Euphoria, la recensione del primo episodio speciale della serie tv con Zendaya
Leggi la recensione di "Trouble Don't Last Always", il primo episodio speciale di 'Euphoria', la serie tv con protagonista Zendaya (disponibile on demand e in streaming su NOW TV). **ATTENZIONE, SPOILER!!**
Euphoria, cos'è successo nel primo episodio speciale
Trouble Don’t Last Always, il primo episodio speciale di Euphoria in attesa della seconda stagione, in arrivo nel 2021, si apre con Rue (Zendaya) e Jules (Hunter Schafer) insieme, precisamente con la prima che sveglia, riempiendola di baci, la seconda. A giudicare dalla parete in mattoni a vista le due si trovano in un classico studio apartment newyorkese. Rue è innamoratissima, Jules è un po’ nervosa perché quella mattina deve presentare alcuni suoi lavori – dei bozzetti per degli abiti, si intuisce che sta frequentando una scuola di moda – e tutto è perfetto così com’è. Peccato che si tratti solo di una fantasia. Rimasta sola, la piccola Bennet come prima cosa recupera una pasticca, va in bagno, la frantuma e si mette a sniffare. Quando si riprende dalla botta si ritrova nella toilette di una tavola calda. Niente Jules, niente studio apartment, niente amore, niente calore. Solo vuoto.
Tornata al suo tavolo, scopriamo che è la vigilia di Natale e che è in compagnia di Ali (Colman Domingo), quello che in teoria sarebbe il suo sponsor, che non si beve neppure per un secondole sue stronz*ate sul suo stare bene e sull’aver trovato un equilibrio neppure, anzi, la sgama subito: è fatta, e anche parecchio. Da lì in avanti è tutto uno scambio di battute, con Ali che cerca di convincerla ad affrontare la realtà e a mettersi seriamente sulla strada della sobrietà – che è il vero punto centrale di tutto, non lei, non il suo amore per Jules – e con Rue che inizialmente nega ogni cosa, anzitutto a sé stessa.
Il personaggio di Domingo, essendo già passato per quella maledetta strada, peraltro non solo una volta, è una sorta di voce della verità, un grillo parlante alto un metro e novanta che ne ha viste e ne ha fatte abbastanza per le prossime dieci vite. Secondo Ali è la sobrietà l’arma migliore a disposizione di Rue per risolvere anche gli altri suoi problemi, ma a quel punto ecco arrivare una triste confessione: le droghe, e il loro effetto stordente, straniante, sono l’unica cosa che finora le ha impedito di uccidersi. Se avesse dovuto affrontare tutto da sobria sarebbe già morta. Ma l’altro non si beve neppure questa e le successive: non è vero che non le frega di niente, è solo una facciata, e lui lo sa bene, perché ci è già passato.
Il personaggio di Zendaya non vuole ricadere completamente nel loop, ma non vuole neanche ripulirsi del tutto. Quello di Colman incalza: la dipendenza non è gestibile, perché è una malattia, anche se viene sempre trattata come se fosse una scelta. Il mondo ti vede come, testuali parole, un pezzo di mer*a, tu inizi a farti, il mondo ti vede ancora di più in quel modo, anzi, è assolutamente giustificato a farlo, e tu a quel punto ti senti assolutamente giustificato a farti. E’ un circolo vizioso, e lui lo sa fin troppo bene.
Ali – che è stato pulito per dodici anni, poi ha avuto una ricaduta di un anno e mezzo, e ora è pulito da sette anni – una volta si chiamava Martin, ma poi, quando si convertì all’islam, cambiò il suo nome. La conversazione a questo punto si allarga ulteriormente, andando a toccare punti quasi filosofici. Lui crede che ci sia un greater power, un potere superiore, crede che ci sia un senso per ogni cosa, lei invece è del parere opposto. Per esempio, che senso dovrebbe avere la morte di suo padre? Perché lui si è ammalato ed è morto, mentre altri sono ancora vivi? Per quale ragione dio o chi per esso ha permesso una cosa del genere? Perché alcune vite hanno più senso di altre?
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Euphoria, il primo episodio speciale della serie tv con Zendaya. FOTO
Rue vorrebbe fare una rivoluzione per radere a zero quel mondo marcio e ricostruirlo, ma Ali l’avvisa: è difficile essere rivoluzionari al giorno d’oggi. Ad ogni modo, secondo lui non c’è bisogno di crearsi un nuovo dio o dei nuovi dei, ma di credere in qualcosa di più grande, perché tutto il resto, sé stessa inclusa, la deluderà. E comunque è vero, per lei è arrivato il momento di fare la rivoluzione, ma dentro la sua testa. Dovrà cambiare, e dovrà scegliere di farlo ogni giorno. Dovrà impegnarsi, altrimenti morirà.
Mentre il personaggio di Domingo esce a fumare una sigaretta – e a fare una telefonata alle figlie, con le quali non c’è proprio un bellissimo rapporto, ma l’importante è fare un passo alla volta –, quello di Zendaya riceve un messaggio da Jules, che sente la sua mancanza e che le ha mandato il link di una canzone, “Me in 20 Years” di Moses Sumney.
Ali rientra, e quando sente Rue parlare di Jules chiede a Miss Marsha, la tosta cameriera del locale, da quanto è pulita (17 anni) e se all’inizio del suo processo si è concessa il lusso di innamorarsi. No, è la risposta della donna: doveva concentrarsi sulla sua sobrietà, non poteva permettersi distrazioni. Inutile dare la colpa a terzi: la responsabilità è nostra. Rue però è ferita. Racconta al suo sponsor cosa le ha fatto la sua ex – mi ha tradito, mi ha manipolato –, ma poi è costretta ad ammettere che, in fondo, lei e Jules non hanno neanche mai parlato apertamente della loro relazione. Poco importa, perché la notte del ballo scolastico, da sola in stazione, le è scattato dentro qualcosa. Tutti fanno promesse, ma nessuno le mantiene. Tutti mentono. E forse lei se lo merita, perché è un pezzo di mer*a. Solo un pezzo di mer*a picchierebbe e minaccerebbe la propria madre come ha fatto lei.
Ali non la giustifica, ma è chiaro: le droghe modificano la persona che sei. La chiave per cambiare è imparare a perdonarsi: lei avrà anche fatto ciò che ha fatto, ma non è quella persona. Soprattutto non deve esserlo per forza. La situazione si ribalta quando Rue dice ad Ali che lui le sembra un brav'uomo e che non riesce a immaginarlo a fare qualcosa di così brutto. E invece anche lui ha il suo carico di errori. Suo padre era un alcolizzato e un uomo violento. Lui aveva giurato di non diventare mai così, ma poi a un certo punto si è ritrovato a minacciare e a picchiare la madre delle sue due figlie, peraltro davanti ai loro occhi. Eppure neanche quello è bastato a farlo smettere, per raggiungere il fondo gli ci sono voluti altri cinque anni.
E’ questo l’aspetto più insidioso della droga: ti cambia in profondità, cambia la tua morale, i tuoi principi, ciò in cui credi. Va tutto a quel paese, e in tutta risposta tu ti droghi ancora di più, fino a perdere te stesso. “Pensi ancora che sia una brava persona?” chiede Ali, e Rue annuisce. E finalmente capisce: se è così per lui, forse potrà essere così anche per lei. Ma lei non sarà lì a lungo quanto lui, non avrà delle figlie da deludere e con cui cercare di sistemare le cose. Il personaggio di Zendaya prosegue con la sua confessione: delle droghe le manca la bellezza, quando è fatta ogni cosa è bella. Ne ha bisogno, specialmente in un mondo del genere, un mondo in cui tutti sono arrabbiati, un mondo così pieno di bruttezza. E’ proprio per quello che deve credere a qualcosa superiore, le risponde il personaggio di Colman: per lei non contano le piccolezze dell’esistenza, per lei contano le cose più grandi, ed è per questo che soffre. Ma se imparerà a credere nella poesia, per esempio in due persone che si ritrovano a chiacchierare e a mangiare pancake la sera della vigilia di Natale in una tavola calda, forse riuscirà a farcela.
Ali continua: gli piace parlare con lei perché con lei può parlare delle cose veramente importanti, per esempio la persona che sarà quando se ne andrà per sempre. L’ultima domanda è la stoccata finale: “Come vuoi che ti ricordino tua madre e tua sorella?” si sente chiedere Rue, che però rimane senza parole, con gli occhi gonfi di lacrime. L’altro le prende la mano: crede in lei, ce la farà. L’episodio si chiude con la piccola Bennet e Ali in macchina insieme, sotto una pioggia scrosciante. Mentre la macchina da presa stringe sempre di più sul volto di Zendaya, in sottofondo sentiamo la versione di Labrinth dell’Ave Maria. Forse si salverà. O forse no. Dipende tutto da lei.
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Euphoria, il commento al primo episodio speciale
Euphoria è di nuovo tra noi, e torna a incantarci con un episodio che è qualcosa di completamente diverso da quanto visto finora. Niente eccessi, niente colonna sonora “a palla,” niente luci sparate, niente colori esagerati, niente movimento: solo Rue, Ali, e un’intensa chiacchierata in una tavola calda dalle luci soffuse davanti a un piatto di pancake. Un ottimo esempio firmato Sam Levinson e HBO su come cambiare rimanendo sé stessi e su come rimanere sé stessi anche andando incontro a un cambiamento notevole. Che poi, in fondo, questa è proprio una delle tematiche di base di questo episodio speciale. Ma andiamo con ordine.
Se togliamo i primi due minuti iniziali, il “sogno” di Rue, ci troviamo di fronte a qualcosa che ricorda più In Treatment che la serie di cui è protagonista l’ottima (ma veramente, veramente, VERAMENTE ottima) Zendaya. Un po’ per ragioni pratiche – la decisione di portare sul set pochissime persone, causa pandemia da Covid-19 –, un po’ per scelta narrativa e stilistica, in “Trouble Don’t Last Always” c’è solo l’essenziale, c’è solo ciò che è veramente importante, come direbbe il personaggio di Colman Domingo (anche lui in gran forma), che finalmente diventa una persona a tutto tondo, e non più solo il potenziale sponsor di Rue.
Di questa Parte 1 (per la precisione Part 1: Rue) colpisce ovviamente l’estrema bravura dei due interpreti, che ci regalano veramente una piccola seppur potente lezione di recitazione, ma anche l’efficacia della scrittura di Levinson e le tematiche affrontate. Proprio come farebbero due persone nella vita reale, Rue e Ali – in piena modalità coach motivazionale – passano da un argomento all’altro in maniera assolutamente fluida, senza forzature, con lui che la incalza, quasi costringendola ad ammettere la verità anzitutto a sé stessa, e con lei che, pian piano, apre una porticina nel muro di menzogne che ha costruito per proteggersi.
In conclusione, questo primo episodio speciale – il secondo uscirà probabilmente entro la fine dell’inverno, ma si tratta comunque soltanto di supposizioni, non c’è ancora nulla di certo – convince completamente. Il problema, adesso, è che ne vogliamo ancora.
NOTE SPARSE
- Lo studio apartment newyorkese è una sorta di versione “cool,” solo perché si trova nella Grande Mela, del triste monolocale milanese, per intenderci. Però quando c’è l’amore non serve nient'altro…più o meno!
- Zendaya e Hunter Schafer hanno veramente una chimica pazzesca e sono “pucciosissime” in quei primi due minuti. No, non stiamo piangendo, no no.
- La dipendenza di Rue è talmente forte da arrivare a farsi anche quando è nel suo “sogno.” Ormai è diventata una vera e propria forma mentis.
- In apertura (ma anche in chiusura, nei titoli di coda) sentiamo nuovamente la melodia di "All For Us" di Labrinth, ormai il tema portante della serie.
- Rue indossa sempre la sua divisa, la sua armatura, cioè la felpa bordeaux del padre. Forse se ne sbarazzerà nel momento in cui sceglierà definitivamente la sobrietà? Difficile a dirsi.
- E’ evidente che, al di là dei suoi problemi di salute mentale, il fatal flaw (il “difetto fatale”) di Rue ha origine nella morte di suo padre. Sad. And relatable.
- Perle di saggezza made in Ali: “Hai diciassette anni, non sai proprio un ca**o!!” Scherzi a parte, il personaggio di Colman Domingo ribalta la prospettiva in maniera assai interessante, e il succo più o meno è il seguente: non ti fai perché sei un pezzo di mer*a, sei un pezzo di mer*a perché ti fai.
- Casomai fosse sfuggito a qualcuno, Rue dice che alla fine lei e Jules il famigerato tatuaggio in bocca non l’hanno fatto, ne hanno solo parlato. Ma siamo così sicuri che il personaggio di Zendaya non stia mentendo, e non solo in merito a questo? Non dimentichiamo che proprio all'inizio della prima stagione di Euphoria la piccola Bennet ha dichiarato di non essere "a reliable narrator," cioè una narratrice affidabile. Se fate attenzione, nel corso di questo primo episodio speciale ci sono svariati momenti in cui Rue rimaneggia un po' i fatti...
- Il titolo dell’episodio – "Trouble Don’t Last Always" (che tradotto in maniera colloquiale potrebbe suonare come “le rogne non durano per sempre”) ci è regalato dalla mitica, anche se compare solo per due minuti, Miss Marsha.
- La già citata Miss Marsha e Ali sottolineano una cosa importantissima: le energie, mentali e fisiche, che abbiamo a disposizione sono limitate, e in certi momenti della vita è necessario imparare a non disperderle e a concentrarsi solo su sé stessi.
- Proviamo a buttarla lì a HBO: perché non fare una stagione “anomala” di In Tretament in cui a sedersi sul divano dello psicanalista di turno sono i protagonisti di alcune delle più famose serie del network? Why not?
- Questo primo episodio speciale è interamente incentrato su Rue, pertanto ci viene mostrata la sua versione della storia in merito alla sua dipendenza e alla sua relazione con Jules. Il secondo episodio sarà presumibilmente l'atra faccia della medaglia, dunque aspettiamoci la versione del personaggio di Hunter Schafer.