Divorzi, come funziona la gestione degli animali domestici in tribunale? Cosa sapere

Cronaca
©IPA/Fotogramma

Introduzione

Nei patti di separazione e di divorzio sta diventando sempre più frequente l'inserimento di clausole relative agli animali domestici. Queste disposizioni stabiliscono giorni e orari precisi per le visite, replicando le modalità già adottate per i minori. Ma cosa succede quando manca l’intesa e si finisce in tribunale? Ecco cosa sapere.

Quello che devi sapere

Il vuoto normativo

Sempre più coppie che si lasciano mettono spesso nero su bianco patti precisi per stabilire l'affidamento e il tempo da trascorrere con i propri animali domestici, come cani e gatti. Questi accordi ricalcano le disposizioni già in uso per i figli. Tuttavia, questo approccio si scontra con una lacuna legislativa che lo rende precario e, in caso di disaccordo, quasi irrilevante. Infatti, una clausola sull'animale da compagnia inserita in un verbale di separazione non può essere fatta valere di fronte a un giudice del tribunale di famiglia. Nel caso in cui un ex partner non rispetti l'intesa, la disputa legale non viene affrontata in quell'ambito, ma in un'altra sede, dove vigono le regole antiquate e distaccate del diritto di proprietà. Questo vuoto normativo riduce una questione sentimentale a una semplice contesa sul possesso di un oggetto.

 

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Il caso

A questo proposito vale la pena ricordare un caso recente: il Tribunale di Rovigo, con un'ordinanza del 15 maggio scorso, ha respinto una richiesta d'urgenza (basata sull'articolo 700 del Codice di procedura civile) presentata da un uomo separato. L'uomo lamentava che la sua ex moglie gli impedisse di vedere il loro labrador, acquistato durante il matrimonio ma registrato solo a nome di lei. Inizialmente, l'accordo di separazione includeva un diritto di visita per l'uomo, che era stato rispettato. Tuttavia, dopo un ricovero in ospedale della donna, le visite si erano interrotte, fino a quando lei aveva trasferito la proprietà del cane a sua madre.

 

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Il giudizio del Tribunale

Il Tribunale ha prima di tutto ribadito che, secondo la legge italiana, gli animali domestici, pur essendo considerati esseri senzienti, sono trattati come "beni mobili" nelle cause legali che riguardano il diritto di visita. Il giudice ha specificato che il forte stress lamentato dall'uomo, che lui paragonava a un lutto, non può essere considerato un danno imminente tale da giustificare una procedura d'urgenza. Inoltre, il giudice ha sottolineato che "il nostro sistema giuridico non ha una normativa specifica per disciplinare l'affidamento degli animali domestici e il diritto di visita in caso di separazione o divorzio"

Cos’è la tutela possessoria

Per questo si parla di tutela possessoria, che in ambito civile serve a salvaguardare il possesso di un bene. Sebbene gli animali domestici siano considerati esseri senzienti, per la legge sono ancora classificati come beni mobili. L'applicazione di questa tutela a loro, quindi, acquisisce un significato particolare. Non si tratta di reclamarne la proprietà, come potrebbe avvenire per un'automobile o un mobile, ma di provare la presenza di un "compossesso", basata su un legame affettivo profondo. Il giudice non valuta quindi il nome registrato sul microchip, ma chi si è realmente preso cura dell'animale, chi ha condiviso la sua vita quotidiana e chi ha instaurato un rapporto significativo degno di tutela. È un tipo di protezione che riconosce l'importanza del legame di fatto esistente tra l'individuo e l'animale

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Vale anche per le coppie di fatto?

La tutela possessoria vale anche e soprattutto per le coppie di fatto, visto che in questo caso non c’è nemmeno la cornice di un accordo di separazione coniugale. A questo proposito vale la pena ricordare l’ordinanza del Tribunale di Pescara dello scorso 15 febbraio, che ha affrontato proprio il caso di una donna che, dopo una relazione di sette anni, si era vista negare la possibilità di vedere il cane con cui aveva convissuto. Il giudice ha dichiarato inammissibile il suo ricorso d’urgenza, ma ha esplicitamente indicato che esistevano tutte le condizioni per esercitare con successo l’azione di tutela possessoria, riconoscendo di fatto il suo legame e il suo diritto a proteggerlo

Il legame affettivo con l’animale

Ma come si dimostra il legame affettivo con il proprio animale domestico? L'affetto non è sufficiente; occorrono prove tangibili. Tra gli elementi che i giudici prendono in esame ci sono: la lunghezza della relazione di coppia, l'eventuale coabitazione e l'aver fornito cure regolari (come visite dal veterinario, acquisto di cibo o passeggiate). La Corte di Cassazione, con l'ordinanza 8459 del 2023, ha sottolineato che il legame deve essere saldo e provabile. In quella specifica circostanza, una relazione di soli quattro mesi non è stata considerata sufficiente per una donna che richiedeva la comproprietà e l'affidamento di un cane, che era di proprietà del suo ex compagno

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La presenza di figli minori cambia qualcosa?

In questo senso, occhio però alla presenza di minorenni, che può avere un peso determinante. Anche se il procedimento riguarda tecnicamente il “possesso” dell’animale, i giudici sono sempre più attenti al benessere psicofisico dei bambini coinvolti nella separazione. Negare ai figli la possibilità di continuare a frequentare il loro cane o gatto potrebbe essere considerato un grave pregiudizio per la loro serenità. Questo elemento può rafforzare notevolmente la posizione del genitore che chiede di poter continuare a vedere e tenere con sé l’animale, in quanto la tutela del legame tra il minore e l’animale diventa un interesse preminente da salvaguardare.

 

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