Il Mostro di Firenze, la storia: omicidi e processi a Pacciani e ai "compagni di merende"
CronacaIntroduzione
Il 21 agosto 1968 a Castelletti di Signa, nei dintorni di Firenze, una giovane coppia di amanti viene uccisa a colpi di pistola, una Beretta calibro 22, mentre si trovava in auto. Si tratta di Barbara Locci e Antonio Lo Bianco, 29 e 31 anni. Sarà il primo di una lunga serie di duplici omicidi, che andarono avanti fino al 1985. Tutte le vittime si trovavano in luoghi appartati, in intimità, in tenda o in macchina. In tutti i casi fu utilizzata la stessa pistola, quasi sempre insieme a un coltello, per asportare il seno o il pube delle donne uccise.
Le cronache riconducono ancora oggi quanto successo alla figura del “Mostro di Firenze”, anche se a livello giudiziario la vicenda non è mai stata lineare: più persone furono condannate, alcune poi assolte, altre solo arrestate ma mai processate. E a decenni di distanza continuano a emergere punti poco chiari, tra presunte nuove prove ed elementi ancora da esaminare.
Quello che devi sapere
Il primo delitto del Mostro di Firenze: Locci e Lo Bianco
Tutto inizia nell’agosto del 1968, quando qualcuno raggiunge Barbara Locci e Antonio Lo Bianco nella loro auto. Sul sedile posteriore c’era anche un bambino di sei anni, che al momento degli omicidi dormiva. Rimane ferito, ma non perde la vita. Qualcuno lo trascina via dalla macchina e lo abbandona davanti a una casa. Il bimbo si chiama Natalino Mele: è il figlio di Locci e del marito, Stefano Mele, immigrato dalla Sardegna come la moglie. O almeno così si pensa inizialmente. L’uomo viene condannato per gli omicidi. Prima dà la colpa ad altri due amanti della moglie, Salvatore e Francesco Vinci, anche loro sardi. Poi li scagiona e si assume la colpa. Soltanto nel 1982 questo caso verrà ricondotto a quello che nel frattempo era diventato per tutti il Mostro di Firenze.
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14 settembre 1974 – Gentilcore e Pettini
La notte tra il 14 e il 15 settembre 1974, due ragazzi di 19 anni, Pasquale Gentilcore e Stefania Pettini, sono a bordo di una Fiat 127, lungo una strada sterrata nei pressi di Borgo San Lorenzo. Vengono freddati a colpi di pistola. La ragazza viene mutilata del pube con un tralcio di vite. La sua borsa è a qualche centinaio di metri di distanza.
6 giugno 1981 – Foggi e Di Nuccio
Sei anni dopo, tra il 6 e il 7 giugno 1981, Carmela Di Nuccio (21 anni) e Giovanni Foggi (30 anni) sono in macchina insieme, nei pressi di Scandicci, in una zona nota per essere frequentata da coppie e spesso anche da voyeur. Di nuovo, qualcuno li uccide, sparando con la stessa pistola degli altri casi. Di nuovo, alla ragazza viene asportato il pube. Viene arrestato Vincenzo Spalletti, autista di ambulanze. Verrà scagionato qualche mese dopo.
22 ottobre 1981 – Baldi e Cambi
Già nell’ottobre del 1981 la provincia di Firenze è scossa da un altro duplice omicidio. Muoiono Susanna Cambi (24 anni) e Stefano Baldi (26 anni), a Travalle di Calenzano. Avrebbero dovuto sposarsi di lì a breve. Le modalità della loro uccisione sono le stesse dei precedenti.
19 giugno 1982 – Mainardi e Migliorini
Baccaiano di Montespertoli, 19 giugno 1982. Antonella Migliorini ha 19 anni, Paolo Mainardi ne ha 22. Questa volta la dinamica è differente: i primi colpi di pistola non uccidono l'uomo, che riesce a rimettere in moto la sua Fiat 127. L’assassino rispara, uccidendo la ragazza. Mainardi morirà in ospedale. A questo punto gli inquirenti iniziano a pensare che dietro gli omicidi ci possa essere la stessa persona.
9 settembre 1983 – Meyer e Rüsch
Il 9 settembre 1983 a morire sono due ragazzi tedeschi, entrambi 24enni, parcheggiati in uno spiazzo a Giogoli in un furgone Volkswagen. Forse, si ipotizza, il Mostro di Firenze li aveva scambiati per una coppia.
29 luglio 1984 – Rontini e Stefanacci
Pia Rontini e Claudio Stefanacci, 18 e 22 anni, vengono uccisi in località Vicchio. A Rontini è asportato il pube.
8 settembre 1985 – Mauriot e Kraveichvili
L’ultimo duplice omicidio del Mostro è l’8 settembre 1985, a San Casciano in Val di Pesa. Le vittime sono francesi: Jean-Michel Kraveichvili, 25 anni, e Nadine Mauriot, 36 anni. Erano accampati in tenda. Alla donna fu asportato il pube, ma non solo: la Procura di Firenze ricevette in una busta anonima un lembo di un suo seno. Ne seguirono altre, con fotocopie di articoli di giornale sulla vicenda.
La “pista sarda”
La prima persona a essere condannata nell’ambito degli omicidi fu, come detto, Stefano Mele, il marito della prima donna uccisa. Quando si iniziarono a mettere insieme i delitti, Mele era però già in carcere, dove si trovava dal 1974. Non poteva quindi essere stato lui il killer, nonostante i bossoli dei colpi sparati nel primo duplice omicidio combaciassero con i seguenti. Gli investigatori si concentrarono dunque sui nomi degli uomini che Mele stesso aveva fatto, cercando di scagionarsi in prima battuta: Salvatore (nel 1986 arrestato ma poi assolto con l’accusa di aver ucciso tempo prima la moglie in Sardegna) e Francesco Vinci (in foto).
Il secondo entrò in carcere, per maltrattamenti alla moglie, ma gli omicidi nel mentre continuavano: non poteva quindi essere nemmeno lui il Mostro. In seguito, due parenti di Mele, il fratello Giovanni e il cognato Piero Mucciarini, furono arrestati. Era il 1983. Ma nel 1984 ci fu un altro delitto e anche loro vennero scagionati. Francesco Vinci fu assassinato nel 1993. In ogni caso, la “pista sarda” si era già chiusa nel 1989.
Il bimbo del primo omicidio era figlio di Giovanni Vinci
Nel 2025 un accertamento genetico, disposto dalla Procura fiorentina, ha stabilito che Natalino Mele non era figlio di Stefano Mele, ma in realtà di Giovanni Vinci, fratello maggiore di Francesco e Salvatore. La novità sembrerebbe fosse già nota e non dovrebbe avere alcun impatto sui profili giudiziari del caso.
Pietro Pacciani
Nel 1991 gli sforzi degli inquirenti si concentrano su Pietro Pacciani, nato nel 1925 ad Ampinana di Vicchio e conosciuto come “Il Vampa”, a causa del suo carattere irascibile. Quando divenne indagato si trovava già in stato di detenzione: nel 1987 era stato condannato a quattro anni e tre mesi di carcere per violenza sulle proprie figlie. Nel 1951 era già stato condannato per l’omicidio di Severino Bonini, che aveva trovato in atteggiamenti intimi con la sua compagna di allora. Diverse lettere avevano consigliato agli investigatori di prendere in considerazione Pacciani come il possibile volto dietro al Mostro. Nel 1992 fu perquisita la sua casa, dove venne ritrovato un proiettile calibro 22, compatibile con gli omicidi. Inoltre aveva accumulato articoli di giornale sul Mostro e aveva annotato su un foglio il numero di una targa di una coppia che si trovava nella zona degli omicidi del 1985. C'erano poi immagini con il pube di alcune donne cerchiato da una penna.
Nel 1993 Pacciani venne arrestato. In primo grado la condanna fu di 14 ergastoli (restò fuori solo il primo duplice omicidio, per cui era già stato condannato Mele). In appello fu assolto, poi la Cassazione annullò l’assoluzione. Fu disposto un appello bis, che però non venne mai celebrato: nel mentre, quando siamo ormai nel 1998, Pacciani muore, nella sua casa di Mercatale Val di Pesa.
I “compagni di merende” – Mario Vanni
Durante le fasi del processo di appello a Pacciani (che pur termina con la sua assoluzione), alcuni testimoni dissero che a uccidere le ultime due vittime, quelle del 1985, non fu soltanto lui, ma anche un altro uomo, Mario Vanni, di San Casciano in Val di Pesa. Si ipotizza dunque che ci fosse un gruppo intorno a Pacciani. Fu Vanni stesso a dare il via all’espressione “compagni di merende”, quando – interrogato dalla Procura di Firenze sui suoi rapporti con il principale indagato – disse che spesso insieme fecero “delle merende”. Accusato di essere complice del Mostro negli ultimi quattro duplici omicidi in ordine di tempo, fu condannato all’ergastolo. Morì nel 2009, dopo che la sua pena fu sospesa per motivi di salute nel 2004.
I “compagni di merende” – Giancarlo Lotti
C’è poi Giancarlo Lotti, anche lui di San Casciano in Val di Pesa, orfano fin da piccolo e con problemi intellettivi e di alcolismo. Fu un altro testimone, Fernando Pucci, a fare per primo il suo nome, dicendo di averlo visto nei pressi del luogo dell’ultimo omicidio. Emerse la partecipazione di Lotti anche ai tre assassinii precedenti. Condannato a 26 anni di reclusione, muore nel 2002.
Il nipote di Vanni chiede revisione processo
Nel 2025, il nipote di Mario Vanni ha avanzato richiesta di revisione del processo. I suoi legali hanno parlato di testimonianze, non valutate nel corso del processo, che smentiscono Giancarlo Lotti sulla sua presenza quantomeno all’ultimo omicidio. Sembra poi che uno studio scientifico sulle larve rilevate sui cadaveri anticipi di 48 ore la data dell'omicidio a Scopeti, stabilita in sentenza l'8 settembre 1985.
La pista eversiva e Giampiero Vigilanti
Fu più volte indagato Giampiero Vigilanti, ex legionario di Vicchio, poi morto nel 2024. Conosceva Pacciani e i “compagni di merende”, la sua auto corrispondeva a quella individuata sul luogo dell’ultimo delitto, era stato descritto come violento e quasi feticista dei cadaveri (in casa avrebbe avuto immagini del periodo in cui aveva combattuto la guerra in Indocina, in cui posava con corpi decapitati). Nel 1994 a casa sua furono trovati oltre 170 proiettili compatibili a quelli dei delitti. Si ipotizzò, vista la sua vicinanza all’estrema destra, che gli omicidi servirono per attirare l’attenzione dei magistrati e tenerli lontani dai moti eversivi del periodo. La sua posizione venne comunque archiviata.
I presunti mandanti
Un altro filone di indagine ha riguardato l'ipotesi che Pacciani e i "compagni di merende" agissero per conto di altre persone, specie per quanto riguarda la mutilazione genitale femminile: lo stesso Lotti parlò di un "dottore" come del mandante. Anche questa pista cadde nel nulla dopo anni e anni di indagini.
Il Mostro di Firenze non era una sola persona?
Di fatto, un singolo Mostro di Firenze, stando alla ricostruzione giudiziaria, non esiste: sembra che abbiano operato almeno 3 persone negli omicidi, quattro se si conta anche Stefano Mele. In molti negli anni hanno però criticato le varie condanne, anche perché – per fare un esempio – nessuno ha mai ritrovato l’arma utilizzata. Restano vive le voci su piste esoteriche e su presunti depistaggi, ormai troppo difficili da sgarbugliare.
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