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Migrante incinta respinta al confine: muore in ospedale dopo il parto

Cronaca
Alcuni migranti tentano di entrare in Francia dalle Alpi e in alto un'immagine di Bardonecchia (foto Ansa)

Una 31enne di origine nigeriana, che aspettava un bimbo e soffriva di un grave linfoma, è stata rimandata indietro dalle autorità francesi alla frontiera di Bardonecchia: ha partorito a Torino prima di morire. La Procura ha disposto accertamenti sul caso

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Una giovane migrante di origine nigeriana incinta di poche settimane e con un grave linfoma è stata respinta alla frontiera di Bardonecchia dalle autorità francesi. Ricoverata in Italia, la 31enne è morta all'ospedale Sant'Anna di Torino dopo il parto cesareo. La procura del capoluogo piemontese ha disposto degli accertamenti sul caso. Il confine è lo stesso su cui, nei giorni scorsi, una guida alpina francese ha salvato una migrante, anche lei incinta, e per questo rischia ora una condanna fino a cinque anni.

La vicenda

La ragazza era arrivata alla frontiera a metà febbraio, con le strade impraticabili per le abbondanti nevicate. I volontari che l'hanno soccorsa col marito dicono che "non si reggeva sulle gambe". I gendarmi, anziché accompagnarla al vicino ospedale di Briancon, l'hanno lasciata davanti alla stazione di Bardonecchia. È stata quindi ricoverata per una settimana all'ospedale di Rivoli e poi trasferita al Sant’Anna di Torino. Qui è rimasta un mese, per consentirle di portare avanti la gravidanza. Le condizioni della donna sono precipitate all'improvviso. Lo scorso 15 marzo, subito dopo il parto cesareo, il bimbo pesava appena 700 grammi. Grazie alle cure della Rianimazione del Sant’Anna, a una settimana di distanza ha già preso 200 grammi. Il piccolo ora è ricoverato nell’ospedale torinese e assistito dal padre, anche lui respinto alla frontiera. La nascita del bimbo è considerata dai medici quasi “un miracolo”. Tra i dottori del Sant'Anna è scattata una gara di solidarietà per aiutare lui e il papà.

Medici ottimisti sulla salute del bambino

Il bambino, nato il 15 marzo prematuro di 29 settimane, “pesa circa 900 grammi e i segnali fanno ben sperare. Siamo cautamente ottimisti”, ha detto ha detto il dottor Enrico Bertino, direttore del reparto di neonatologia universitaria dell'Ospedale Sant'Anna: "La sua condizione clinica è speciale. La mamma è arrivata in fase terminale, con un linfoma di estrema gravità, e l'unica speranza era quella di salvare il neonato. Lei era cosciente, in rianimazione solo gli ultimi due giorni. Ha ricevuto il supporto e il sostegno di tutti gli operatori sanitari che l'hanno seguita non solo con tecnologie avanzatissime, ma soprattutto con un'assistenza multispecialistica. La malattia materna avrebbe potuto compromettere le condizioni di salute e la crescita del feto".

Il marito: "Poteva andare in Francia, è rimasta per me"

"Lei era in regola. Avrebbe potuto andare in Francia, attraversare liberamente la frontiera, ma ha deciso di rimanere con me. Ci legava un grande amore e non ha voluto lasciarmi - sostiene il marito della giovane migrante - Volevo andare in Francia perché non ho i documenti e non ho un lavoro. Qui non mi restava che chiedere l'elemosina". E aggiunge: "Voglio ringraziare i medici per tutto quello che hanno fatto, soprattutto per mio figlio".

“Autorità francesi senza umanità”

"Le autorità francesi sembrano avere dimenticato l'umanità", ha detto Paolo Narcisi, presidente di Rainbow4Africa, l’associazione che ha soccorso la ragazza e che da dicembre ha aiutato un migliaio di migranti (LA ROTTA ALPINA). "I corrieri trattano meglio i loro pacchi", rincara la dose Narcisi, secondo cui respingere alla frontiera una donna incinta e malata "è un atto grave che va contro tutte le convenzioni internazionali e al buon senso, proprio come criminalizzare chi soccorre”. In riferimento anche al caso della guida alpina francese che rischia una condanna fino a cinque anni per avere soccorso un'altra migrante incinta, Narcisi ha detto: “Tutto questo è indice di una paura strisciante, ma non bisogna avere paura. Un giorno potremmo esserci noi al loro posto". Il presidente di Rainbow4Africa ha lanciato la campagna “Soccorrere non è un crimine”.