Oltre 1.500 apneisti si sfidano in tutta Italia in una gara di raccolta rifiuti dalle acque balneabili del nostro Paese. Vince chi raccoglie più plastica che, nel Mediterraneo, ha raggiunto il milione di tonnellate
Il Mediterraneo è malato. Non è mai stato così caldo: la temperatura media giornaliera sulla sua superficie ha toccato il record di 28,7° Celsius nel 2023 (la più alta mai registrata dal servizio europeo Copernicus dal 1982, quando sono iniziate le osservazioni). Il surriscaldamento e la proliferazione di specie aliene mettono a rischio la sua biodiversità, rappresentata da circa 17.000 specie marine differenti. Ma, soprattutto, il nostro mare è invaso dalle plastiche: secondo il report “The Mediterranean: Mare Plasticum” dell’Unione internazionale per la conservazione della natura, nel bacino del Mediterraneo si trova oltre un milione di tonnellate di plastica. Per arginare il problema, almeno nelle acque balneabili italiane, centinaia di apneisti si radunano ogni anno in una decina di città italiane per raccogliere i rifiuti - sott’acqua e a riva – che inquinano le spiagge italiane. Sono le “sentinelle” del Mediterraneo dell’organizzazione di volontariato Spazzapnea.
Una gara a premi
Per i sub, almeno in parte, è una gara a premi. I fondatori, del resto, sono ex-apneisti agonisti: “Concorrono squadre di tre persone – spiega il presidente Paolo Acanti – e la formula prevede un punteggio assegnato a seconda del rifiuto trovato”. In altre parole, un chilo di plastica vale più punti di un chilo di ferro, meno pericoloso per l’ambiente marino. “Alla fine viene redatta una classifica – continua – e vince chi ha rimosso i rifiuti più pericolosi per il mare”. Ma non solo. Perché la competizione prosegue, in contemporanea, anche a riva, dove bambini e adulti possono concorrere raccogliendo i rifiuti che inquinano le spiagge.
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Chi getta i rifiuti in acqua?
Il merito di Spazzapnea non si ferma alle oltre 10 tonnellate di scarti rimossi dai fondali italiani in sei anni, ma prosegue nella ricerca. Assistiti da un team di biologi marini, le “sentinelle” raccolgono dati per comprendere le origini dell’inquinamento marino. I risultati? “Abbiamo scoperto che alla foce dei fiumi – prosegue Acanti – ci sono tantissimi rifiuti che purtroppo vengono portati a valle durante le piene e durante le alluvioni, immessi dalle discariche abusive di materiale lungo i torrenti”. Ma si trovano anche reti abbandonate sul fondale dai pescatori e moltissimi residui di ristrutturazione di ville sul mare, i cui rifiuti sono abusivamente gettati in mare in lunghissimi tratti di costa.
“Un’esperienza unica”
Giovanni Gastaldi non ha dubbi: “Siamo quasi tutti apneisti e pescatori, siamo competitivi e la viviamo come una vera e propria gara”. Per lui, concorrente vincitore nel 2022, il segreto di Spazzapnea è il felice connubio fra competizione e sfida ambientalista. Partecipando da anni, il suo è ormai un occhio esperto che ha visto bottiglie, lattine, cabine degli stabilimenti balneari, rubinetti, tubi e persino carrelli. Il bilancio, però, non è del tutto negativo: “Negli anni troviamo fondali più puliti – ammette – ma il problema più grave è che vediamo moltissime microplastiche, o plastiche di 1-2 centimetri, in mezzo alle alghe che non riusciamo a rimuovere”.
L'Italia sul podio dei Paesi inquinanti
Quello delle microplastiche, del resto, non è un problema da poco. Secondo uno studio commissionato dal Wwf all’Università australiana di Newcastle, ingeriamo all’anno 5 grammi di microplastiche all’anno, un peso equivalente a quello di una carta di credito. Secondo altre ricerche, la quantità è inferiore ma il problema non meno grave. Tonnellate di microplastiche, di difficile gestione nei mari, entrano facilmente nella catena alimentare marina: oltre un pesce su tre e circa nove uccelli su dieci ingeriscono plastiche (dati Wwf). Che rischiano di finire pure sulle nostre tavole. I responsabili siamo anche noi. L’Italia, con Egitto e Turchia, è fra i paesi che contribuiscono di più all’inquinamento da plastica nel Mediterraneo. Insieme, questi tre Paesi sono responsabili della dispersione di circa il 50% dei rifiuti plastici che finiscono in mare (132.000 tonnellate all’anno, secondo il report Iucn).