Marco Mancini, l'ex agente segreto a Sky TG24: "Bisogna catturare Sinwar a Gaza"

Cronaca
Massimiliano Giannantoni

Massimiliano Giannantoni

Dall'inizio carriera nella squadra speciale dei carabinieri guidata dal Generale Dalla Chiesa, fino ai 35 anni trascorsi nell'intelligence del nostro Paese. L'ex 007, che ha da poco pubblicato un libro intitolato "Le regole del gioco", si racconta. Soffermandosi anche sulla guerra in Medio Oriente, il rischio di attentati in Italia e il cyberterrorismo di origine russa

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Marco Mancini, ex capocentro dei servizi segreti militari italiani, le regole del gioco le conosce bene. Le ha imparate grazie ai 35 anni passati nell’intelligence e prima ancora nella squadra dei carabinieri del Generale Dalla Chiesa. Ormai in pensione (forzata, come ama sottolineare con molto disappunto) ha deciso di raccontare parte della sua carriera al servizio dello Stato in un libro, che guarda caso,  si intitola proprio Le regole del gioco. Lo abbiamo incontrato a Cervia e a Sky TG4 ha regalato una lunga intervista dove ha affrontato diversi temi di attualità, come la guerra in Medioriente, il pericolo attentati in Italia, il cyberterrorismo di matrice russa ed infine ci ha raccontato la sua versione di alcuni fatti che lo hanno visto protagonista, come il caso Telecom-Sismi, il sequestro di Abu Omar e non ultimo l’incontro a Fiano Romano con Matteo Renzi.

L'impegno con la sezione speciale anticrimine del Generale Dalla Chiesa

Prima di iniziare l’intervista ci avverte: “Devo stare attento a non rivelare cose coperte dal segreto di Stato, sennò si finisce in galera e io in galera per questioni “di Stato” ci sono già finito, ma sappia che sono stato prosciolto da tutte le accuse sempre in udienza preliminare. Purtroppo quando sono stato coinvolto in questi casi sono finito sulle prime pagine dei giornali. Al mio proscioglimento hanno sempre regalato solo un trafiletto. Mi hanno detto che non facevo più notizia”. Marco Mancini ci tiene a sottolineare che prima di diventare un agente segreto è stato un carabiniere: “Ho fatto parte dalla sezione speciale anticrimine guidata dal Generale Dalla Chiesa, un uomo eccezionale a cui devo molto. Sotto il suo comando ho vissuto gli anni di piombo. Ho arrestato Sergio Segio, uno dei terroristi più ricercati d’Italia senza sparare un colpo. Potevamo ucciderlo, ma non lo abbiamo fatto. Ma ho messo le manette anche a Marco Affatigato e a molti altri. Quando è morto il generale Dalla Chiesa, mi è crollato il mondo addosso e ho deciso di congedarmi”.

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Marco Mancini a Ciampino mentre aiuta a scendere dall'aereo la giornalista del Manifesto Giuliana Sgrena, ferita, dopo il rapimento in Iraq. Era il 5 marzo 2005

Il lavoro come agente segreto? Tutto è iniziato grazie a un prete

È stato uno degli 007 più famosi del nostro Paese ma deve la sua carriera nei Servizi segreti al parroco della sua città natale. “È stato don Isidoro a farmi entrare nel SISMI. Lo incontrai in chiesa e lui mi disse: Non sei più un carabiniere? Allora vieni con me a Roma, lì conosco il generale Ninetto Lugaresi, è un amico di vecchia data, gli ho già parlato di te. Ricordo che andammo insieme nella Capitale usando una piantina della città tenuta in mezzo al Vangelo. Incontrammo Lugaresi al Ministero della Difesa e di lì a poco entrai a far parte dell’intelligence militare”. Da agente segreto Mancini ha sventato, parole sue, l’11 settembre italiano. “Era il 2004, e le nostre fonti in Medioriente ci avevano rivelato che Mikati, referente di Al Qaeda in Libano, stava pianificando un attentato alla nostra ambasciata a Beirut. Lo catturammo proprio mentre faceva un sopralluogo per misurare lo spessore dei muri. Sequestrammo 400 kg di tritolo. Se fosse esploso tutti gli italiani presenti in ambasciata sarebbero morti”.

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L'attacco di Hamas del 7 ottobre? "La prima cosa da fare è catturare Sinwar"

Sfruttiamo l’esperienza mediorientale di “doppio Mike”- questo è  stato per anni il nome in codice di Marco Mancini - per parlare di quanto sta accadendo in Palestina. “Quando ho visto le immagini del 7 ottobre con l’attacco degli uomini di Hamas ai cittadini israeliani, ho pensato che lo Shin Bet e il Mossad, i servizi segreti di Tel Aviv, avessero subito la penetrazione da parte dei terroristi che avevano sicuramente sviluppato tematiche di humint, cioè avevano cercato informazioni prima di agire. Ritengo che Israele abbia impegnato tutta la sua attività di controspionaggio, forse in maniera un po' così superficiale, solo sulla tecnologia e non sul campo. Mi sembra strano che nessuna informazione fosse stata percepita, fosse stata acquisita da nessun servizio segreto, circa l’imminenza di un attentato . In questo momento ritengo che la prima cosa da fare sia catturare Sinwar, il capo di Hamas, e poi liberare gli ostaggi. Solo dopo si potrà pensare a una trattativa tra Israele e la Palestina. La presenza della Cia sul territorio mi fa pensare che prima o poi si arriverà a una soluzione”.

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Le tensioni in Medioriente e i rischi che corre l'Italia

Le tensioni in Medioriente possono far innalzare l’allarme terrorismo in Italia. Il nostro Paese rischia un attentato sul proprio territorio? “Fortunatamente in Italia abbiamo delle forze di polizia molto preparate, capaci di svolgere una attività di prevenzione molto concreta. Recentemente sono stati arrestati a Brescia dei presunti terroristi e vedremo come andrà a finire. Sul nostro territorio abbiamo sicuramente un problema di transito di persone in qualche modo pericolose per la sicurezza nazionale. Recentemente è stato ucciso a Bruxelles un terrorista che era transitato anche lui dall’Italia”.

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Gli attacchi hacker contro l'Italia? "Serve più attività di controspionaggio"

Il nostro Paese negli ultimi anni, specialmente dopo lo scoppio della guerra in Ucraina, ha subito diverse azione di hackeraggio. In molti hanno puntato il dito contro la Russia. Cosa sta accadendo realmente e perché l’Italia è così interessante per i cyber terroristi? “Questi attacchi sono aumentati proprio verso il nostro Paese. Non capisco perché non abbiamo ancora individuato una persona che abbia posto in essere queste azioni. Magari abbiamo individuato la zona geografica che delinea questi attacchi verso di noi ma poi abbiamo evidenti difficoltà a individuare nome e cognome di questi elementi. Penso che anche in questo caso bisogna riprendere, non le regole del gioco, ma riprendere ciò che deve fare una intelligence, cioè penetrare i gruppi di hacker che sono alle volte anche dei gruppi terroristici. Acquisire fonti, in modo da neutralizzare all’origine questi attacchi verso di noi. Se uno non fa il proprio lavoro nei servizi segreti c’è qualcun altro che lo fa. Quindi prende il tuo posto. Bisogna rafforzare il controspionaggio, non solo in Italia ma soprattutto negli altri Paesi, proprio lì da dove partono le minacce contro di noi. È impossibile non pensare di penetrare ambiti di altri Paesi dove si decidono le strategie per aggredire l’Italia. Questo i servizi segreti devono fare contro i gruppi criminali che mandano clandestini in Italia dall’Africa, e ancora nei balcani e anche in Russia. È impossibile non pensare a questo. Dobbiamo fare di più”.

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Marco Mancini

Casi Telecom e Abu Omar coperti dal segreto di Stato

Veniamo alle note dolenti. Dei casi Telecom e Abu Omar non si può parlare, “c’è il segreto di Stato, mica mi vuole far finire in galera?” mi dice sornione Mancini. “Il segreto di Stato prevede per chi lo infrange una pena molto elevata. Quindi bisogna sottostare al segreto di Stato, non per mia sponte ma perché è così. Io ho ricevuto durante il processo per Abu Omar una lettera, tramite il direttore del DIS e il presidente del Consiglio, dove mi si ordinava di non rispondere alle domande dei giudici, dei pubblici ministeri e degli avvocati, sennò avrei commesso un reato che forse era più grave del sequestro. Quindi né io né i miei colleghi abbiamo potuto difenderci”.

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Le polemiche dopo l'incontro a Fiano Romano avuto con Renzi

Del suo incontro del 23 dicembre del 2020 con Matteo Renzi all’autogrill di Fiano Romano invece ci tiene a precisare: Ci dovevamo vedere in Senato per gli auguri di Natale. L’incontro saltò. Mi chiamarono e mi dissero che era possibile salutarci a Fiano Romano. Non andare sarebbe stata una scortesia. Tornando indietro non lo rifarei perché il clamore di quell’incontro mi è costato il posto di lavoro”. Ha pensato per caso che qualcuno ce l’avesse con lei?  “Guardi, ci sono cose che fanno pensare. Nel 2019 Annalisa Chirico sul Foglio fa una intervista a Scafarto, un maggiore del NOE, recentemente condannato. Questo militare affermava tranquillamente di aver passato dei file di una indagine a Forte Braschi, la sede dei servizi segreti. E io sono rimasto meravigliato perché di quei documenti non sa niente nessuno. Non so se sono informazioni contro di me acquisite da un ufficiale di polizia giudiziaria e trasmesse a una agenzia. Ma quale era la finalità? Me lo chiedo, per quale motivo? Io ero già al DIS, non capisco perché”.

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