Instagram ha chiuso l’account "Metaverse" creato nel 2012 da una donna australiana

Tecnologia

di Gianluca Ales

La storia, raccontata dal New York Times, di un’artista australiana che aveva chiamato il suo profilo come il nuovo nome di Facebook. Ora ne è ritornata in possesso, e vuole trasformare la vicenda in un progetto artistico che denuncia la prepotenza di Big Tech

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“Ora hai l’opportunità di diventare davvero ricca”.

Questo era il tenore dei tanti messaggi che Thea-Mai Baumann, un'artista tecnologica australiana, ha cominciato a ricevere dal 28 ottobre del 2021 in poi.

La data è importante, perché è quella dell’annuncio con cui Mark Zukerberg ha dato il via al cambio di nome di Facebook in Meta, un passaggio strategico dell’azienda di Menlo Park. La trasformazione di Internet, come ha dichiarato l’ex enfant prodige della Silicon Valley, che avrebbe puntato sul metaverso. Cioè la trasformazione dell’utente da fruitore ad attore del mondo virtuale, con un coinvolgimento totale in un’esperienza immersiva.

Il silenzio di Instagram

Al di là della tempistica dell’annuncio, assai sospetta data la coincidenza con i problemi giudiziari di Facebook, la vicenda di Thea-Mai Baumann è piuttosto esemplificativa del modo in cui si comportano le aziende del Big Tech.

L’artista, come racconta il New York Times, nel 2012 aveva creato il suo profilo @metaverse – con meno di 1000 follower – per seguire un suo progetto che poi era stato chiuso nel 2017 dopo aver esaurito i fondi di investimento. Bauman era tornata così al mondo dell’arte, ma aveva mantenuto il suo profilo comunque aperto, fino a novembre di quest’anno, quando, tentando di accedervi, aveva realizzato che il suo account era stato bloccato.

Aveva così chiesto spiegazioni, ma Instagram, di proprietà di Facebook, non aveva risposto per settimane. Fino a quando Bauman non si era rivolta a un avvocato e, dopo una controversia legale, era stato riaperto. 

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Le scuse e la riapertura

Instagram si è scusata, ha accennato a un problema di identità, senza fornire ulteriori spiegazioni, men che meno ha fatto cenno al nome dell’azienda madre, Facebook, cambiato in Meta.

La vicenda per certi aspetti è risolta, Baumann ha annunciato di voler dare il suo contributo al metaverso e di voler trasformare la sua storia in un progetto artistico. Si vedrà. 

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I dubbi sulla condotta di Facebook

Restano però in piedi le perplessità sulla coerenza della società di Menlo Park che, come avevano previsto alcuni utenti in rete, in buona sostanza si è appropriata del nome creato dall’artista e solo in un secondo momento ha fatto retromarcia.

Come sottolineano alcuni esperti, infatti, Facebook ha creato uno spazio in cui possono incontrarsi aziende e clienti, ma si è riservata l’enorme potere di filtrare in base ad algoritmi non sempre trasparenti chi e cosa possa entrare a farvi parte, avendo quindi un potere immenso.

In realtà, si nota, il principio di base non è erroneo. Serve ad esempio ad evitare confusione con nomi ripetitivi o offensivi, ma in effetti garantisce quello che si può definire un vero "ius vitae ac neci". Le conseguenze che può avere questo potere in un ambiente che dovrebbe essere improntato alla libertà degli individui è un dilemma di non facile soluzione. 

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