Quello che devi sapere
Dostoevskij, dove vedere la serie tv Sky original
Una caccia a un serial killer raccontata in modo unico, in un thriller psicologico cupo e visivamente intrigante. Una storia cruda, dalla forte estetica cinematografica e che investiga l’origine stessa della violenza: è DOSTOEVSKIJ, la nuova serie Sky Original ideata, scritta e diretta dai Fratelli D’Innocenzo già presentata in anteprima mondiale alla 74ª edizione del Festival Internazionale del Cinema di Berlino. Prodotta da Sky Studios con Paco Cinematografica, arriva finalmente su Sky e in streaming su NOW, in esclusiva e con tutti i suoi sei episodi disponibili da subito, dal 27 novembre.
La sceneggiatura e gli storyboard inediti della serie sono stati raccolti in un libro, Indizi, in libreria dal 22 novembre con La Nave di Teseo (collana Oceani). Attraverso gli schizzi di Damiano e Fabio D’Innocenzo, il volume racconta come è nato l’universo di “Dostoevskij”, attraverso un costante confronto tra i fratelli.
La prima serie tv firmata da Damiano e Fabio D’Innocenzo
Rivelazione del cinema italiano grazie al loro fulminante esordio con “La terra dell’abbastanza”, presentato nella sezione Panorama del Festival di Berlino nel 2018, per poi arrivare a vincere l’Orso d’Argento per la Sceneggiatura con la loro opera seconda, “Favolacce”, selezionata per il concorso del 2020, Damiano e Fabio D’Innocenzo sono ideatori, autori e registi della serie.
La serie è un noir con protagonista Filippo Timi (Vincere, I delitti del BarLume, Favola, Le otto montagne) nei panni di un brillante e tormentato detective dal passato doloroso. Con lui nel cast Gabriel Montesi (Favolacce, Siccità, Romulus, Christian), Carlotta Gamba (America Latina, Dante) e Federico Vanni (Chiara Lubich – L’Amore vince su tutto, Io sono l’abisso).
La sceneggiatura e gli storyboard inediti della serie sono stati raccolti in un libro, Indizi, in libreria dal 22 novembre con La Nave di Teseo (collana Oceani). Attraverso gli schizzi di Damiano e Fabio D’Innocenzo, il volume racconta come è nato l’universo di “Dostoevskij”, attraverso un costante confronto tra i fratelli.
La trama
In una provincia carnale e crepuscolare, l’investigatore Enzo Vitello, uomo dal torbido passato, è ossessionato da “Dostoevskij”, un killer seriale che uccide con una modalità costante: accanto al corpo l'omicida lascia trascritta su una lettera la propria visione del mondo, descrivendo gli ultimi attimi di vita della vittima.
Sedotto e intorpidito da un’oscurità che sente risuonare al suo interno da sempre, Vitello comincia un segreto rapporto epistolare con l’assassino, costringendosi a guardare dentro di sé affrontando le torture che si è auto-inflitto per sopravvivere a qualcosa che conosceremo nel corso del racconto. Lo stesso segreto che l’aveva indotto ad abbandonare la figlia Ambra in tenera età.
Filippo Timi è Enzo Vitello
Enzo Vitello è un poliziotto di un’unità investigativa dalla storia offuscata, frammentata e dolente: è un uomo profondamente solo, dai modi rudi e dalle tendenze suicide, dilaniato da dolori intestinali psicosomatici che rivelano un malessere profondo che tiene a bada con medicinali legali e non. Vitello fa i conti con il senso di colpa per aver abbandonato, quando era solo una bambina, la figlia Ambra, oggi ventenne borderline e tossicodipendente. L’indagine sul caso Dostoevskij lo costringerà ad affrontare l’oscurità che si porta dentro da sempre, confessando alla figlia il segreto che lo ha spinto ad abbandonarla, e ad abbandonare se stesso. Vitello è il rudere di una barchetta in acque sconfinate, melmose e ostiche con correnti dissonanti che lo tengono fermo ad annaspare tra la vita e la morte e alla labile differenza tra le due condizioni
Federico Vanni è Antonio Bonomolo
Antonio Bonomolo è il capo cinquantenne all’avamposto di Polizia dov’è dislocata l’unità investigativa al lavoro sul caso Dostoevskij. Uomo dalla morale sana ma cedevole, appesantito da un matrimonio sonnambulo dove ormai non ci si interroga più sull’essere o non essere felici, dedica ogni giorno della sua vita al lavoro e da mesi supervisiona le indagini sul caso con costanza e dedizione, conscio delle divisioni interne nella squadra e di una crescente disillusione per la mancanza di piste fertili all’indagine. Per come si può dire di conoscere un uomo chiuso e laconico come Vitello, Bonomolo sa abbastanza per provarne sincero affetto, rispetto, e purtroppo una crescente compassione. Prevarrà il capo o l’amico? Quanto ancora è in grado di sopportare Vitello? E perché, proprio ora, gli ha affiancato un nuovo agente che sembra proprio sangue giovane venuto a rimpiazzarlo?
Gabriele Montesi è Fabio Buonocore
Fabio Buonocore è un giovane che ha cominciato da poco la carriera in polizia. Monolitico, bello, atletico, determinato e spinto da una cieca e quasi irrefrenabile ambizione, Buonocore innesca un rapporto di profonda rivalità con Vitello, dissociandosi dalle sue decisioni e screditandolo ogni volta che può di fronte ai colleghi in centrale. Buonocore è la doppiezza fatta persona. Un giocatore di poker che vince tutto il banco e lascia la bisca senza nemmeno un sorriso. Performante come un motore nuovo e costante come la dieta proteica che segue, Buonocore non si fida di Vitello ma decide di seguirne le tracce una volta che l’ex capo si defila dalla squadra, perché oltre che abile Fabio è anche baro. Verrà tradito dalla sua supponenza, ricevendo la vendetta proprio da una delle tracce lasciate da Vitello che si ostinava famelicamente a seguire.
Carlotta Gamba è Ambra Vitello
Abbandonata dal padre Enzo quando era solo una bambina, Ambra è cresciuta sola, con una madre che si è liquefatta e da una rabbia che si è sostituita all’adolescenza. L’abbandono del padre ha provocato una voragine insanabile dentro di lei, che, negli anni, è riuscita a lenire blandamente con l’abuso di stupefacenti, ansiolitici e altre sostanze. All’età di ventiquattro anni, Ambra vive senza passato e senza futuro, vagabondando in un presente da cancellare giorno per giorno. Ambra convive insieme ad altre due giovani tossiche nello scheletro di una casa mai finita di un quartiere fantasma, svendendo il proprio corpo per comprare droga e cercando di detonare i tentativi del padre di rifarsi vivo, anche andando a discapito della propria salute e decenza. Solo il confronto decisivo con il padre e la scoperta doverosa, per quanto insopportabile, della verità potranno aiutare Ambra a rimettere in moto quella carcassa di vita fermatasi all’infanzia
Le parole dei registi
"Le estreme conseguenze dell’essere vivi. Di questo narra la serie. Un uomo che ha perso tutto in una terra di uomini che hanno perso quasi tutto. Un uomo che ha scelto di perdere anche se stesso. O forse no. C’è da risolvere un caso. Un caso che entra di diritto nelle cose che ti appartengono.
‘Dostoevskij’ si muove su fili di generi intrecciati: Investigativo, Noir, Gotico, Mistero, Horror Esistenzialista, Filosofico, Fatalismo.
È il banchetto dell’ultimo racconto, dove solo chi sopravvive può testimoniare. Il nostro punto di vista è questo: Enzo Vitello, l’uomo che ha perso tutto. Che va incontro all’entità che dà la morte credendo di fare del giusto. Un serial killer perturbante (ribattezzato Dostoevskij) analizza il caos della vita, l’inutilità di essa, la fonte di dolore, disperazione, annichilimento: vita come posizionamento nel nulla. Le lettere che Dostoevskij lascia accanto a ogni cadavere, a ogni sua impresa, sono un coagulato di affilata sofferenza, l’immondizia di essere vivi e l’unica giusta espiazione: essere morti.
Enzo Vitello cerca il serial killer Dostoevskij. Due solitudini di ferro che non hanno mai smesso di credere alla loro realtà dei fatti.
A incasinare l’investigazione di Vitello: una squadra che capitani da oltre vent’anni (e che devi ora tradire), una figlia che non vedi da troppo (ma il suo spettro ti viene a cercare ogni notte), una malattia terribile che insudicia ancora quel riuscito labirinto che è il nostro protagonista.
L’ambientazione: la terra sostituisce il colore. Abbiamo scelto i dintorni di Foggia per il loro pittorico arrendersi alla situazione umana. Zone che hanno conosciuto solo ombre. Paesaggi aperti, bucati. Cielo sempre presente — spinge per affossarti — ci brucia e ingrigisce. Il contenitore ideale per un uomo verso l’estinzione come il nostro Enzo Vitello.
Crediamo in questa storia. Sappiamo come raccontarla. Crediamo in questo racconto e in questo sapere. Il calamitoso evento che è nascere, la successiva consapevolezza, l’inevitabile resa. O insospettabile rilancio.
La vita è un segreto troppo terribile da conoscere. Fantastico. Andiamo. Presentiamoci. "
La colonna sonora
"È una nostra convinzione che nessuna musica, anche la più bella, possa restituire un’emozione dove non c’è. In Dostoevskij abbiamo voluto lavorare in dissonanza, cercando dei brani dolci, tiepidi, controcorrente. La colonna sonora della serie è una primavera di intenzioni, di brani che amiamo e che costituiscono una colonna emozionale più che sonora. Dal compositore Michael Wall al contributo determinante di Walter Fasano, abbiamo da subito immagino ‘Dostoevskij’ come qualcosa che sarebbe anche solamente bastato ascoltare per comprendere la storia."
Fratelli D’Innocenzo
La scenografia
"Dostoevskij’ stato il mio personale “secondo atto” di un importante legame con Damiano e Fabio. Insieme abbiamo impostato una linea, una precisa traiettoria stilistica che ha velocemente focalizzato il proprio spazio Euclideo nonostante la quantità di scene e la durata della lavorazione protrattasi per un anno. L’individuazione delle differenti unità di luogo e la complessa intelaiatura scenografica della serie hanno richiesto un maniacale lavoro di scouting attraverso la Bassa Tuscia, l’Agro Pontino, le campagne e le periferie romane nei propri caratteri più estremi e profondamente scarni.
Il risultato è stata una costante (s)composizione di ambienti talvolta molto distanti ma accomunati da una natura obliqua che accompagna il viaggio discensionale verso gli inferi della trama. L’ossessione per il controllo formale condiviso con i Fratelli ha attivato una manipolazione costante degli spazi nella loro interezza e un’attenta cura nei dettagli finanche i più piccoli e insignificanti. Un quotidiano maquillage pittorico e strutturale per una scenografia che insieme agli interpreti della serie è stata assunta ad un ruolo da protagonista.
La matrice anticlassica e postmoderna dell’ambientazione è stata una cifra costante, protesa ad alimentare un continuo dualismo tra sottrazione e costruzione. La scarnificazione della casa di Vitello, la desertificazione intorno alla stazione di Polizia, la “gabbia toracica” che inghiotte una delle vittime precipitata da un piano alto, l’iconicità del casolare dove si consuma l’atto finale, sono pagine di un album concepito, immaginato, disegnato e realizzatosi. Plasmare l’ambientazione di ‘Dostoevskij’, per come io possa intendere la scenografia, è stato un traguardo!"
Roberto De Angelis
La fotografia
La fotografia di Dostoevskij è cruda, dura e al tempo stesso estremamente dolce e poetica. La luce accarezza i personaggi, li avvolge e li abbandona nell’oscurità. La macchina da presa si sofferma spesso sui dettagli, sulla natura morta che racconta la vita. La pellicola 16mm è sempre ruvida e sgranata, ma osserva il mondo dei personaggi con la curiosità di un bambino, permettendo anche alle tinte fredde di donare un calore a volte rassicurante. A volte no. L’intera opera è concepita visivamente come un racconto lineare e compatto, che si permette digressioni visive per spiazzare e sorprendere chi la guarda. Il punto di vista non è mai scontato e racconta i luoghi tanto quanto i personaggi che li popolano. Ogni inquadratura sembra voler soppesare la fragilità dell’esistenza, mettendo in risalto il conflitto dell’individuo con se stesso. L’uso della macchina a mano ci tiene inchiodati alla storia, forza il nostro sguardo, anche quando vorremmo guardare altrove. I colori utilizzati sono spesso freddi, a volte neutri, raramente caldi. Ma anche nelle tonalità più fredde c’è molta diversificazione, con sfumature che empatizzano con il racconto. La luce è sempre usata come tentativo di uscita dall’oscurità, ma senza nessuna forma di speranza. L’intreccio visivo diventa quindi parte integrante della narrazione, espandendone il significato e arricchendolo con ogni dettaglio. Ogni fotogramma ha il potere di suggerire ciò che i dialoghi non esprimono apertamente, aggiungendo una dimensione silenziosa.
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