Come si convive con allergie alimentari? La storia di Martina

Cronaca
Ludovica Passeri

Ludovica Passeri

Dal kit salvavita alla scelta dei locali dove mangiare fuori: la straordinaria normalità di una ragazza con un'allergia multipla di grave entità. A che punto siamo con i diritti degli allergici?

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“In ogni mio spostamento non può mai mancare il kit salvavita”. Martina Stratini, 27 anni, tira fuori dalla borsa un inalatore spray, cortisonici e antistaminici vari, ma soprattutto due punture di adrenalina. Averne una di riserva è fondamentale, in caso la prima si rompa o sia difettosa. È allergica a molti alimenti, in particolare ai cereali e alla frutta a guscio. "Sono a rischio shock anafilattico", spiega. Le abbiamo chiesto di raccontarci come si vive con un'allergia multipla grave nel 2023.

L’esordio

“Io e le allergie siamo nate insieme. La diagnosi – racconta – è arrivata quando avevo solo due mesi ed ero allergica al 90% degli alimenti. I miei genitori si sono trovati negli anni Novanta a gestire una bambina con problemi grossi, che poteva mangiare quasi niente. Ai tempi era ancora un tabù”.  Ora Martina è allergica a grano, orzo e farro, noci e nocciole, ma fino a qualche anno fa l'elenco era molto più lungo. 

 

Le prime volte

Per un'allergica le prime volte più importanti sono quelle in cui si assaggia qualcosa di nuovo, grazie ai percorsi terapeutici. "A 11 anni ho potuto provare la cioccolata, a 13 l'uovo, a 20 il mais e quindi passare una serata al cinema sgranocchiando popcorn. Sembra una cosa banale ma per me sono stati traguardi importanti e sensazioni bellissime". Sul suo profilo Instagram documenta questi passi avanti. "Che sapore ha la felicità? Forse ancora non lo so – scrive – però oggi, dopo 26 anni, ho scoperto che sapore abbia il gelato al pistacchio. Qualcosa di banale, lo so, ma non per me”. Come può mancare una cosa che non si è mai assaggiata? "È l'essere cosciente che forse non potrai mai sapere che sapore abbia", risponde.

 

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Allergie e vita sociale

Vivere con un’allergia grave significa anche che il pericolo può insinuarsi nei momenti più belli, quelli della convivialità, nelle cene con gli amici, in una festa di compleanno, in un aperitivo o magari in una vacanza, quando si è lontani migliaia di chilometri da casa e si è senza difese. "Sicuramente oggi una persona allergica può vivere una vita migliore rispetto alla mia infanzia e adolescenza, ma c'è ancora molta strada da fare se parliamo di diritti. Per ristoranti e bar, nonostante siano presenti moltissimi corsi obbligatori, è ancora difficile comprendere la differenza tra allergia e intolleranza, tra allergia al frumento e celiachia. Le giuste regole per la non contaminazione, poi, vengono spesso ignorate”. Bisogna sapersi organizzare. “Non ci si può permettere il lusso di essere impreparati e soprattutto ci si deve circondare da persone che ti includano. A fare la differenza è l’amico che ti invita a pranzo a casa sapendo che dovrà avere certe attenzioni o che pensa a te nello scegliere il locale più adatto per passare una serata spensierata”.

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Fidarsi delle etichette?

Un altro fronte delicato è quello dell’etichettatura dei cibi. “Il mio rapporto con le etichette è contrastante: mi fido e non mi fido allo stesso tempo”. Martina rilegge ed esamina la lista di ingredienti decine di volte, ma spesso non basta. Una distrazione propria oppure l’errore di chi ha confezionato il prodotto possono rivelarsi letali. Per un’etichetta sbagliata o omissiva si muore, come testimonia anche l’ultimo caso di cronaca. Una ventenne è morta a Milano, lo scorso febbraio, per shock anafilattico: aveva mangiato un tiramisù “vegano” con presenza di tracce di latte non dichiarate. Ogni anno vengono registrate in media 40 morti per anafilassi tra punture di insetto e allergeni alimentari, secondo Food Allergy Italia APS, un dato che potrebbe essere sottostimato. Per Martina è inevitabile rivedersi nelle storie degli altri. All’indomani dell’ennesima tragedia nel 2018 affidava a Facebook i suoi pensieri: “...il caso di Chiara, cliente abituale del ristorante dove ha cenato per l'ultima volta, ci dimostra che niente è prevedibile. Che puoi conoscere a memoria i tuoi limiti e sapere come curarli ma che niente avrà inevitabilmente lo stesso lieto fine”. Con questo senso di precarietà convive un allergico.

 

“Un mondo più inclusivo”

Non servono solo interventi mirati – quelli più urgenti sono legati alla facilitazione dell'accesso ai farmaci salvavita, alla formazione del personale scolastico e alle linee guida precise per i gestori dei locali. Martina insiste sull'importanza di un cambio di prospettiva più generale, di una rivoluzione culturale prima che politica e burocratica: "Nel mio mondo ideale un allergico può andare al ristorante in tranquillità senza dover ripetere le cose 20 volte e dover chiamare nei giorni precedenti per assicurarsi che ci sia sensibilità sul tema e che le proprie esigenze saranno tenute in conto, senza dover obbligatoriamente cercare un appartamento con angolo cottura quando va in vacanza. In un mondo davvero inclusivo – continua –contano anche i diritti e il benessere delle persone allergiche".

 

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