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Caso scommesse, il terapeuta di Fagioli: "Percorso lungo per guarire"

Sport

"Spesso i calciatori hanno una vita vuota di passioni ed emozioni, devono riempirla per uscire dalla ludopatia e per evitare di caderci". A parlare è il dottor Paolo Jarre, l'esperto in dipendenze che ha in cura Nicolò Fagioli, il centrocampista della Juventus condannato ad un anno di squalifica per aver scommesso sul calcio

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Accanto al calcio giocato, in questi giorni si parla molto del calcio scommesse e del problema della ludopatia di cui soffrono alcuni calciatori. Intervistato da Massimo Postiglione, il dottor Paolo Jarre, che ha in cura Nicolò Fagioli, il centrocampista della Juventus condannato ad un anno di squalifica per aver scommesso sul calcio, ha spiegato ai microfoni di Sky TG24 i motivi di questa dipendenza. "Hanno tutto, tanti soldi, tanto tempo libero ma hanno poca capacità di gestire quei tanti soldi e quel tempo libero, nel senso che spesso hanno un livello d'istruzione medio-basso, hanno pochi interessi al di fuori della propria attività calcistica, hanno sempre il telefonino in mano, come tutti i ragazzi, non solo i calciatori, e la prossimità con l'offerta è molto importante come fattore di rischio". Jarre, ex coordinatore dei servizi per il gioco d'azzardo del Piemonte, è terapeuta e tutor del giocatore juventino e dovrà redigere una relazione bimestrale sul percorso che il suo paziente ha intrapreso con lui a inizio settembre per curarsi dalla ludopatia. Questo è parte integrante della sentenza della Procura Federale della FIGC che ha condannato Fagioli a un anno di squalifica, 7 mesi lontano dal campo e altri 5 di pene alternative con l'obbligo di seguire uno specifico piano terapeutico, la cui fase acuta prevede sedute bisettimanali. 

Fondamentale per uscirne è avere alternative

"E' un percorso di mesi, qualche volta anche fino all'anno di durata ed è fondamentale non solo togliere il gioco ma anche mettere qualche cosa che lo sostituisca in termini di passione, di emozione, di qualche cosa che dia coloritura alla vita - ha spiegato il medico - e questo è l'aspetto forse più complicato del lavoro". La causa della dipendenza va quindi cercata nella vita che conducono, vuota di interessi, di passioni che solo in apparenza è piena. Anche i social giocano un ruolo chiave, “sono un continuo rimando però è un rimando vuoto, non un rimando carico di calore e di affetto autentico" – ha aggiunto il terapeuta. Fondamentale per uscirne è avere alternative, bisognerebbe in primo luogo "dare l'opportunità ai calciatori di svolgere anche altre attività nel sociale, culturali, completare i cicli di studi, quindi non fare del calcio la loro unica attività, la loro unica passione, questo è fondamentale. In secondo luogo provare a trovare dei modi di spalmare gli ingaggi su un tempo più protratto, per evitare che brucino a 20 anni dei soldi che magari gli serviranno a 40-50-60", ha concluso Jarre.

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