DeepSeek o come creare un monopolio strategico

Per circa un decennio gli Stati Uniti sono stati pionieri e primatisti nel campo dell’intelligenza artificiale. Un predominio tecnologico, frutto dell’ecosistema della Silicon Valley, che sembrava destinato a non essere scalfito. L’Europa, troppo frammentata e divisa, e la Cina, apparentemente stritolata da embarghi e da un sistema socioeconomico ancora troppo centralizzato non facevano paura. L’IA come ennesimo successo dell’eccezionalismo americano. E poi è arrivato DeepSeek: un modello di IA, made in Pechino, che dimostra capacità di ragionamento paragonabili a quelle delle principali aziende statunitensi come OpenAI. Oltre a sorprendere i ricercatori con le sue prestazioni, il rapido e incredibile progresso della startup cinese ha sollevato interrogativi sull'efficacia dei controlli sulle esportazioni di chip IA, volti a limitare l'accesso della Cina alle avanzate GPU necessarie per questi strumenti. Attacco al cuore di Wall Street Ma non sono stati solo gli addetti del settore a rimanere esterrefatti da questa new entry. In un solo giorno, il debutto del modello ha generato ripercussioni senza precedenti sui mercati finanziari americani: un crollo del 16,86% delle azioni NVIDIA e la perdita di capitalizzazione di mercato superiore a 1.000 miliardi di dollari per l’industria tecnologica statunitense. Shock e paura; il mercato ha ceduto di fronte alle capacità di DeepSeek e – soprattutto – all’apparente capitale irrisorio necessario alla sua realizzazione . Una goccia nel mare rispetto alle centinaia di miliardi che sono stati impiegati per sviluppare i più noti Gemini o ChatGPT. Cosa hanno scoperto gli scienziati di Pechino? Una nuova alchimia che sconfigge quanto dato di assodato fino ad oggi per quanto riguarda lo sviluppo di queste tecnologie? Dovremmo essere più scettici? Forse dovremmo leggere e interpretare quanto esce fuori da una nazione facendo tesoro delle esperienze e conoscenze di cosa la storia ci ha insegnato della Cina – per quanto avanzata e superpotenza – rimane pur sempre un regime. Non è solo tecnologia, in gioco la sovranità digitale DeepSeek ha tutti i connotati di un attacco economico mirato: dimostrare che gli Stati Uniti, nonostante la loro supremazia tecnologica, sono vulnerabili alle innovazioni a basso costo di Pechino. Il nuovo modello DeepSeek R1 v3 ha ottenuto un vantaggio competitivo temporaneo grazie alla combinazione di due tecniche avanzate: la Chain of Thought, che consente al modello di pensare passo per passo migliorando la capacità di ragionamento, e la Mixture of Experts, che permette al modello di utilizzare solo alcune parti specifiche per risolvere un compito, ottimizzando le risorse computazionali. Tuttavia, prima del suo lancio, Alibaba aveva già presentato un modello simile chiamato “qwq”, con prestazioni comparabili. Questo suggerisce che DeepSeek non sia una rivoluzione, ma piuttosto un passo avanti temporaneo, con risultati futuri che dipenderanno dai prossimi modelli. Inoltre, la Cina ha migliorato un vecchio modello di OpenAI, concentrandosi in modo intelligente sulla qualità dei dati di allenamento . La stessa azienda americana ha accusato la controparte cinese di violazione della proprietà intellettuale per l'uso improprio dei suoi modelli AI. Questo approccio pragmatico ha portato a risultati tangibili, ma non rivoluzionari. DeepSeek, quindi, non è lo “Sputnik” in salsa cinese. Il governo di Pechino, in stretta collaborazione con il settore privato, ha creato un ecosistema tecnologico coordinato, capace di concentrare risorse e dati in tempi record. Ma anche di nascondere e assorbire costi in maniera completamente differente. Torniamo alla domanda iniziale e riformuliamola. Quella cifra tanto citata di 5.6 milioni è uno specchietto per le allodole, così come l’apparente mancanza di chip? DeepSeek e la dipendenza tecnologica Qualunque sia stato l’iter, in ogni caso DeepSeek ha già ottenuto tutto quello che possiamo immaginare fossero gli obiettivi prefissati con il suo rilascio. Forse anche di più. Ma questo LLM non è solo una bomba economica, può anche configurarsi come strumento per acquisire e dominare la nuova risorsa strategica globale: i dati. È parte di una strategia più ampia e articolata come solo il pensiero cinese è capace. Con l’approccio open source, la Cina mira a posizionare DeepSeek come uno standard globale, integrandolo nei sistemi aziendali e governativi di tutto il mondo. Si punta a creare la dipendenza. Nulla – soprattutto se parliamo di tecnologia – è gratuito. Non solo siamo dinnanzi a un esempio classico di soft power, ma anche a una strategia mirata per creare dipendenza informatica e allo stesso tempo raccolta dati capillare su scala planetaria. Non tutte le aziende avranno la possibilità di creare infrastrutture di calcolo indipendenti, molte si dovranno appoggiare direttamente a quello di Deepseek. Ecco la prima parte del pagamento: i nostri dati. Inoltre, attraverso l’analisi delle interazioni degli utenti, Pechino può rafforzare i propri modelli, utilizzando i dati raccolti per migliorare ulteriormente DeepSeek e altre tecnologie collegate. Step successivo, servizi premium. Non si tratta semplicemente di monetizzazione economica, ma di costruire un’infrastruttura di dipendenza tecnologica che dia alla Cina una posizione dominante nella gestione dei dati globali. Il vero obiettivo di questa strategia non è quindi limitato all’economia, ma è chiaramente geopolitico. La raccolta e l’analisi dei dati permettono di influenzare decisioni strategiche, predire comportamenti e controllare flussi informativi su scala mondiale. Se ai dati aggiungiamo la dipendenza tecnologica come leva anche per possibili ricatti politici/militari/economici, questa strategia è paragonabile a una manovra militare nel cyberspazio. DeepSeek rappresenta un’arma economica e informativa che attacca i pilastri della supremazia americana. Manifesto di come la Cina intenda condurre la guerra del futuro. Per il momento, ancora una volta, arriva in nostro soccorso il Garante Italiano della Privacy: DeepSeek è stata sospesa e dovrà chiarire le modalità di raccolta e conservazione dei dati. L’app è stata rimossa dagli store di Apple e Google, e il sito ha smesso di rispondere alle richieste degli utenti. Come già avvenuto in passato con ChatGPT, anche i player cinesi si trovano ora di fronte alla necessità di conformarsi alla regolamentazione europea e garantire maggiore trasparenza nella gestione dei dati e della profilazione degli utenti. Cosa resta al vecchio continente Purtroppo ai margini di questo scontro titanico troviamo il nostro continente. Semplicemente non abbiamo il budget sufficiente per gli investimenti necessari a competere. Questa è la grande verità. Possiamo sicuramente raccontare di poter costruire la nostra sovranità europea o nazionale attraverso il partneriato pubblico privato, ma rimangono solo parole. Al momento non abbiamo la forza economica per entrare in partita. L’Europa è frammentata e divisa. Il motivo? Quando parliamo di tecnologia e innovazione parliamo sicurezza nazionale e sicurezza sovranazionale. Senza necessariamente citare integralmente articoli come il 346 del Trattato sul funzionamento della UE o il 42 del Trattato dell’Unione Europea - che ne sanciscono con rigore la prerogativa dei governi nazionali – è chiaro come sia esternamente complicato anche solo iniziare a ipotizzare progetti tech pan-europei di grande portata come gli LLM. Ciò rende l’intera unione – volente o nolente – un blocco di stati tecnologicamente clientelari. E questo incide su uno spettro di questioni che vanno oltre la solo economia, ma si staglia fino all’ambito della sicurezza e del militare. Il bivio La mancanza di investimenti e la frammentazione interna rischiano di relegare il continente a un ruolo di vassallo tecnologico, dipendente dalle decisioni e dalle innovazioni provenienti da Stati Uniti e Cina. Per evitare questo destino, è necessario un cambio di paradigma, passando dalle parole ai fatti. L'Europa deve superare le divisioni interne e costruire una strategia comune nel settore tecnologico, investendo in ricerca e sviluppo, creando un ecosistema favorevole all'innovazione – oltrepassando barriere legislative e normative - e promuovendo la nascita di campioni europei in grado di competere a livello globale. In alternativa, l'Italia può giocare un ruolo da apripista, sfruttando le proprie risorse e competenze per creare un polo tecnologico nazionale di eccellenza, che possa poi servire da modello e stimolo per un'integrazione europea successiva. La scelta è chiara: soccombere o essere protagonisti. Non possiamo permetterci di rimanere indietro, di accontentarci di un ruolo subalterno. L'Europa ha le carte in regola per ingaggiare i giganti mondiali, ma deve agire ora, con coraggio e determinazione.

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