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Venezia 2020, il bilancio a metà strada: è il Festival della sorpresa

Cinema

Giuseppe Pastore

Bilancio di metà concorso: tanti grandi ruoli femminili, grande incertezza sui favoriti al Leone d'Oro. L'Italia punta su Miss Marx, ma ha ancora due carte da giocarsi nei prossimi giorni

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Venezia 77 approda al giro di boa degli undici film in concorso (su venti totali) con un dibattito appassionante, incerto e aperto a ogni prospettiva e due ragionevoli certezze.

Il dibattito riguarda naturalmente il piatto forte dell'edizione, che poi è il piatto forte di ogni edizione: i pronostici sul Leone d'Oro vedono a buon diritto in corsa almeno quattro o cinque titoli diversi, senza un asso pigliatutto che però potrebbe ancora materializzarsi nella seconda settimana (Notturno? Anche se Rosi ha già vinto nel 2013...). E' forte la sensazione che alla fine a trionfare sarà una donna - dieci anni dopo Somewhere di Sofia Coppola, ultima regista a mettere le mani sul premio principale -, visto l'alto numero di candidate e un monumento alla femminilità come Cate Blanchett presidente di giuria: la pole position pare spettare di diritto a Quo Vadis, Aida? di Jazmila Zbanic, che ha l'intensità, la forza, gli argomenti e anche un pizzico di furbizia "da festival" per sbaragliare la concorrenza. Per questo motivo daremmo qualche chance in meno all'analogo Cari Compagni, troppo simile al film bosniaco per ambire al bersaglio grosso (ma Konchalovsky ha tutte le carte in regola per ambire al Premio per la regia). L'orgoglio da campanile ci porterebbe a puntare su Miss Marx di Susanna Nicchiarelli, con la britannica Romola Garai che sembra in vantaggio nell'affollatissima competizione per la Coppa Volpi come miglior attrice.

 

E' questa infatti la prima ragionevole certezza: l'edizione più femminile di sempre ha portato a una sovrabbondanza di splendidi ruoli femminili larger than life, alcuni dichiarati direttamente nel titolo dell'opera, da Aida a Laila passando per Miss Marx (e devono ancora arrivare Frances McDormand, e le sorelle Macaluso...) C'è chi come Jessica Kirby gioca addirittura su due tavoli, con i due personaggi antitetici e complementari di Pieces of a Woman e The World to Come. Una convenzione (o una convenienza) a cui si sono adeguati anche i registi maschi, concordi nell'omaggiare l'altra metà del cielo, con il risultato paradossale che il campo opposto - la Coppa Volpi alla miglior interpretazione maschile - è sguarnito come non mai (vengono in mente i soli Pierfrancesco Favino e  il piccolo e formidabile Mattia Garaci, rispettivamente padre e figlio in Padrenostro,): ci aspettiamo novità nei prossimi cinque giorni, magari da qualche film minore.

 

La seconda certezza, più ovvia e prevedibile, riguarda l'assoluta mancanza di riferimenti alla pandemia, al lockdown, al 2020, al mondo di oggi. Scontato: le riprese di tutti i film erano state già completate in inverno e da marzo in poi in molti Paesi è stato pressochè impossibile girare anche un solo fotogramma. Uscito ammaccato dalla tempesta del Covid-19, il cinema mondiale preferisce a caldo leccarsi le ferite e guardare al passato senza troppa nostalgia, nella consapevolezza che abbiamo superato momenti peggiori (Srebrenica, l'URSS di Kruscev, l'America rurale dell'Ottocento...). Va ricordato che il risultato è quasi ovunque buono o molto buono: forse siamo molto indulgenti o semplicemente fortunati, ma di insufficienze o vere bocciature non ne abbiamo viste, anche allargando il raggio alle altre sezioni. Al di là della bizzarria dell'indiano The Disciple o degli estetismi di Pieces of a Woman, un solo film sembra pienamente contemporaneo, seppur ancorato a schemi narrativi vecchi come il cinema: ma è difficile che il francese Amants, noir all'epoca degli smartphone, riesca a lasciare un segno molto profondo nella storia di questo Festival.

 

Un Festival che però sta sorprendendo, nelle reazioni a caldo degli addetti ai lavori e del pubblico che accetta di buon grado le gimcane tra transenne, posti di blocco, rilevatori di temperatura e prenotazioni online: l'assenza forzata dei grossi calibri (ad eccezione di Almodovar, presente però solo per mezz'ora, e fuori concorso) ha favorito la riscoperta di registi di valore ingiustamente relegati alla seconda fila o la possibile affermazione definitiva di chi ha colto l'occasione buona (un nome su tutti, Susanna Nicchiarelli). Insomma, a metà strada sembra proprio il Festival della sorpresa: un fattore che, in questi tempi cupi, risulta quanto mai essenziale per la sopravvivenza del cinema.

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