Fortnite e i suoi fratelli, il segreto del successo è la Battle Royale

Tecnologia

Cristian Paolini

Dal blockbuster di Epic Games a Apex legends, è la modalità "last man standing" l'ingrediente più gustoso dei videogiochi più in voga

Dove vai se la Battle Royale non ce l’hai? Pare sia questo l’ingrediente di un videogioco per avere successo. La conferma arriva da Apex Legends, che ha raccolto 25 milioni di giocatori in una settimana, e attenta seriamente al trono di Fortnite come re dei survival (lo ha da poco superato in termini di utenti che ci giocano ed è il fenomeno del momento su YouTube). In realtà la modalità di conflitto tutti contro tutti o di cooperazione (più o meno duratura) con altri giocatori sembra essere il modo più rapido per garantire il successo di un prodotto videoludico. Non è un caso che due tra le più famose serie di guerra, Call of Duty e Battlefield, abbiano inserito la modalità nelle loro edizioni più recenti.

L'origine della Battle Royale

Stando a un interessante articolo di Phil Hornshow su Digitaltrends.com, non fu nei vari “sparatutto” come DayZ, H1Z1, e Rust, dove si è proiettati in un terreno ostile per fronteggiare una serie di nemici più o meno umani, che la modalità fu introdotta, ma per un titolo riservato anche a un pubblico di giovanissimi come Minecraft. A dare impulso al genere come lo conosciamo oggi fu però il successo del film Hunger games (2012) che spinse il settore del divertimento elettronico a introdurne la filosofia “last man standing” (un po’ come in Higlander, sempre restando in tema cinematografico). Il grande successo a livello planetario, è il caso di dirlo, per i survival game arrivò nel 2017 con Player’s Unknown Battleground, realizzato da PUBG Corporation, con fino a 100 giocatori contemporaneamente impegnati in uno scontro tutti contro tutti finché non ne resterà solo uno in vita. La stessa filosofia del titolo che esce lo stesso anno grazie a Epic Games diventando il blockbuster dei videogiochi: Fortnite. Ambientato in un futuro distopico e post apocalittico, offre la possibilità di cooperare a fino a 4 giocatori in contemporanea per portare a termine una serie di missioni in un ambiente reso letale dalla presenza di pericolose creature aliene. Ma anche in questo caso è la Battle Royale, ambientata su un’isola tutt’altro che deserta, a sancirne la clamorosa affermazione. Fortnite ha attirato oltre 45 milioni di giocatori a partire da marzo 2018, raggiungendo il picco di 3,4 milioni di giocatori contemporaneamente, e ha conseguito numerosi record in streaming e si stima guadagnerà oltre 100 milioni di dollari al mese per acquisti in app, divenendo il primo gioco cross-play tra PS4, Xbox One e Nintendo Switch.

Qual è il segreto?

Ma quali sono gli elementi che rendono così attraente il genere Battle Royale? Al di là degli aspetti “tecnici” (mappe vastissime, equipaggiamento ridotto al minimo all’inizio del gioco ma elementi che si possono acquistare per caratterizzare il proprio personaggio nel corso dell’avventura, il fatto che sopravviva un solo utente o un solo gruppo, tempeste o altre situazioni difficili che rendono sempre più necessario ai giocatori il confronto), sempre per Horshow, è la libertà totale nel gameplay, ma c’è chi sostiene che sia la componente psicologica a renderla irresistibile, da giocare e da guardare sui siti in streaming (anche perché dietro ad ogni concorrente c’è un giocatore reale). Perché il rischio dell’eliminazione, da cui non ci si può riprendere se non ricominciando il gioco daccapo al contrario di quanto avviene ormai nei videogiochi “moderni”, costringe il giocatore al massimo dell’attenzione per pensare e mettere in atto strategie raffinate per evitare la morte del proprio avatar, anche se per fortuna solo virtuale.

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