Matteo Messina Denaro, curiosità e silenzi nel quartiere dove viveva il boss

Cronaca
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A Campobello di Mazara, l’appartamento del boss in vicolo San Vito dista poche centinaia di metri dal bunker trovato ieri in via Maggiore Toselli. Fra i due luoghi c'è un reticolo di strade che si snodano nel quartiere Guagana, dove ha casa Andrea Bonafede, presunto prestanome di Messina Denaro. In tanti, dalla strada o dai balconi, hanno osservato le operazioni dei carabinieri e degli uomini del Gico, mentre a Castelvetrano i giovani sono scesi in piazza per dire "grazie" a forze dell'ordine e magistratura

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Dopo l’arresto di Matteo Messina Denaro, Campobello di Mazara - paese di 11mila abitanti - è balzato al centro delle cronache. Il boss, latitante da 30 anni, viveva lì, in un appartamento di vicolo San Vito a poche centinaia di metri dal quale aveva fatto costruire un bunker, scovato ieri da carabinieri e Gico della Guardia di Finanza in via Maggiore Toselli. E così il quartiere si è ritrovato con gli occhi del mondo puntati addosso: “Così tante macchine di carabinieri a Campobello di Mazara non si erano mai viste”, ha detto un cliente uscendo dal supermercato che si trova a due passi dall’appartamento che ospitava quello che fino a due giorni fa era il criminale più ricercato d'Europa (LO SPECIALE DI SKY TG24).

Gli abitanti del quartiere osservano ma non commentano

Dopo le prime indiscrezioni sul ritrovamento del bunker, in via Maggiore Toselli arrivano due vetture civetta con gli uomini del Gico della Guardia di finanza. Una scena che non passa inosservata a quanti si affacciano dalle finestre. C'è chi spia da dietro le persiane, chi, invece, si affaccia dal terrazzo e chi osserva da un ponteggio di un vicino cantiere edile. I 50 metri di strada, nel tratto compreso tra la via Cusmano e la via delle Rose, sono pieni di carabinieri e degli uomini col Mefisto (il passamontagna utilizzato dalle forze dell'ordine) che appartengono al Gico. A coordinare le operazioni c'è il procuratore aggiunto di Palermo Paolo Guido, il colonnello del Ros Lucio Arcidiacono e il comandante dei carabinieri di Trapani Fabio Bottino. La curiosità dei passanti crea capannelli e il nome di Ernesto Risalvato, proprietario della casa in cui si trova il bunker e originario di Castelvetrano, trapela da alcuni abitanti del quartiere poche decine di metri distanti dal covo, ma nessuno è disposto a commentare ciò che sta succedendo in paese.

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Il quartiere Guagana

Fra l’appartamento di vicolo San Vito e il bunker di via Maggiore Toselli c'è un reticolo di strade che si snodano nel quartiere Guagana, lo stesso dove ha casa Andrea Bonafede, presunto prestanome di Messina Denaro. Ma è anche il quartiere dove viveva il boss defunto Leonardo Bonafede, zio di Andrea. Lì i movimenti dei carabinieri non passano inosservati, c'è chi si ferma a guardare, appena dopo le 17, quando i carabinieri entrano a casa di Laura Bonafede, la figlia di Leonardo, nella centralissima via Roma.

L'immagine di Andrea Bonafede, il prestanome di Matteo Messina Denaro, diffusa dai carabinieri

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A Castelvetrano persone in piazza per ringraziare le forze dell’ordine

Le indagini stanno svelando un filo che lega Campobello di Mazara alla città natale del boss, Castelvetrano, a 5 km di distanza, che ieri mattina si è svegliata con il grido dei giovani scesi in piazza per dire "grazie" a forze dell'ordine e magistratura. “La notizia del boss finito in cella è stata inaspettata e ci da tanto sollievo - ha detto Tania Barresi, dirigente scolastico dei licei cittadini -, speriamo che l'arresto del boss serva per svegliare le coscienze e cancellare la paura”. I giovani “sfottono” il boss: “Ncagghiasti” (sei finito nella trappola), hanno scritto in dialetto su un cartellone. “I cartelloni oggi esposti dagli studenti spiegano come è cambiata la mentalità - ha detto il sindaco di Castelvetrano Enzo Alfano - La mafia a Castelvetrano non è affatto finita, dobbiamo continuare a fare il nostro lavoro, ad assumerci le nostre responsabilità. Solo così riusciremo a sconfiggere la mafia”. “Alla notizia dell'arresto il mio petto si è riempito di orgoglio - ha sottolineato Miriam Licata, vice presidente del Comitato provinciale studentesco - fino ad ora siamo stati etichettati tutti come mafiosi ma non lo siamo, soprattutto noi ragazzi. Gli adulti non hanno la nostra stessa consapevolezza - ha aggiunto la giovane - perché hanno vissuto in un'epoca in cui vigeva il rispetto. Loro devono dare insegnamento a noi ragazzi che la mafia deve essere combattuta”.

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