Il 23 dicembre 2019 il Tribunale di Milano assolve dall’accusa di aiuto al suicidio Cappato, che nel 2017 ha accompagnato Fabo - tetraplegico dopo un incidente - a morire in Svizzera, “perché il fatto non sussiste”. La Consulta aveva fissato criteri della non punibilità
Rimasto tetraplegico in seguito a un incidente stradale, Fabiano Antoniani, noto a tutti come dj Fabo, scelse di morire con il suicidio assistito in una clinica svizzera, il 27 febbraio del 2017. Con lui c’era Marco Cappato, esponente dell’associazione Luca Coscioni, che il giorno successivo si autodenunciò. La procura di Milano fu “costretta” ad accusarlo di aiuto al suicidio e per lui iniziò il processo, arrivato fino alla Consulta e conclusosi il 23 dicembre 2019 con l'assoluzione dell'esponente dei Radicali. La Corte costituzionale, chiedendo un intervento del Parlamento per colmare un "vuoto legislativo", aveva inizialmente rinviato a settembre 2019 il verdetto sull'aiuto al suicidio. Il Parlamento, però, negli undici mesi successivi non si era espresso e quindi era toccato ai giudici della Consulta decidere in materia. Il 25 settembre 2019 la Corte Costituzionale aveva aperto al suicidio assistito, decisione che ha poi portato all'assoluzione di Cappato da parte della corte d'Assise di Milano "perché il fatto non sussiste".
Chi era dj Fabo
"Sono sempre stato un ragazzo molto vivace. Un po' ribelle, nella vita ho fatto di tutto. Ma la mia passione più grande è sempre stata la musica. Così divento dj Fabo": con queste parole Fabiano Antoniani si descriveva, lanciando a Sergio Mattarella il suo primo appello affinché il presidente della Repubblica intervenisse sul fine vita. Aveva appena compiuto 40 anni, il 9 febbraio 2017, il dj nato a Milano che ha scelto di morire in una clinica in Svizzera.
La passione per la musica e i viaggi
La passione per la musica era cominciata all’età di sette anni, quando aveva iniziato a suonare la chitarra, ma molti anni dopo, a Ibiza, quella passione era diventata anche un lavoro, con l'inizio dell'avventura da disk jockey che lo aveva portato a lasciare il posto fisso a Milano per girare il mondo. Prima, diplomato da geometra, Fabiano aveva fatto diversi lavori. Era stato anche impegnato nel mondo delle moto nel reparto commerciale del team supermotard Daverio, continuando a fare gare sulle due ruote, fino al giorno in cui un infortunio gli aveva impedito di continuare a correre. Amava passare il tempo con gli amici e sentirsi libero di viaggiare. Folgorato dall'India, oramai dj affermato, si era trasferito lì, dove trascorreva otto mesi all'anno insieme alla fidanzata Valeria.
L’incidente e la paralisi
Durante uno dei rientri in Italia, proprio dopo una serata in un locale di Milano, un grave incidente gli cambia improvvisamente la vita in modo irreversibile. Fabiano diventa cieco e tetraplegico e dopo anni di terapie senza esito matura la precisa consapevolezza di voler porre fine alla sua vita: "Le mie giornate sono intrise di sofferenza e disperazione, non trovando più il senso della mia vita. Fermamente deciso, trovo più dignitoso e coerente, per la persona che sono, terminare questa mia agonia".
La morte in Svizzera
In seguito all’appello al presidente della Repubblica Sergio Mattarella e dopo il terzo rinvio della legge sul testamento biologico in Italia, dj Fabo decide di recarsi in Svizzera dove muore in una clinica il 27 febbraio 2017. È lui stesso, nel suo addio su Twitter, a descrivere con parole secche la situazione: "Sono finalmente arrivato in Svizzera, e ci sono arrivato purtroppo con le mie forze e non con l'aiuto dello Stato. Volevo ringraziare una persona che ha potuto sollevarmi da questo inferno di dolore, di dolore, di dolore. Questa persona si chiama Marco Cappato e la ringrazierò fino alla morte". Il suicidio assistito gli è amministrato dopo una visita medica e psicologica, servita a confermare la sua volontà di morire.
Il processo a Marco Cappato
"Fabo mi ha chiesto di accompagnarlo in Svizzera. Ho detto di sì", racconta poi su Facebook Marco Cappato, esponente dell’associazione Coscioni da sempre vicino alla causa del dj milanese. "Ha morso un pulsante per attivare l'immissione del farmaco letale: era molto in ansia perché temeva, non vedendo il pulsante essendo cieco, di non riuscirci. Al mio rientro in Italia, andrò ad autodenunciarmi, dando conto dei miei atti e assumendomene tutte le responsabilità". L’1 marzo 2017, Marco Cappato viene indagato in seguito all'autodenuncia ai carabinieri. Viene accusato di aiuto al suicidio, reato previsto dall'articolo 580 del codice penale, che prevede una pena dai 5 ai 12 anni di carcere.
La richiesta di archiviazione per Cappato
Nel maggio dello stesso anno, i pm di Milano Tiziana Siciliano e Sara Arduini chiedono l’archiviazione della posizione di Marco Cappato: "Le pratiche di suicidio assistito non costituiscono una violazione del diritto alla vita quando siano connesse a situazioni oggettivamente valutabili di malattia terminale o gravida di sofferenze o ritenuta intollerabile o indegna dal malato stesso". Qualche giorno dopo, però, il gip respinge la richiesta della Procura.
Imputazione coatta e richiesta di processo immediato
Il 10 luglio 2017, dopo che la richiesta d’archiviazione viene di nuovo respinta, il gip di Milano, Luigi Gargiulo, dispone l'imputazione coatta per Marco Cappato. "Il processo sarà un'occasione per processare una legge sbagliata dell'era fascista”, commenta il tesoriere dell'Associazione Luca Coscioni. "Esprimo tutto il mio rispetto per la scelta del Giudice per le indagini preliminari". Il 5 settembre, è lo stesso Cappato a chiedere di "andare immediatamente a processo", saltando la fase dell'udienza preliminare fissata per il 15 novembre. "Ho chiesto il giudizio immediato perché voglio che in Italia finalmente si possa discutere di come aiutare i malati a essere liberi di decidere fino alla fine", afferma.
Le fasi del processo
L’8 novembre inizia il processo nei confronti di Marco Cappato. Con la prima udienza parte anche una campagna web a sostegno di Cappato con l’hashtag #ConCappato. Durante le prime apparizioni del tesoriere in Corte d’Assise a Milano, vengono mostrati alcuni video per dimostrare le condizioni fisiche di dj Fabo e la lunga agonia cui sarebbe andato incontro nel morire senza supporto medico-farmacologico. Nell’udienza del 17 gennaio 2018, la Procura di Milano chiede l'assoluzione dell’imputato "perché il fatto non sussiste". Secondo i pm, "Marco Cappato non ha avuto alcun ruolo nella fase esecutiva del suicidio assistito di Fabiano Antoniani e non ha nemmeno rafforzato la sua volontà di morire". Il pm Tiziana Siciliano insieme alla collega Sara Arduini chiede in subordine alla corte d'Assise di eccepire l'illegittimità costituzionale dell'articolo 580 del codice penale, quello sull'aiuto al suicidio. Un mese dopo, il 14 febbraio 2018, la Corte d'Assise di Milano decide di chiedere alla Consulta la valutazione della legittimità costituzionale del reato di aiuto al suicidio contestato all'esponente dei Radicali. Nell’aprile dello stesso anno, il governo decide di costituirsi davanti alla Corte costituzionale nel procedimento sollevato dalla Corte di assise di Milano. In precedenza, l'associazione Luca Coscioni aveva lanciato un appello di giuristi sottoscritto da circa 15mila italiani per chiedere all’esecutivo di non intervenire a difesa del reato e dunque di non dare mandato all’avvocatura di Stato di costituirsi nel procedimento.
Il rinvio della Consulta: il Parlamento però non legifera
La Corte costituzionale, chiedendo un intervento del parlamento per colmare un "vuoto legislativo", ha rinviato a settembre 2019 il verdetto sull'aiuto al suicidio, che prende spunto dalla vicenda di Marco Cappato, leader dell'associazione 'Luca Coscioni' che ha accompagnato in Svizzera a morire dj Fabo. La decisione della Consulta è arrivata il 25: ha ritenuto - "in attesa di un indispensabile intervento del legislatore" - non punibile ai sensi dell’articolo 580 del codice penale, a determinate condizioni, chi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio di un paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile. "Da oggi siamo tutti un po' più liberi", il commento di Cappato.
L'assoluzione di Cappato: "Il fatto non sussiste"
Il 23 dicembre 2019 la corte d’Assise di Milano ha assolto Marco Cappato dall’accusa di aiuto al suicidio “perché il fatto non sussiste”. L’accusa aveva chiesto l’assoluzione del Radicale ricordando la sentenza della Corte costituzionale e spiegando come nella vicenda di dj Fabo ricorressero tutti i requisiti indicati dalla Consulta per la non punibilità dell’aiuto al suicidio. "Ho agito per libertà di scelta e per il diritto di autodeterminazione individuale”, ha detto l’esponente dell’associazione Coscioni. "Oggi Fabiano avrebbe festeggiato insieme a me, perché è una battaglia in cui credeva fin dall'inizio. È una battaglia per la libertà di tutti", ha commentato Valeria Imbrugno, fidanzata di dj Fabo.