Primavera, recensione: Vivaldi, le orfane della Pietà e la musica come disobbedienza

Cinema
Paolo Nizza

Paolo Nizza

Ambientato nella Venezia del primo Settecento, Primavera, al cinema a Natale , segna l’esordio cinematografico di Damiano Michieletto ed è liberamente tratto dal romanzo Stabat Mater di Tiziano Scarpa. Con Tecla Insolia e Michele Riondino, il film racconta l’incontro tra una giovane violinista dell’Ospedale della Pietà e Antonio Vivaldi, trasformando la musica in un gesto di disobbedienza e libertà. Presentato in anteprima mondiale al Toronto International Film Festival e premiato in diversi festival internazionali

La musica come potere invisibile

C’è una parola che attraversa Primavera come un basso continuo, anche quando non viene mai pronunciata: potere. Potere economico, potere simbolico, potere sui corpi. Al suo esordio cinematografico, Damiano Michieletto evita con intelligenza la trappola del biopic celebrativo e firma invece un film che usa la musica come lente per osservare un sistema di controllo raffinato, elegante, ferocemente patriarcale. Un film storico che parla al presente senza mai ammiccare.

Ambientato nella Venezia dei primi del Settecento, Primavera è liberamente tratto dal romanzo Stabat Mater di Tiziano Scarpa (Premio Strega 2009) e ne conserva il nucleo più radicale: uno sguardo interno, femminile, claustrofobico, che trasforma la musica da ornamento a gesto politico. L’Ospedale della Pietà è insieme rifugio e prigione, luogo di formazione e di reclusione. Le orfane più dotate vengono educate alla musica e diventano un’orchestra leggendaria, ammirata in tutta Europa. Ma restano invisibili. Suonano dietro una grata, con il volto coperto. Il suono può circolare, i corpi no.

Cecilia, Vivaldi e il talento come investimento

Cecilia, interpretata da una straordinaria Tecla Insolia, è il cuore pulsante del film. Violinista prodigiosa, vive alla Pietà da sempre e conosce già il proprio destino: un matrimonio combinato, la fine della musica, la dissoluzione dell’identità. Quando viene promossa a primo violino, definisce se stessa un “investimento inutile”. In quella frase, pronunciata senza enfasi, si condensa l’intero senso di un’epoca: il talento femminile è tollerato solo finché produce valore per altri.

L’arrivo di Antonio Vivaldi, interpretato da Michele Riondino con una misura malinconica e mai enfatica, introduce una frattura. Il “prete rosso” è un uomo in cerca di riconoscimento, afflitto da difficoltà economiche, desideroso di lasciare un segno. Riconosce subito il talento di Cecilia e la spinge al centro dell’orchestra. Tra i due nasce un rapporto artistico intenso, fatto di stima, attrazione intellettuale e ambiguità. Primavera è chiarissimo nel non trasformare Vivaldi in un salvatore: non è un eroe, ma un catalizzatore. Questa non è la sua storia. È la storia di Cecilia.

Approfondimento

Primavera il film: musica a Palazzo Barberini

Rigore formale e cast in stato di grazia

Primavera è un’opera intrepida ma mai compiaciuta. Michieletto lavora per sfumature, per toni e mezzi toni, rifuggendo ogni forma di assoluto. Lo dichiara fin dall’inizio, con una scena apparentemente laterale — una nidiata di gattini destinata a una fine orribile — che non è affatto gratuita. È un’immagine di crudeltà e fragilità, di un destino non ancora scritto, che torna silenziosamente nell’economia della storia e nell’evoluzione di Cecilia.

A rendere così saldo l’equilibrio tra rigore formale ed emozione contribuisce in modo decisivo la sceneggiatura di Ludovica Rampoldi, da anni una delle voci più solide e intelligenti del cinema italiano. Il suo lavoro su Primavera evita ogni psicologismo didascalico e costruisce personaggi che vivono di silenzi, scarti, frasi trattenute. Una scrittura che conosce il peso della Storia ma non ne resta schiacciata, capace di far dialogare l’intimità dei corpi con la violenza dei sistemi. Non a caso Rampoldi ha recentemente debuttato anche alla regia con Breve storia d’amore, confermando una sensibilità autoriale attenta ai margini, alle relazioni asimmetriche, ai destini che cercano una forma possibile.

La messa in scena lavora per sottrazione e rigore. La cura e l’eleganza con cui Michieletto orchestra questa partitura cinematografica si percepiscono soprattutto da ciò che sceglie di evitare: nessun barocchismo decorativo, nessuna sensualità di corte esibita, nessuna erotizzazione gratuita dei corpi. Gli abiti e le parrucche del Settecento sono credibili, vissuti, mai feticizzati. Accanto alla centralità magnetica di Tecla Insolia e alla misura dolente di Michele Riondino, il film può contare su un cast corale in stato di grazia: Andrea Pennacchi, Fabrizia Sacchi, Hildegard De Stefano, Cosima Centurioni, Federica Girardello, Rebecca Antonaci, Chiara Sacco, con le partecipazioni di Valentina Bellé e di uno Stefano Accorsi volutamente crudele nel ruolo di Sanfermo.

Approfondimento

Primavera, il cast del film alla presentazione a Roma. FOTO

Rigore formale e cast in stato di grazia

Primavera è un’opera intrepida ma mai compiaciuta. Michieletto lavora per sfumature, per toni e mezzi toni, rifuggendo ogni forma di assoluto. Lo dichiara fin dall’inizio, con una scena apparentemente laterale — una nidiata di gattini — che non è affatto gratuita. È un’immagine di cura, fragilità e destino non ancora scritto, che torna silenziosamente nell’economia della storia e nell’evoluzione di Cecilia.

La messa in scena lavora per sottrazione e rigore. La cura e l’eleganza con cui Michieletto orchestra questa partitura cinematografica si percepiscono soprattutto da ciò che sceglie di evitare: nessun barocchismo decorativo, nessuna sensualità di corte esibita, nessuna erotizzazione gratuita dei corpi. Gli abiti e le parrucche del Settecento sono credibili, vissuti, mai feticizzati. Accanto alla centralità magnetica di Insolia e alla misura dolente di Riondino, il film può contare su un cast corale in stato di grazia: Andrea Pennacchi, Fabrizia Sacchi, Hildegard De Stefano, Cosima Centurioni, Federica Girardello, Rebecca Antonaci, Chiara Sacco, con le partecipazioni di Valentina Bellé e di uno Stefano Accorsi volutamente crudele nel ruolo di Sanfermo.

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Primavera,trailer film con Tecla Insolia e Michele Riondino

Scegliere invece di essere scelti

Il film eredita dal romanzo di Scarpa la tensione tra corpo e voce, tra disciplina e desiderio, trasformandola in immagini che parlano al presente più che alla ricostruzione storica. Primavera non chiede allo spettatore di ammirare il passato, ma di interrogarlo.

Ed è nel finale che trova la sua forma più limpida. Cecilia, finalmente, sceglie invece di essere scelta. Non è una fuga romantica né una vittoria consolatoria. È una presa di posizione. Quando sussurra: «Ho perso tutto, ma ho quello che mi serve. Sono libera di inventarmi la mia vita», non nega la perdita, ma riconosce un nuovo centro di gravità. La barca che galleggia nella laguna diventa una rosa dei venti dell’anima, mentre le didascalie riportano la Storia con il suo peso: Vivaldi, le orfane, l’oblio, la riscoperta. Poi parte l’Allegro della Primavera. E tutto trova senso.
Perché, come dice il Prete Rosso, la musica non serve a niente, ma può fare tutto.

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