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Strage piazza Fontana, 50 anni fa a Milano l’inizio della strategia della tensione. FOTO

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09 dic 2019 - 12:41 31 foto

Il 12 dicembre 1969 una bomba esplode nella Banca nazionale dell'agricoltura: muoiono 17 persone, 88 restano ferite. L'attentato neofascista con coperture di apparati dello Stato segna l’inizio “strategia della tensione”.  LO SPECIALE

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Alle 16.37 del 12 dicembre 1969 una bomba esplode nella Banca Nazionale dell'Agricoltura in piazza Fontana a Milano, uccidendo 17 persone e ferendone 88. Verrà definita la “madre di tutte le stragi”, l’evento che segna l’inizio della “strategia della tensione” e poi degli “Anni di piombo”. La vicenda giudiziaria si chiuderà dopo oltre 30 anni, ma senza condanne per mandanti ed esecutori

LO SPECIALE
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Dopo 11 processi, la parola fine arriva con la sentenza della Cassazione nel 2005. Per la Corte le responsabilità sono da attribuire al "gruppo eversivo costituito a Padova, nell'alveo di Ordine Nuovo", di matrice neofascista, "capitanato da Franco Freda e Giovanni Ventura"

Piazza Fontana, il corteo a Milano per le vittime della strage di 50 anni fa. FOTO
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L'esplosione nella Banca Nazionale dell'Agricoltura avviene alle 16:37: nel grande salone dal tetto a cupola scoppia un ordigno contenente 7 chili di tritolo. La filiale è ancora piena di clienti, braccianti e piccoli imprenditori agricoli che stanno chiudendo transazioni o sistemando affari

La cronologia della strage e dei processi
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In quello stesso 12 dicembre del 1969, nel giro di poche ore, altri ordigni esplodono anche a Roma, all'entrata della Banca Nazionale del Lavoro, all'Altare della Patria (nella foto) e all'ingresso del Museo centrale del Risorgimento. A Milano una seconda bomba inesplosa viene trovata nella sede della Banca Commerciale Italiana, in piazza della Scala, e viene fatta brillare dagli artificieri

Piazza Fontana, Mattarella a Milano per i 50 anni dalla strage. FOTO
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Il 15 dicembre si svolgono in Duomo a Milano i solenni funerali delle vittime. La partecipazione della città è immensa: sono presenti 20mila persone nella cattedrale, 200mila nella piazza e nelle vie adiacenti, in un silenzio sgomento

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Nelle ore immediatamente successive alla strage in piazza Fontana le indagini si concentrano sulla pista anarchica. Vengono fermate decine di persone appartenenti a circoli anarchici di Roma e Milano, in particolare il Circolo 22 marzo della Capitale e il Circolo Ponte della Ghisolfa del capoluogo lombardo

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Tra i fermati c’è anche un anarchico che frequenta il Circolo Ponte della Ghisolfa: è Giuseppe Pinelli, ferroviere e staffetta partigiana durante la guerra. Il suo fermo dura oltre 72 ore: durante il terzo giorno di interrogatori, Pinelli precipita dal quarto piano della questura e muore durante il trasporto in ospedale (foto Wikimedia Commons)

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La morte di Pinelli, avvenuta in circostanze non chiare, suscita violente polemiche. Per il questore Marcello Guida si tratta di suicidio ed è la prova della colpevolezza del ferroviere. Dall’altra parte si alimentano sospetti e accuse che coinvolgono anche il commissario dell’ufficio politico della Questura Luigi Calabresi, al centro di una campagna d’opinione che lo accusa di essere presente nella stanza al momento della caduta di Pinelli

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La mattina del 17 maggio 1972 il commissario Luigi Calabresi viene ucciso a colpi di pistola sotto la sua casa di Milano. 36 anni dopo, nell’estate 1988, si riapriranno le indagini per l’omicidio: alla fine di un tormentato percorso processuale verranno condannati Leonardo Marino, Ovidio Bompressi, Adriano Sofri e Giorgio Pietrostefani, tutti esponenti di Lotta Continua, formazione della sinistra extraparlamentare

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La parola fine dal punto di vista giudiziario sulla morte di Pinelli viene pronunciata invece nell’ottobre 1975: per il giudice istruttore Gerardo D’Ambrosio, Calabresi non era presente nella stanza al momento della caduta di Pinelli e la morte dell’anarchico è dovuta a un “malore attivo”. Nessuna imputazione, quindi, per le persone coinvolte nell’interrogatorio

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La stessa notte della morte di Pinelli viene arrestato Pietro Valpreda, ballerino e militante anarchico

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A indicare Valpreda agli inquirenti è un tassista, che dice di averlo portato alla Banca nazionale dell’agricoltura il pomeriggio del 12 dicembre. Secondo le dichiarazioni del testimone, Valpreda sarebbe sceso con una valigetta e sarebbe tornato sul taxi senza di essa. Ma diversi elementi della testimonianza appaiono da subito contraddittori

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Valpreda rimane nel carcere di Regina Coeli per più di 3 anni, fino al 29 dicembre 1972, quando viene rimesso in libertà provvisoria per decorrenza dei termini di durata delle misure cautelari

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Dopo cinque processi, il 27 gennaio del 1987 Valpreda viene assolto con sentenza definitiva per insufficienza di prove dall'accusa di essere stato l'autore dell’attentato

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Intanto, già nei giorni successivi alla strage, era emersa la pista “nera”, scaturita dagli accertamenti delle Procure di Padova, Treviso e Venezia sulla provenienza dei timer e delle borse usate per contenere l'esplosivo, oltre che da alcune testimonianze molto attendibili che accusano i gruppi neofascisti padovani guidati da Franco Freda (nella foto a sinistra) e Giovanni Ventura (a destra)

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Comincia quindi la lunga stagione dei processi. Nell’aprile 1971 vengono arrestati Freda e Ventura. Il processo che si era aperto a Roma (con imputato Valpreda, che come detto verrà scagionato successivamente, e Mario Merlino, militante di destra infiltrato nei gruppi anarchici) viene trasferito prima a Milano e poi a Catanzaro

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Nel corso del processo agli indagati si aggiunge Guido Giannettini, l’agente Z dei servizi segreti del Sid e attivista dell’estrema destra. È il primo elemento processuale concreto che collega gli attentati del 1969 e i depistaggi da parte di settori dello Stato

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Nel 1977, il presidente del Consiglio Giulio Andreotti viene chiamato a testimoniare sulle circostanze in cui tre anni prima era stato opposto il segreto politico-militare ai magistrati che indagavano su Giannettini. Andreotti pronuncia 33 volte le parole “non ricordo” davanti alla Corte di Catanzaro

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Il 23 febbraio 1979 arriva la prima sentenza: i neofascisti Freda, Ventura e Giannettini vengono condannati come organizzatori della strage. Quattro anni e mezzo per Valpreda e Merlino per associazione sovversiva, assolti per la strage (nella foto, a sinistra Giannettini e a destra Freda)

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Nel 1981 nella sentenza d’appello tutti gli imputati vengono assolti dall'accusa di strage per insufficienza di prove, anche se Freda e Ventura sono condannati a 15 anni per le bombe del 1969 a Padova, Milano (25 aprile) e per le bombe sui treni (8 e 9 agosto). Per Valpreda e Merlino sono confermate le condanne per associazione a delinquere. Nella foto, nell'ordine: Freda, Ventura, Giannettini, Merlino

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Nel giugno 1982 la Cassazione annulla la sentenza d’appello, confermando solo l’assoluzione di Giannettini. Nel frattempo la procura di Catanzaro ha riaperto l’inchiesta sulla strage e viene spiccato un mandato di cattura nei confronti di Stefano Delle Chiaie, ex capo di Avanguardia Nazionale, formazione neofascista sciolta nel 1976

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Nel 1985, nel nuovo processo d’appello, che si tiene a Bari, la Corte d’assise assolve per insufficienza di prove Freda, Ventura, Merlino e Valpreda. La sentenza diventa definitiva con il pronunciamento della Cassazione il 27 gennaio 1987. Nel 1989 a Catanzaro viene assolto anche Delle Chiaie (nella foto, Ventura)

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A metà anni ’90 viene aperta un'inchiesta parallela a Milano, condotta dal giudice Guido Salvini, incentrata sull'attività dei gruppi eversivi dell'estrema destra

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La Procura di Milano chiude l'inchiesta nel 1998 e chiede il rinvio a giudizio per Carlo Maggi (capo di Ordine Nuovo nel Triveneto nel 1969), Delfo Zorzi, Giancarlo Rognoni (capo del gruppo estremista di destra chiamato La Fenice), Carlo Digilio e per i due ex appartenenti a Ordine Nuovo Andreatta e Montagner, accusati di favoreggiamento. Nella foto, nell'ordine: Zorzi, Maggi, Giancarlo Rognoni

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Franco Freda e Giovanni Ventura non sono imputabili nell’inchiesta di Milano perché assolti per gli stessi fatti nei precedenti processi di Catanzaro e Bari

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Vengono condannati all'ergastolo per strage Zorzi, Maggi e Rognoni, mentre i reati per Carlo Digilio, che intanto aveva collaborato, risultano prescritti

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Il 12 marzo 2004 la Corte d'assise d'Appello di Milano ribalta il primo grado e assolve Zorzi e Maggi per insufficienza di prove, e Rognoni per non aver commesso il fatto

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Dopo 11 processi in oltre 35 anni, nel 2005 la Cassazione conferma le assoluzioni decise in appello nel 2004 per i tre neofascisti - Delfo Zorzi, Carlo Maria Maggi e Giancarlo Rognoni - e fa calare il sipario su una delle pagine più nere della storia dell'Italia repubblicana

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Con il deposito delle motivazioni si chiude definitivamente la vicenda processuale. Per i giudici sarebbero provate la responsabilità di Freda e Ventura in ordine alla strage

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Secondo la Corte, l'eccidio del 12 dicembre 1969 fu organizzato da “un gruppo eversivo costituito a Padova nell'alveo di Ordine Nuovo” e “capitanato da Franco Freda e Giovanni Ventura”

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Nei 50 anni trascorsi da Piazza Fontana, non è stato mai individuato formalmente, né tantomeno indagato, l’esecutore materiale della strage, colui che lasciò la valigetta gonfia di tritolo sotto al tavolo ottagonale al centro della filiale della Banca dell’Agricoltura. Il gesto che cambiò per sempre la storia del nostro Paese

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