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Gaetano Scirea, 30 anni fa la morte della bandiera di Juve e Nazionale

Sport

Cristian Paolini

Campione di tutto, anche di stile e umanità. Dagli esordi al tragico incidente stradale che lo portò via a soli 36 anni, riviviamo la carriera di un protagonista impossibile da dimenticare, uno dei numeri 6 più forti di tutti i tempi. LE FOTO DELLA CARRIERA 

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Tu chiedi chi era Scirea. Parafrasando la canzone degli Stadio, la risposta non sarebbe forse troppo diversa, a 30 anni dalla tragica e prematura scomparsa del campione della Juventus, da quella che si darebbe per i Beatles. Ma il calciatore, prima ancora l’uomo, senza avere l’approccio della rockstar aveva nella classe, nel fair play e nella correttezza le chiavi del carisma che hanno trasformato l’uomo in quella maglia a strisce strette bianconere con il 6 sulla schiena in un’icona indimenticabile e in uno dei massimi rappresentanti del ruolo di libero. Di quelli che hanno cambiato la storia del gioco del calcio, come il quartetto di Liverpool cambiò la musica. (LE IMMAGINI DELLA SUA CARRIERA)

Gli esordi, l’Atalanta e la Juventus

Gaetano Scirea nasce a Cernusco sul Naviglio, nell’hinterland milanese, il 25 maggio 1953 da famiglia operaia, e dopo i primi calci nella Serenissima di Cinisello Balsamo in cui giocava da punta, passa alle giovanili dell’Atalanta dove, trasformandosi da ala destra a centrocampista, avviene la graduale metamorfosi in difensore nella squadra Primavera degli orobici. Con la formazione bergamasca esordisce in Serie A il 24 settembre 1972 e disputa 58 partite in due stagioni (con una rete). Visti i buoni rapporti tra il club lombardo e la Juventus che l’aveva da tempo nel mirino, Scirea passa ai bianconeri nel 1974 per una cifra vicina ai 700 milioni di lire, più alcuni giocatori. E nel club della famiglia Agnelli il difensore lombardo crea la sua leggenda, diventandone una bandiera.

 

Campione di tutto in Europa e nel Mondo

Con la squadra in cui si costruisce il ciclo d’oro di Trapattoni, conquista sette scudetti, due coppe Italia e tutte le maggiori competizioni europee, a partire dalla Coppa Uefa del ‘77 a Bilbao (il primo trofeo continentale juventino) fino alla Coppa dei Campioni della notte del dolore all’Heysel. In quella drammatica circostanza interviene da capitano, insieme all’omologo del Liverpool Neal per calmare le due tifoserie. “Giochiamo per voi”, dice, e la sua voce è una delle poche note di umanità in una notte che cancella ogni eco sportiva. Perché l’uomo non era meno del calciatore, e anche se riservato e taciturno sapeva farsi ascoltare e seguire sempre, con l’esempio prima di tutto. Da capitano porta la Juve sul tetto del mondo nell’interminabile finale della Coppa Intercontinentale con l’Argentinos Jrs dove servono i calci di rigore per piegare gli argentini. E in Argentina si era rivelato alla grande platea internazionale con la maglia azzurra ai Mondiali del 78’. Anche se la consacrazione avviene quattro anni più tardi in Spagna, quando è uno degli artefici della straordinaria cavalcata della formazione guidata, come in Sud America, da Enzo Bearzot. Con la Nazionale colleziona in tutto 78 presenze e 2 gol. Si ritira dal calcio giocato a 35 anni, senza avere mai collezionato un’espulsione in carriera. Un dato non solo statistico, ma che rende la cifra dell’atleta, un difensore elegante, modernissimo, anzi rivoluzionario, il vero e proprio regista arretrato che può dividere la palma di migliore libero con Beckenbauer, Baresi e Passarella in un immaginario Olimpo del ruolo.

 

La nuova carriera e la tragica morte

Dopo avere chiuso con il calcio giocato nel 1989 si apprestava a intraprendere un’altra carriera, forse, altrettanto brillante come allenatore. Malgrado le offerte, decide di iniziare come secondo dell’ex compagno e amico Dino Zoff proprio sulla panchina della Juventus. E in missione per i bianconeri gli va incontro un destino crudele ed assurdo. Il 3 settembre si trovava in Polonia per visionare gli eurorivali del Gornik Zabrze, sulla strada del ritorno verso Varsavia, e il volo che lo avrebbe riportato a Torino, la sua auto viene tamponata da un furgone nei pressi di Babsk. L’impatto è fatale per la vettura che si incendiò anche perché trasportava delle taniche di benzina e con Scirea muoiono l’autista e l’interprete che gli erano stati messi a disposizione del Gornik. Unico superstite un dirigente della società polacca che era a bordo con le vittime. La notizia viene diffusa nelle case degli italiani quella sera, dalla voce roca di Sandro Ciotti, ancora più rotta dall’emozione nel corso della Domenica Sportiva. Chiedete a chi c'era chi era Scirea e dove fosse quando ha saputo della sua morte. Probabilmente vi risponderà davanti alla televisione, a piangere per l’uomo e il campione.