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Torino, assolti in appello per le botte alle figlie: “Nei campi rom c'è violenza”

Cronaca

Un uomo di 54 anni e una donna di 44, originari della Romania e provenienti da un campo nomadi, sono stati assolti dall'accusa di maltrattamenti nei confronti delle tre figlie piccole. Secondo la Corte d'appello, il “contesto” e le esperienze di vita della coppia li avrebbero portati a credere che “l'unico strumento disponibile per garantire ordine e disciplina in famiglia” fosse la violenza

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La Corte di appello di Torino ha assolto dall'accusa di maltrattamenti una coppia originaria della Romania e proveniente da un campo nomadi, accusati di aver picchiato le tre figlie. Secondo i giudici, la violenza dei genitori (il padre di 54 anni e la madre di 44) nei confronti delle bambine non rappresenta in questo caso un reato, perché il “contesto” e le esperienze di vita avrebbero portato la coppia a credere che “l'unico strumento disponibile per garantire ordine e disciplina in famiglia” fosse la violenza. Con la sentenza si chiude un processo dove si sono mescolati riferimenti continui alla cultura, alla mentalità e alla psicologia delle persone coinvolte. 

La vicenda

La storia comincia nel 2016 quando, nell'ambito di un progetto del Comune, la madre e i quattro figli (tre bambine e un bambino) lasciano il campo nome per stabilirsi in un alloggio a Torino, dove il padre va a fare visita di tanto in tanto. Poche settimane dopo, un'operatrice sociale nota che la donna ha "un occhio nero" e raccoglie la confidenza di una delle bambine: "Papà ha di nuovo picchiato mamma". Dopo una serie di accertamenti, inizia il processo a carico dei due genitori, accusati di maltrattamenti nei confronti delle bambine. La sentenza di primo grado si chiude nel 2021 con la condanna di entrambi i coniugi a due anni e sei mesi.

Il processo di appello

In appello tutto si ribalta. La Corte ha preso atto che nessuno ha mai visto sulle bambine segni di violenza e ha concluso che "l'intensità delle percosse non fosse elevata". Le maestre hanno anche dichiarato che a scuola le bimbe si presentavano vestite e pulite. L'accusa di maltrattamenti è però caduta per l'aspetto psicologico. Dopo che la difesa ha evocato "l'abituale contesto violento dei campi rom”, i giudici hanno richiamato "le peculiari condizioni del contesto familiare" sostenendo che ci fossero "notevoli dubbi sulla coscienza e la volontà degli imputati" di commettere un reato. Secondo la Corte, il padre e la madre "sapevano assumere anche quel ruolo di genitori amorevoli che, in quanto tale, non è compatibile con la consapevolezza di sottoporre le bambine a un regime di vessazioni". Due persone che, per formazione e impostazione mentale, "consideravano il metodo delle percosse come l'unico disponibile". Senza volerlo, l'imputata aveva addirittura confessato: "Io le sculacciavo quando erano discole, ma non perché sono una mamma cattiva: è per quello che facevano". 

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Le reazioni

"Una sentenza aberrante e paradossale", come l'ha definita la senatrice Paola Ambrogio (Fdi), che ha chiesto al Ministero della giustizia di mandare gli ispettori. A insorgere è stato anche l'assessore regionale Maurizio Marrone, secondo cui "è inaccettabile la resa istituzionale alla violenza insita nello stile di vita nomade, con il rischio di ufficializzare l'impunità di chi picchia, maltratta e delinque".

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