Il legame con l’Italia, la musica al Louvre, la libertà artistica: bentornati, Phoenix!

Musica

Valentina Clemente

Francesco Prandoni

Un album registrato al Louvre, in un museo completamente vuoto e in compagnia di qualche fantasma. La voglia di tornare in tour con lo stesso entusiasmo di quando, all’inizio della loro carriera, condividevano un piccolo appartamento a Parigi. Il legame con l’Italia, che li ha portati a registrare canzoni nella nostra lingua, sempre con la libertà di fare la musica che amano. Abbiamo incontrato Thomas Mars e Deck D’arcy dei Phoenix, in occasione della loro unica data italiana, a Milano. Il nostro racconto

 

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Delle canzoni dei Phoenix ho ricordi stampati nella mia mente, come se li avessi vissuti e collezionati appena poco tempo fa. Ma se mi guardo indietro, quando penso a dove mi trovavo mentre ascoltavo “If I ever feel better”, realizzo che di anni ne sono passati parecchi. È il potere della musica, che non ti fa rendere conto di come il tempo trascorra inesorabile. Alle canzoni dei Phoenix sono particolarmente legata perché sì, hanno scandito momenti bellissimi, ma soprattutto hanno stimolato la mia curiosità a conoscere meglio la musica francese, così apparentemente distante dalle mie corde, ma così particolare ed affascinante. Daft Punk, Air, Jean-Michel Jarre “La nostra Gioconda” dice ridendo Thomas quando parliamo proprio della musica che loro stessi hanno contribuito a definire nel corso degli anni, e di cui sono parte integrante.

"Sapevamo che cantare in inglese ci avrebbe legati a molte persone, in tutto il mondo"

“Quando abbiamo iniziato nessuno cantava in inglese in Francia. All’epoca, se volevi essere considerato e trasmesso alla radio, dovevi cantare in francese” – mi raccontano Thomas e Deck – “Abbiamo affrontato alcuni ostacoli all’inizio della nostra carriera, ma sapevamo che alla fine qui, in Italia, ma anche in altri paesi d’Europa, o in altre zone del mondo, ci sarebbero state persone che avrebbero apprezzato le nostre canzoni. E così è stato. In Francia, solo alcuni gruppi, come per esempio i Daft Punk, gli Air, come dicevi anche Jean-Michel Jarre, hanno scommesso su questo. Noi con la musica di Jarre siamo cresciuti, potremmo definirlo la nostra Gioconda: certo, è un po’ diverso rispetto all’originale, ma per noi è proprio come il quadro!”

Alpha Zulu, settimo album dei Phoenix, registrato al Louvre

Una carriera iniziata nel 1996, sette album all’attivo di cui l’ultimo, “Alpha Zulu”, registrato all’interno del museo del Louvre durante la pandemia, in un silenzio quasi assordante, sicuramente surreale. E quando chiedo il perché di questa scelta, Deck mi dice che “è stata una duplice esperienza, proprio perché non era soltanto la prima volta in cui un album veniva registrato all’interno del museo, ma soprattutto gli spazi erano completamente vuoti, e noi eravamo le uniche persone presenti, circondati da opere d’arte. Credo che mistico sia l’aggettivo che descrive al meglio quello che abbiamo vissuto!” ammette Deck con la sua calma serafica. A cui fa eco qualche istante dopo Thomas, che aggiunge: “Cerchiamo sempre un posto unico, che puoi trasformare in qualcosa o in cui si può vivere un’esperienza unica. “Alpha Zulu” è il nostro settimo album e quando siamo in studio, noi facciamo sempre il possibile per prenderci il nostro tempo, per godere appieno il processo di creazione, e poi apprezzare anche la preparazione del live. La direzione del Louvre ci ha contattato per dirci che c’era uno spazio disponibile all’interno del museo e abbiamo colto subito questa bellissima occasione. Un sogno diventato realtà: quando avevo diciassette anni e passeggiavo nel giardino delle Tuileries e mi dicevo: un giorno suonerò al Louvre! E poi è accaduto. Siamo stati lì per due anni, nel bel mezzo della pandemia. Insieme a noi, c’erano anche degli amici fantasmi che ci hanno fatto compagnia…ricorderò per sempre quei momenti, un’esperienza indimenticabile”

 

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La condivisione di musica e amicizia

Provo ad immaginare cosa possa significare registrare un album all’interno di un museo, in periodo in cui la pandemia ci aveva allontanati fisicamente, ma la musica ci aveva aiutato a restare uniti. Quella dei Phoenix è un’unione fortissima, che ha superato anche alcuni momenti di interrogativi artistici (non uso la parola crisi perché, di crisi artistica, non si è mai parlato…perché non c’è stata), cancellati da “Ti Amo”, album del 2017, e rafforzati proprio da “Alpha Zulu”. Musica che amano tantissimo fare insieme, e che li ha aiutati a creare la loro identità di artisti, di cui parliamo insieme. Thomas, sorridendo, mi dice: “Cerchiamo di andare il più lontano possibile con la nostra identità, perché sappiamo di avere un DNA piuttosto forte nel modo in cui facciamo musica, ecco perché ogni album lo facciamo in un posto diverso, cambiamo sempre location, questa volta in un museo, l'ultima volta era un posto diverso. Cambiamo tutti gli strumenti; cambiamo tutto ciò che possiamo cambiare. Siamo cresciuti insieme, abbiamo un legame molto forte. È come una famiglia: quando ci siamo trasferiti a Parigi da Versailles, vivevamo tutti insieme in un appartamento molto piccolo in un quartiere molto elegante, ma era una casa minuscola. Non avevamo molti soldi e i prezzi piuttosto alti della nostra zona di certo non aiutavano…La cosa bella è che quando abbiamo iniziato il nostro primo tour e ci hanno dato un tour bus, per noi è stato bellissimo: avevamo un sacco di spazio a nostra disposizione! Credo che il nostro segreto sia proprio il legame che ci unisce, e creare musica insieme ci lega ancora di più. Farlo da soli sarebbe così noioso: a noi piace proprio condividere. Pensa che anche oggi, quando siamo in tour, prendiamo ancora delle stanze insieme. Certo, la nostra musica e noi come gruppo dobbiamo affrontare alti e bassi, ma è normale. Ma condividerlo con amici da una vita rende tutto più semplice”.

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Il legame con l’Italia

Ciò che mi colpisce sempre di più, mentre li ascolto, è la loro pacatezza, la loro calma e soprattutto il tempo che si dedicano nel rispondere. E soprattutto che mi dedicano, senza guardare l’orologio, nonostante si stiano preparando per il live, il loro unico in Italia, di qualche ora dopo. I Phoenix non sono solo molto legati tra loro, ma lo sono anche al nostro paese, complice anche la realizzazione di alcune canzoni in italiano, ma non solo per questo. Quando iniziamo a parlare di una “vicinanza particolare” mi dicono subito che “non si conoscono i motivi che ci portano ad amare così tanto l’Italia. Ci sono realtà verso cui c’è una forte attrazione, e così è per l’Italia”. Thomas, sorridendo, mi dice: “Ho conosciuto molto la cultura musicale italiana grazie a due ragazzi italiani che sono nella band. Io mi sono sposato in Italia, in tasca ho sempre le carte per giocare a scopa! Bronco vive a Roma. E poi lo ammetto: la scorsa notte non ho dormito, proprio all’idea di suonare dal vivo qui...Possiamo dire che ogni scusa è perfetta per tornare in Italia…sono quei legami che non sai spiegare, ma ci sono. Qualcosa che va oltre. È bellissimo!”

 

“Il nostro desiderio? Restare liberi”

La loro delicatezza nel raccontarmi le loro passioni, la loro musica e la volontà di continuare a creare insieme è di una bellezza disarmante. Come del resto la loro semplicità nell’ammettere che hanno iniziato a suonare insieme perché proprio era qualcosa che amavano fare. E sempre resterà così. Non è facile, soprattutto dopo tanti anni insieme. Ma la loro genialità è indescrivibile. Come, del resto, la loro semplicità. E forse il segreto della loro unione artistica è proprio lì. Alla fine della nostra intervista chiedo: avete un sogno? E Deck mi dice: “Sì, restare liberi. Liberi di fare la musica che amiamo. È quello che vogliamo”. Li saluto e li ringrazio per il tempo che abbiamo trascorso insieme. E Thomas mi dice: “Thank you, it was emotional”. Lo è stato anche per me, sì.

 

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