L'IA, uno strumento potente che potrebbe anche andare male. Parola di Sam Altman

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Roberto Tallei

Roberto Tallei

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Il "padre" di ChatGPT è intervenuto durante una tavola rotonda al World economic forum di Davos, dove quest’anno l’intelligenza artificiale ha scalzato il cambiamento climatico come tema dominante dei dibattiti. "Come per tutte le grandi rivoluzioni tecnologiche non sappiamo con certezza cosa accadrà", ha detto Altman riferendosi all'IA

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L’Intelligenza artificiale è uno strumento molto potente e come per tutte le grandi rivoluzioni tecnologiche non sappiamo con certezza cosa accadrà: potenzialmente può anche andare molto male. A dirlo è Sam Altman, fondatore e amministratore di OpenAI, la società che gestisce ChatGPT, il popolare strumento che usa l’IA per rispondere alle domande degli utenti.  Altman è intervenuto in una tavola rotonda al World economic forum di Davos, dove quest’anno l’intelligenza artificiale ha scalzato il cambiamento climatico come tema dominante dei dibattiti.

Un settore sotto stress

Altman ha anche commentato la telenovela che lo ha visto protagonista nel novembre scorso, quando è stato silurato all’improvviso dal consiglio di amministrazione di OpenAI per venire poi richiamato pochi giorni dopo. “A un certo punto devi solo ridere, diventa tutto così ridicolo”, ha detto. “La lezione che abbiamo imparato è che non si devono lasciare indietro i problemi importanti ma non urgenti, perché sapevamo già di avere un consiglio di amministrazione troppo piccolo e senza l’esperienza necessaria”. Il numero uno di OpenAI ha ammesso anche che le persone che lavorano nel settore dell’intelligenza artificiale stanno attraversando un periodo definito “selvaggio”, in cui giorno dopo giorno aumenta la posta in gioco, lo stress, le tensioni. Altman si è detto invece sorpreso dalla causa intentata dal New York Times, che ha portato in tribunale OpenAI accusandola di aver usato i propri articoli per formare la conoscenza del bot. “Il nostro obiettivo – ha detto – è quello di poter fornire link a contenuti esterni quando rispondiamo alle domande degli utenti e siamo pronti a pagare per questo”. 

L’Hiroshima dell’intelligenza artificiale

Alla tavola rotonda di Davos si è discusso anche dei valori che devono essere alla base degli strumenti di IA. La questione è cruciale: chi decide quali debbano essere questi valori, quali i limiti, cosa è permesso di fare in un Paese rispetto a un altro. Per il cancelliere dello Scacchiere britannico Jeremy Hunt è fondamentale che questi standard globali riflettano i valori democratici liberali e per questo è necessario confrontarsi con Paesi come la Cina. Quanto alle regolamentazioni, il Regno Unito sembra voler prendere una strada diversa rispetto all’Unione europea, che ha recentemente adottato il suo “AI act”, il primo regolamento al mondo sull’intelligenza artificiale. Hunt si è infatti detto favorevole a una normativa “leggera”, visto che la tecnologia è ancora agli albori e si rischia altrimenti di bloccare “la gallina dalle uova d’oro”. Più cauto invece Marc Benioff, numero uno della società di cloud computing Salesforce: “Dobbiamo pensare adesso a regole e sicurezza – ha detto –, perché non possiamo rischiare un’Hiroshima dell’intelligenza artificiale”.

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Il rischio disuguaglianze

C’è poi un altro potenziale rischio che può arrivare dall’intelligenza artificiale. Secondo l’Alleanza per la governance dell’IA generativa del World economic forum (che riunisce governi, imprese ed esperti del settore) è necessario infatti assicurare un accesso equo all’IA, perché altrimenti si potrebbe ampliare il divario digitale già esistente nel mondo. E in effetti, in uno scenario che, secondo il “Chief economists outlook” presentato a Davos, prevede per quest’anno un indebolimento dell’economia mondiale, l’IA generativa viene vista come uno strumento per aumentare produttività e innovazione. Ma i benefici si avvertiranno soprattutto nelle economie più ricche. 

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