, in sei muoiono subito, due invece dopo ore di agonia in ospedale. Le vittime sono Giulietta Banzi Bazoli, insegnante di francese, 34enne madre di tre bambini; Livia Bottardi, 32 anni, insegnante di lettere morta davanti al marito, Manlio Milani, che si era allontanato per salutare un amico (diventerà il presidente dell’Associazione familiari dei caduti di Piazza Loggia); Alberto Trebeschi, 37 anni, insegnante di fisica, e la moglie Clementina Calzari, 31 anni, anche lei docente; Euplo Natali, 69 anni, pensionato ed ex partigiano; Luigi Pinto, 25 anni, insegnante; gli operai Bartolomeo Talenti, 56 anni e Vittorio Zambarda, 60 anni. I funerali delle vittime si svolgono nella stessa piazza della Loggia alla presenza dell'allora capo dello Stato, Giovanni Leone, del presidente del Consiglio, Mariano Rumor, e dei principali leader di partito. In piazza anche migliaia di persone arrivate per rendere omaggio alle vittime.

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Il primo processo e l’omicidio di Buzzi

Il 2 luglio 1979 arriva la prima sentenza. I giudici della Corte d'assise di Brescia condannano all'ergastolo Ermanno Buzzi e a dieci anni Angelino Papa, a cui concedono la seminfermità mentale perché sarebbe stato plagiato dal coimputato. A Buzzi, grande esperto di quadri, il giudice Gianni Simoni era arrivato indagando su un'opera d'arte e sentendo come testimone un certo Luigi Papa, padre di Angelino, che invece di parlargli di ricettatori e dipinti aveva accusato Buzzi della strage. Assoluzioni e condanne per reati minori vengono disposte per altri 16 inquisiti. Alla vigilia del processo d'appello, Buzzi viene trasferito dal carcere di Brescia a quello di Novara. A 48 ore dal suo arrivo, due detenuti lo uccidono strangolandolo con i lacci delle scarpe. Motivano il gesto con il fatto che Buzzi è un "pederasta".

Il 2 marzo 1982 i giudici della Corte d'Assise d’Appello di Brescia scagionano tutti gli imputati, Papa compreso, e nelle motivazioni definiscono Buzzi "un cadavere da assolvere". Il 30 novembre 1983, la Cassazione annulla la sentenza d'appello per alcuni imputati e dispone un nuovo processo per Nando Ferrari, Angelino e Raffaele Papa e Marco De Amici. Nei loro confronti il processo bis di secondo grado viene celebrato a Venezia: per tutti è assoluzione per insufficienza delle prove.

Nuove indagini, nessun colpevole

Il 21 marzo 1984, inizia il secondo atto di questa storia giudiziaria. Il giudice di Firenze, Piero Luigi Vigna, che sta indagando sugli attentati ai treni in Toscana, raccoglie le testimonianze di alcuni detenuti 'neri' sulla strage e le trasmette al giovane giudice istruttore di Brescia, Gianpaolo Zorzi. Vengono indagati il neofascista Cesare Ferri, accusato anche dalla testimonianza di un prete, il fotomodello Alessandro Stepanoff e il suo amico Sergio Latini per avergli fornito un alibi. Ferri e Latini rispondono anche per essere stati i mandanti dell'omicidio di Buzzi. Gli imputati vengono assolti in primo grado nel 1987 per insufficienza di prove, e prosciolti in Appello nel 1989 con formula piena.

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Marzo 1993, Tramonte

Cade il mistero sull'identità della 'Fonte Tritone' che aveva ispirato una relazione del Sid (i servizi segreti di allora) datata 6 luglio 1974. Il giudice istruttore di Milano, Guido Salvini, scopre che è un giovane dell'estrema destra padovana, informatore dei servizi dal 1973 al 1975, Maurizio Tramonte. Nel 1993 si trova agli arresti domiciliari a Milano per vicende di criminalità economica e il giudice Zorzi lo va a trovare, dando impulso a nuove piste investigative. La nuova pista individua la 'cabina di regia' della strage nel vertice della formazione neofascista Ordine Nuovo del Triveneto. I pubblici ministeri di Brescia, Roberto Di Martino e Francesco Piantoni, chiedono l'arresto di tre indagati: Carlo Maria Maggi, la figura centrale della relazione del Sid ispirata dalla 'fonte Tritone'; Delfo Zorzi, considerato il suo 'braccio destro, indagato anche per Piazza Fontana e, nel frattempo, fuggito in Giappone;  Maurizio Tramonte, la 'fonte Tritone'. Maggi non viene arrestato per l'età e le precarie condizioni di salute. L'unico a finire in carcere è Tramonte, che comincia a collaborare con i magistrati. Vengono chiamati in causa anche Pino Rauti, 'padre' di Ordine Nuovo e il comandante dei carabinieri, Francesco Delfino.

Tutti assolti

Il 16 novembre 2010, i giudici della Corte d'assise di Brescia assolvono tutti i cinque imputati (Delfo Zorzi, Carlo Maria Maggi, Maurizio Tramonte, Francesco Delfino e Pino Rauti) della terza inchiesta con la formula dubitativa dell'articolo 530 comma 2, 'erede' della vecchia insufficienza di prove. Viene revocata la misura cautelare nei confronti dell'ex ordinovista Delfo Zorzi che vive in Giappone e ha cambiato nome. Nel 2012, la sentenza viene confermata in secondo grado dalla Corte d'appello di Brescia. ''Abbiamo fatto tutto il possibile. È una vicenda che va affidata alla storia'', dichiarano i pubblici ministeri.

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Condanne all’ergastolo

Il 21 marzo 2014, la Cassazione annulla le assoluzioni di Maggi e Tramonte e conferma quelle di Zorzi e Delfino. Il verdetto viene accolto dalle lacrime dei superstiti e dei parenti delle vittime. "E' una vittoria morale che compensa tanti anni di frustrazioni", dice il pm Di Martino. Nelle motivazioni alla sua decisione, la Suprema Corte spiega che sono "ingiustificabili e superficiali" le conclusioni assolutorie nonostante "la gravità indiziaria" e anche alla luce delle dichiarazioni del pentito Digilio. Il 22 luglio 2015, la Corte d'Assise d'Appello di Milano infligge la pena dell'ergastolo ai due neofascisti veneti Carlo Maria Maggi e Maurizio Tramonte. Dopo 41 anni e nessuna condanna nei processi precedenti, arrivano i primi colpevoli per la giustizia. I due sono ritenuti i mandanti della strage: il primo ne è stato il regista, l'altro ha partecipato alle riunioni organizzative. La Corte stabilisce anche un risarcimento complessivo di oltre quattro milioni e mezzo di euro a favore dei familiari delle vittime e delle persone che rimasero ferite. Risarcimenti solo simbolici perché i due imputati, ormai anziani, non avrebbero le disponibilità economiche per farvi fronte, qualora la sentenza dovesse passare in giudicato.

Due colpevoli della strage

Il 20 giugno 2017, la giustizia italiana sembra mettere la parola fine all'accertamento della verità sulla strage di Brescia. La Corte di Cassazione dichiara colpevoli in via definitiva Carlo Maria Maggi e Maurizio Tramonte. Tramonte, 65 anni, viene rintracciato in Portogallo dopo essere stato 'irreperibile' per qualche ora. A Fatima, dove si era recato in quanto devoto al culto mariano, gli viene consegnato un mandato di arresto europeo e il 19 maggio 2017 torna in Italia, dove viene rinchiuso nel carcere di Rebibbia. A Maggi vengono concessi i domiciliari sia per l’età avanzata, sia per le condizioni di salute. Muore il 26 dicembre 2018 all’età di 84 anni.

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Le nuove indagini

Nell'ottobre 2022 la Corte d'appello di Brescia rigetta l'istanza di revisione del processo avanzata da Maurizio Tramonte, che aveva chiesto un quarto grado di giudizio sostenendo di essere vittima di un errore e spiegando, anche intervenendo in video collegato dal carcere di Melfi,  che non era presente in piazza della Loggia il giorno dell'attentato. Lo stesso giorno, la Procura dei minori e quella ordinaria chiedono il rinvio a giudizio per Marco Toffaloni, all'epoca 17enne, e Roberto Zorzi, che aveva 20 anni nel 1974. Per gli inquirenti sono gli esecutori materiali della strage. Per chi indaga, Toffaloni, finito sotto inchiesta della procura dei minori in quanto non ancora 18enne nel 1974, "in concorso con Carlo Maria Maggi (deceduto), Maurizio Tramonte e Roberto Zorzi, allo scopo di attentare alla sicurezza interna dello Stato, appartenendo all'organizzazione eversiva Ordine Nuovo, ha collocato l'ordigno in Piazza della Loggia a Brescia in un cestino portarifiuti provocandone l'esplosione". Per gli inquirenti Toffaloni era in piazza il giorno della strage, mentre Zorzi è accusato di "aver partecipato alle riunioni in cui l'attentato veniva ideato, manifestando la propria disponibilita' all'esecuzione e comunque rafforzando il proposito dei correi".

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