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Santi Francesi, esce l'EP Potrebbe non avere peso: "Schifosamente romantici". L'INTERVISTA

Musica

Elena Pomè

Foto di Simone Biavati

Il duo hard pop formato da Alessandro De Santis e Mario Francese chiede alla gente solo una cosa: di ascoltare fino alla fine le sei canzoni che raccontano l’amore e la paura, motori della vita, a partire da venerdì 8 novembre. Dal 20 novembre, invece, gli artisti guarderanno negli occhi il pubblico che ballerà sotto i palchi del Club Tour 2024 per afferrare quelle che, “potenzialmente, sono tutte parole al vento”

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«Potenzialmente, sono tutte parole al vento». Sorridono gli occhi chiari di Alessandro De Santis, la metà del duo hard pop di Ivrea Santi Francesi, mentre siede su un divano blu in una stanza minima e dischiude la filosofia del nuovo EP, Potrebbe non avere peso, che uscirà venerdì 8 novembre. Sei canzoni dall’impronta rock anni Duemila, ognuna immaginata libera e autentica, senza obiettivi o destinatari. «Tutti i nostri brani potrebbero non avere peso», spiega Alessandro, «ma il condizionale all’inizio della frase risulta quasi d’obbligo, perché esistono le persone e la musica è un’arte che si completa e acquista rilevanza quando viene ascoltata». Cercano orecchie gentili, i Santi Francesi, «non dall’alto di un piedistallo, ma in ginocchio, per chiedere alla gente di ascoltare». Fino alla fine.

Foto di Simone Biavati

"SCHIFOSAMENTE ROMANTICI E MOLTO POCO COOL"

Quando il dito schiaccia play, «l’amore, nella sua accezione più romantica possibile», esala nello spazio in una forma ormai insolita. «Da anni, nelle canzoni va di moda la tossicità: “Ci graffiamo, ci ubriachiamo”. Noi, invece, abbiamo preferito l’idea di riscoprirsi un po’ più schifosamente romantici e molto poco cool, anche privandosi della dignità pur di dire qualcosa di carino a qualcuno”, racconta Alessandro, che ha rispettato il proposito nel brano Gatti, un titolo che richiama il felino di inchiostro nero e dalla coda eretta tra l’indice e il pollice della sua mano sinistra. «Questa canzone rappresenta la dedizione ed è il risultato di una lunga riflessione. Non per guadagnare soldi e streams, ma per comunicare un messaggio ad una persona specifica. Poi, una volta pubblicata, la musica ha il potere incredibile di diventare di tutti». L’amore, però, può essere anche il presentimento dell’incapacità di vivere un sentimento, proprio come racconta Quiete, il brano più vecchio dell’EP che i Santi Francesi hanno scritto nel 2022 dopo la vittoria della 16esima edizione di X Factor sotto la guida dell’allora giudice Rkomi. “Diventerò più grande per guardarti in un modo migliore”, recita il ritornello, un’ulteriore dimostrazione che «scriviamo testi che sono tante promesse, anche giganti, a volte irrealizzabili ma, di nuovo, romantiche». Anche Cose da piangere sviscera un rapporto intimo, e spalanca un mondo musicale. «È un pezzo schizofrenico», racconta l'altra metà del duo, Mario Francese, che a prima vista appare più riservato ma che si accende nello svelare le contraddizioni e la forza dei suoni. «Potenzialmente ci sono tante cose sbagliate, ma allo stesso tempo ogni volta che lo ascolto mi chiedo il perché, e questa cosa mi stuzzica. Per questo ci teniamo che le persone ascoltino l’album dall’inizio alla fine: perché tutti i pezzi prendono senso insieme».

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"SE HAI PAURA, VUOL DIRE CHE SEI SVEGLIO"

Così, all’amore si affianca la paura, nucleo del singolo Ho paura di tutto che i Santi Francesi avevano presentato a sorpresa il 13 ottobre nella stazione della metropolitana San Babila durante la festa di inaugurazione della linea M4. I due artisti, però, non scappano dalla paura, che piuttosto affrontano con coraggio. «Se hai paura, vuol dire che sei sveglio, che vivi, che non senti il vuoto e il silenzio. È un’arma fondamentale per reagire», spiega Alessandro. «Poi magari ci sono momenti in cui non hai la forza di farlo e ti lasci cadere. Io faccio sogni ricorrenti sulla paura di cadere, anche se poi non si ripercuote nella mia vita reale. In ogni caso, la nostra reazione è gridare come pazzi e suonare più forte che possiamo». I Santi Francesi l’hanno dimostrato nel videoclip sudato e sorridente del brano, girato in poco più di dieci metri quadrati con «quaranta scoppiati» reclutati tra i fan. «All’inizio dovevamo chiamare delle comparse. Però, chi meglio delle persone che ascoltano la nostra musica? Abbiamo pubblicato una story sui social e abbiamo chiesto: “Chi ha voglia di fare questa cosa con noi? Bisogna essere gasati, spingere, urlare". Si sono presentati in molti e ci siamo divertiti un sacco», racconta Mario. «Sono tanti giovani che raccontano tante paure. Insieme, si nascondono ma si dicono: “Ho paura, però daje, va bene così!”», spiega Alessandro. Insomma, le crepe dell’animo umano non sono cicatrici da nascondere, ma anzi segni della «sensibilità meravigliosa degli esseri umani, che forse negli ultimi anni ci stiamo mangiando di traverso, per me a causa al 70% dei social», aggiunge. Una riflessione coerente con la decisione, che ha preso circa un anno fa, di eliminare l’account personale di Instagram. «Mi sono fatto delle domande. Molte volte durante la giornata mi ritrovavo con il telefono in mano a scattarmi delle foto. E ho pensato: “Che senso ha?”», riflette. Tra i commenti, poi, si annidava anche un’infinità di giudizi che, «spesso, non c’entra assolutamente niente con la musica», prosegue Mario. «Penso che, per preservarsi, sia meglio non leggerli. Tanto, al di là di farti svegliare di cattivo umore, non ti aiutano. Io, di fronte alle cattiverie, non riesco ad estraniarmi. Se invece mi incontri per strada e vuoi dirmi “che schifo la tua canzone”, lo apprezzo di più. Ben venga, ne possiamo parlare», conclude Alessandro che, dopo aver limitato la vita virtuale, ha recuperato il tempo perduto. «Magari lo spreco in altri modi, ma tutto quello che non passo su Instagram è solo guadagnato». Del resto, già nel 2023 i Santi Francesi avevano elogiato la noia, vissuta con angoscia o gratitudine a seconda della fase dell'esistenza. «Quando sei piccolo è un buco da riempire. Quando cresci diventa uno spazio vuoto dove sguazzare, oziare e stare in silenzio a fare una delle cose che ti rendono più umano possibile: pensare», spiega Alessandro. Rallentare è anche motore della creatività: «Il concetto è molto semplice: se non vivi, non puoi dire delle cose, o quantomeno dirai sempre le stesse. Ogni artista deve prendersi delle pause e cercare dentro di sé quello che vuole esprimere realmente, e non quello che fa più comodo. Insomma, una giornata vuota, quando magari fuori piove e non hai niente da fare, è una figata pazzesca». Come suggerisce Mario, vivere il presente nella composizione di nuova musica e nella ricerca di parole giuste, senza l’ansia di pubblicare a tutti i costi, può inoltre «prevenire il burnout finale» che ha recentemente colpito altri cantautori, uno fra tutti Sangiovanni. «Essere un artista oggi significa ricevere tantissimi input e condizionamenti», spiega Alessandro, che da bambino si addormentava con la musica degli Eagles e dei Kiss grazie all’impianto stereo che il papà gli aveva montato nel passeggino. Mario, invece, nutriva allo stesso tempo amore e odio per il pianoforte, lo strumento che su invito della famiglia aveva scelto di suonare nel tempo libero. Dalle aule del liceo che sono state testimoni del loro incontro, i due ragazzi hanno progressivamente detto addio alle rispettive identità di commesso di Decathlon e di programmatore e si sono fatti strada fino al Teatro Ariston, dove lo scorso febbraio hanno partecipato alla 74esima edizione del Festival di Sanremo per cantare tra i Big il brano L’amore in bocca e duettare nella serata cover con Skin nel brano Hallelujah. «Sei costantemente sull’orlo di fare un compromesso e di cambiare una parte di te stesso per fare un numero in più. La pressione c’è e si sente, ma noi spingiamo per continuare ad essere il più autentici possibile», conclude Alessandro.

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IL CLUB TOUR 2024: "EMOZIONANTE GUARDARSI IN FACCIA"

Finora i Santi Francesi non hanno mai fatto concerti in palazzetti o stadi, luoghi che tra le prime chitarre e le prime tastiere avevano bramato da lontano «in modo totalmente mitomane», scherza Alessandro. In primavera, piuttosto, gli artisti si sono sentiti a casa raccolti tra le Piccole liturgie musicali nelle due chiese sconsacrate di San Vittore e 40 Martiri a Milano e di San Giuseppe Le Scalze a Napoli, mentre il 20 novembre a Venaria Reale (Torino) diventeranno famiglia con il pubblico del Club Tour 2024, che proseguirà a Padova (23 novembre), Firenze (26 novembre), Bologna (29 novembre), Molfetta (Bari – 3 dicembre), Napoli (5 dicembre), Milano (10 dicembre) e Roma (13 dicembre). «I momenti più emozionanti sono quelli in cui la gente è due metri davanti a te e ti guarda in faccia», racconta Mario. «Cogliere subito le reazioni delle persone è più potente a livello di energia, e vedere la gente che salta a poca distanza ti fa sentire più alto», conferma Alessandro. Peraltro, il pubblico dei Santi Francesi assomiglia così tanto ai Santi Francesi che non erige neppure muraglie di smartphone durante le esibizioni. «Siamo abbastanza fortunati, ai nostri concerti non se ne vedono troppi», prosegue. «L’uso eccessivo è gravissimo, perché il telefono in mano impedisce di applaudire l’artista preferito. Negli ultimi anni, il novanta per cento delle volte, gli applausi durano quattro secondi. Però non saremo mai nella posizione di dire a chi viene ad ascoltarci “non usare lo smartphone”. Fai il video per ricordo, ma cerca di goderti il resto del tempo attraverso la verità e la poesia di un momento che puoi solo raccontare, perché l’hai visto tu». Per i Santi Francesi, la musica è una scelta di vita, ma “quant’era bello suonare prima di farsi pagare”, scrivono in un’altra canzone dell’EP, Parole e Crociate. Una battuta uscita di getto perché, spiega Alessandro, «romanticamente ci capita di pensare a quando ci trovavamo ogni giorno a sedici anni, e non sapevamo neanche perché, scrivendo delle canzoni orrende». Sorride. «Adesso forse me ne rendo conto».

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