Destiny’s Child reunion: Beyoncé, Kelly e Michelle riscrivono storia del pop a Las Vegas
MusicaL'incontro a sorpresa tra le tre artiste ha risvegliato un suono, un’estetica e una forza che avevano cambiato per sempre il pop degli anni 2000. Le Destiny’s Child non erano solo una girl band: erano una visione
Quando al termine dell’ultima data del Cowboy Carter Tour, Beyoncé ha fatto salire sul palco Kelly Rowland e Michelle Williams, il pubblico di Las Vegas non ha semplicemente assistito a una reunion: ha visto la storia ricomporsi per qualche minuto. Perché le Destiny’s Child non sono mai state solo una formazione vocale: sono state l’architettura stessa di un’epoca. Il trio che ha definito il suono dell’R&B-pop degli anni Duemila, riscrivendone le regole, anticipando tendenze, codificando uno stile. Un manifesto sonoro e visivo fatto di potenza, armonia e affermazione identitaria.
Tre voci, una rivoluzione
Nate a Houston come “Girl’s Tyme”, poi trasformatesi in Destiny’s Child nel 1997, guidate dal management di Mathew Knowles (padre di Beyoncé), le DC hanno attraversato fasi, cambi di formazione, polemiche e picchi straordinari. Il gruppo era originariamente formato da Beyoncé, Kelly Rowland, LaTavia Roberson e LeToya Luckett, successivamente sostituite da Michelle Williams. Ed è nel 1999, con l’album The Writing’s on the Wall, che arriva la consacrazione. Dentro ci sono Bills, Bills, Bills, Jumpin’, Jumpin’, e soprattutto Say My Name: una delle canzoni più influenti della musica black contemporanea, costruita su beat sincopati, strutture imprevedibili, armonizzazioni sofisticate e una narrativa di empowerment femminile. In quel momento, le Destiny’s Child smettono di essere una girl band per diventare una grammatica alternativa del pop femminile.
Estetica, identità, statement
Vestite in coordinato ma mai in uniforme, sincronizzate ma mai omologate, le Destiny’s Child hanno saputo interpretare la scena con una cifra estetica precisa: sorellanza, glamour e consapevolezza. Mentre il teen pop bianco cavalcava l’onda delle boyband e delle Britney, loro portavano sulla scena globale un’immagine afrocentrica sofisticata, fatta di vocalità gospel, coreografie millimetriche, abiti disegnati dalla madre di Beyoncé e testi che parlavano alle ragazze nere americane con fierezza e lucidità. Canzoni come Independent Women Pt. I (colonna sonora di Charlie’s Angels, n.1 per 11 settimane negli USA), Survivor o Bootylicious non erano solo hit: erano dichiarazioni politiche incastonate in pezzi radiofonici. Hanno anticipato le conversazioni di oggi sull’autonomia femminile, la rappresentazione del corpo, la rottura degli stereotipi. Il tutto in tre minuti di musica irresistibile.
Pop perfetto, pop consapevole
Il loro ultimo album, Destiny Fulfilled (2004), è un testamento maturo, con brani come Lose My Breath, Cater 2 U e Girl. Un disco di transizione, che saluta con grazia il progetto collettivo per aprire definitivamente la strada alle carriere soliste. La fine delle Destiny’s Child non è stata uno scioglimento traumatico, ma un passaggio di testimone: Beyoncé diventava una superstar globale, Michelle si affermava nel gospel e nel teatro musicale, Kelly trovava la sua strada tra pop ed elettronica. Eppure, in ogni performance solista, il fantasma armonico delle Destiny’s Child rimaneva. In ogni linea di basso spezzata, in ogni melisma, in ogni outfit meticolosamente pensato, si sentiva l’eco di quella alchimia vocale che le aveva rese uniche.
Perché oggi conta ancora
La loro influenza è ovunque: nei gruppi K-pop femminili che curano estetica e sincronizzazione con maniacale precisione, nei vocal arrangement di artiste come Normani, Tinashe, Chloe x Halle, fino al ritorno del sound R&B Y2K nei trend TikTok. Ma soprattutto, nella figura stessa di Beyoncé, che è oggi un’entità culturale totale – e che ha portato con sé, ovunque, la legacy delle Destiny’s Child. La reunion di ieri non è solo un regalo nostalgico ai fan. È il riconoscimento che, per diventare ciò che siamo, abbiamo avuto bisogno di un momento in cui tre donne nere, fiere, sincronizzate e inarrestabili, ci hanno insegnato cosa significa essere forti, libere, belle e senza paura. Survivor, appunto.