Benedetta Durini: "Mia sorella Noemi come Giulia Cecchettin. Basta sminuire la violenza"

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Giulia Mengolini

Giulia Mengolini

"Davanti a tragedie come quella di mia sorella, ci si trova davanti a due scelte: farsi sovrastare dal dolore, o trasformarlo aiutando le altre donne", racconta a Sky TG24 Benedetta Durini, la cui sorella venne uccisa nel 2017 dall'ex che non accettava la fine della relazione. E alle ragazze dice: "Non è compito nostro salvare gli uomini, scappate ai primi segnali di tossicità. L'amore non è mai abuso"

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Non mostri, non soggetti malati: “solo” uomini violenti, incapaci di accettare che la persona che dicono di amare possa essere libera, libera anche di non volerli più. Come avevano deciso Giulia Cecchettin, Noemi Durini, e molte altre vittime di femminicidio. Sono “figli sani di una cultura patriarcale, della cultura della stupro”, ha detto a chiare lettere nei giorni scorsi dalla villetta di Vigonovo, Elena Cecchettin, sorella di Giulia, diventata volto della lotta alla violenza di genere. L’ennesimo femminicidio ha fatto esplodere unanime la rabbia delle donne, che unite da un grido di dolore diventato insopportabile e impossibile da silenziare, si sono riunite nelle piazze per pretendere che questa strage sia fermata. Elena Cecchettin si è rivolta ai maschi della sua età, quei maschi come Filippo Turetta, che di segnali allarmanti di possesso e controllo ne aveva mostrati, ma che siamo troppi abituati a minimizzare perché quelli come lui in fondo sono “bravi ragazzi”. "Fatevi un esame di coscienza”, è stato l’appello di Elena, “poi imparate da questo episodio e iniziate a controllare, a richiamare anche gli altri vostri amici, perché da voi deve partire questo. Perché noi donne possiamo imparare a difenderci, ma finché gli uomini non fanno un esame di coscienza non andremo da nessuna parte”.

La storia di Noemi Durini, dalla scomparsa al femminicidio

Sono passati sei anni da quando un altro femminicidio la cui storia è iniziata con una scomparsa avveniva dall’altra parte dell’Italia, quello della 16enne Noemi Durini, che occupò per settimane le pagine della cronaca nazionale. E da quando un’altra sorella maggiore ha iniziato una battaglia perché non accadesse più. Invece è successo ancora, e non ha mai smesso di succedere. Noemi, di Specchia, in provincia di Lecce, scomparve da casa il 3 settembre 2017. La madre Imma aveva denunciato il ragazzo con cui stava la figlia, ma nessun provvedimento cautelare era scattato. Dopo dieci giorni di ricerche incessanti venne trovato il suo corpo sotto un cumulo di pietre a San Giuseppe di Castrignano del Capo. Fu l’ex 17enne Lucio Marzo, condannato a una pena di 18 anni e otto mesi, a indicare ai carabinieri dove aveva occultato il cadavere di Noemi, dopo averla seppellita ancora in vita. In questi sei anni abbiamo contato centinaia e centinaia di donne uccise da partner o ex partner, ma nulla sembra essere cambiato, denuncia oggi la sorella Benedetta a Sky Tg24: “La violenza di genere è un fatto di Stato, vanno attivate misure tempestive sia a livello sociale e preventivo, sia a livello legislativo. Io come donna e come me molte altre, siamo sgomentate ma allo stesso tempo sempre più agguerrite per combattere insieme questa ardua lotta culturale”. Perché, sottolinea Benedetta, vicepresidente dell’Associazione Casa di Noemi nata nel 2018, “la violenza di genere è un fenomeno ancora minimizzato, sia socialmente che istituzionalmente”.

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Sia la vicenda di Giulia Cecchettin che quella di tua sorella Noemi sono iniziate con una scomparsa e si sono concluse con lo stesso terribile epilogo.

Sì, nel caso di Noemi le ricerche durarono dieci giorni. Con mia madre fin dal primo giorno ci siamo impegnate per cercarla nelle campagne, nei casolari abbandonati, sotto la terra, dentro ai pozzi, in mare. Ovunque, di notte e di giorno. Ricordo che in quei giorni terribili avevo sempre con me una brioche in borsa, l’unica cosa che riuscivo a mangiare.
 

Anche la vostra famiglia, come quella di Cecchettin, aveva capito subito che non si trattava di allontanamento volontario.

Assolutamente. Io e mia madre siamo riuscite ad acquisire i filmati delle telecamere, tra cui quella che inchiodava il suo assassino mentre la faceva salire in macchina. Grazie a quell’elemento le forze dell’ordine hanno capito che Noemi non si era allontanata di sua spontanea volontà, cosa che noi avevamo detto sin da subito vedendo le nostre preoccupazioni minimizzate. E poi l’epilogo peggiore possibile, quello del 13 settembre.
 

Da sorella, ti sei rivista nel ruolo di Elena Cecchettin in questa battaglia?

Sì, mi sono rivista in Elena, e come lei dopo quello che è successo a mia sorella ho trovato la forza nella lotta al contrasto della violenza di genere con l'associazione presieduta da mia madre. E poi la vicenda di Giulia ha molte similitudini con il caso di mia sorella. Giulia e Noemi erano entrambe vittime di un senso di colpa che i loro carnefici hanno piano piano seminato e colto.

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Noemi Durini.
Noemi Durini.

Cosa ricordi del rapporto che avevano tua sorella e quello che sarebbe diventato il suo assassino?

Noemi e Lucio Marzo stavano insieme da un anno, ma il loro rapporto negli ultimi mesi, si era trasformato in qualcosa di tossico e disfunzionale. Noemi aveva deciso di porre fine alla relazione e per questo lui ha deciso di porre fine alla sua vita. Abbiamo fatto il possibile per fermalo appena abbiamo recepito i primi segnali. Ci siamo rivolte ai carabinieri con delle denunce, ai servizi sociali e al tribunale dei minori. Nessuno ci ha ascoltate. Mai. Minimizzavano e ci dicevano che erano “ragazzate”. Finché poi le donne non vengono ammazzate.

I campanelli d’allarme sono fondamentali per riconoscere un uomo violento. Ancora vengono sottovalutati elementi di possesso come controllare il cellulare della partner o impedirle di uscire con le amiche. Quali segnali manifestava Marzo?  

I campanelli d’allarme in una relazione tossica sono numerosi: privazione della libertà, controllo maniacale sulla propria vita privata, lavorativa, familiare, il controllo economico, la manipolazione, il senso di colpa, la svalutazione, il possesso, l’isolamento, lo stato costante di stress ed ansia. Marzo non voleva che mia sorella uscisse da sola con le amiche, non voleva nemmeno che andasse a danza. E le diceva di indossare un maglione lungo per coprirsi il più possibile. Quando vidi in lui questi atteggiamenti abusanti la misi subito in guardia, e andai a parlare con lui riferendo chiaramente di interrompere la relazione con mia sorella.
 

Ma lui non voleva saperne. Noemi era consapevole della tossicità dei suoi atteggiamenti?
Inizialmente non è stato facile, perché chi è vittima spesso non ha la piena consapevolezza di esserlo, e Noemi era sottoposta a costanti sensi di colpa derivati dal suo “senza di te mi ammazzo” (la stesso ricatto emotivo che usava Turetta con Giulia Cecchettin). Ma una volta che Noemi aveva raggiunto quella consapevolezza e interrotto la relazione, lui non poteva permettere che accadesse. E ci fu l’ultimo appuntamento chiarificatore. Quello da cui Noemi non fece più ritorno a casa.
 

Nell'agosto di quest'anno Lucio Marzo è stato fermato dalla polizia in stato di ebbrezza durante un permesso premio e ha tentato di fuggire.
Sì, proprio per via di questo episodio io e la mia famiglia abbiamo scoperto pochi mesi fa che già da tre anni beneficiava di permessi premio nonostante abbia scontato ad oggi solo un terzo della pena. Mi piacerebbe leggere la relazione stilata nell’istituto per minorenni, perché ci tengo a ricordare che lui nonostante gli attuali 24 anni, fino a prima del 13 settembre 2013 era recluso nell’istituto per minorenni. Abbiamo dovuto batterci perché venisse trasferito in un carcere "per adulti".

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Da sorella, dove hai trovato la forza per affrontare una dolore così profondo?

In quei momenti la mia unica forza era poter dare giustizia a Noemi aggiungendo tasselli mancanti su tante cose che non erano chiare, e l’unico modo che avevo per non abbandonarmi al dolore era quello di rendermi parte attiva nel processo, nello studio delle carte e nei contatti con legali e consulenti tecnici, che ancora ringrazio. Ho anche frequentato un master in Criminologia. A distanza di sei anni mi occupo di aiutare donne vittime di violenza. La mia voce è la voce di Noemi e di chi non ha più la possibilità di potersi difendere. Davanti a tragedie come quella di mia sorella, ci si trova davanti a due scelte: farsi sovrastare dal dolore, oppure tramutarlo in qualcosa di “positivo”. Lo faccio ogni giorno aiutando le donne vittime di violenza.

 

Oggi è il 25 novembre. Cosa vuoi dire oggi alle ragazze che cercano di “salvare” gli uomini che minacciano di non poter vivere senza di loro?

Alle ragazze dico che non sono un centro di ricovero per uomini malati. Questi uomini non possono essere salvati e tantomeno è nostro compito salvarli. Appena recepite questi segnali di pericolo, scappate, chiedete aiuto, parlatene con familiari, con parenti e sorelle, madri e padri, professionisti, e scappate. Il possesso è abuso, è finta gelosia mascherata da tossicità che la nostra cultura patriarcale, come ci insegna la storia, ha tramandato come “normalità” e “amore” “interesse”. Non presentatevi mai al famoso appuntamento chiarificatore, e ai primi segnali di pericolo, denunciate. L’amore non è mai abuso. L’amore è libertà, è luce, non è mai buio. Non umilia e non uccide.

 

Lo ribadite anche con il lavoro che fate tu e tua madre con l’Associazione Casa di Noemi.

Sì, è nata proprio nata per sensibilizzare sulla tematica della violenza di genere, sul bullismo e sugli stereotipi di genere. Il nostro scopo è quello di parlare ai più e alle più giovani, nelle scuole e nelle piazze.
 

Come ti piace ricordare Noemi?

Pensandola libera, che danza tra le luci colorate di un arcobaleno. Mia sorella amava la danza come amava la vita.

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