Shelby Oaks – Il Covo del Male, recensione del film horror tra found footage e demoni
CinemaDal 19 novembre al cinema con Midnight Factory, segna il debutto alla regia di Chris Stuckmann. Un horror psicologico che mescola found footage, folklore dell’Ohio, ghost towns abbandonate e il caso irrisolto della scomparsa di Riley Brennan, ricostruito dall’indagine ossessiva della sorella Mia. Nato da un crowdfunding record, il film costruisce un’angoscia crescente fino a un finale davvero perturbante
C’è un momento, all’inizio di Shelby Oaks – Il Covo del Male (al cinema dal 19 novembre), in cui non si capisce più dove finisca il film e dove cominci la paura. Lo schermo mostra un volto tremante, un respiro interrotto, e una voce spezzata che mormora: “Non mi sento al sicuro. È come se qualcuno mi stesse osservando. I suoi occhi che mi fissano. Ho tanta paura.”
Poi, come un taglio netto, arriva la voce fuoricampo: nel 2008 Riley Brennan, fondatrice del canale YouTube Paranormal Paranoids, è scomparsa senza lasciare traccia. È l’incontro tra panico privato e cronaca pubblica che definisce subito l’estetica dell’horror: frammentario, disturbante, perfettamente dentro la tradizione Midnight Factory.
Mia e Riley: un legame che sopravvive all’assenza
La protagonista è Mia, interpretata da una magnetica Camille Sullivan, volto scolpito da notti insonni e ossessioni che non concedono tregua. Da dodici anni cerca la sorella Riley (Sarah Durn), svanita mentre indagava con i Paranoids nel territorio maledetto di Shelby Oaks.
Le videocamere dei Paranoids sono state ritrovate: alcune rotte, altre piene di grida. Di Riley, nessuna traccia.
Perché Mia segue ancora quel filo?
Perché è convinta che sia viva. Non è fede: è una sensazione, una vibrazione, un legame che Stuckmann descrive ispirandosi all’istinto che vede nelle sue figlie gemelle. Le sorelle di Shelby Oaks non si cercano: si percepiscono.
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L’Ohio delle ghost town: un’America che ha dimenticato se stessa
Il film respira nelle ghost towns dell’Ohio, luogo in cui Stuckmann è cresciuto e che porta sullo schermo come una ferita aperta. Ci sono boschi immobili, chiese abbandonate, case in decomposizione, e soprattutto il parco divertimenti di Chippewa Lake, un cimitero di giostre arrugginite.
Un ottovolante coperto di edera sembra una cicatrice verticale nel verde.
È l’infanzia che marcisce.
La felicità che si ossida.
Il passato che non si lascia toccare.
Questa geografia emotiva è il vero volto del film.
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Shelby Oaks nasce da un progetto reale: una serie di video “alternate reality” che Stuckmann pubblicò su YouTube nel 2021. Il loro successo fu tale da generare speculazioni, teorie, forum di analisi e perfino utenti convinti della loro autenticità.
Nel film, quei frammenti diventano la spina dorsale del primo atto: un mockumentary inquietante, alimentato da materiali d’archivio, testimonianze, file corrotti, fotografie tremolanti.
Il montatore Brett W. Bachman – chiamato da Neon – ha persino ampliato questa parte perché troppo forte per essere sacrificata.
È il momento migliore del film: una mezz’ora che ti cattura senza pietà.
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Il passaggio al cinema classico: Tarion, l’incubo che osserva
Dopo la parte documentaria, Shelby Oaks cambia pelle e diventa un horror narrativo più classico, guidato da Mia. Appaiono figure chiave:
– il detenuto psicopatico Wilson Miles (Charlie Talbert)
– la madre dei rituali oscuri Norma (Robin Bartlett)
– i poliziotti disillusi, gli abitanti diffidenti
– e soprattutto Tarion, il demone cornuto interpretato da Derek Mears.
Tarion è l’incubo dipinto da Füssli: non ruggisce, non salta, non appare apertamente. Osserva. È un’ombra ai margini della stanza, un’idea più che un corpo.
Il suo obiettivo? Lo scopriremo solo vivendo e tremando di terrore.
Gli archetipi dell’horror: sorelle ferite, città maledette, infanzie spezzate
Stuckmann gioca con tutti gli archetipi dell’horror psicologico:
la ragazza scomparsa
la sorella che non si arrende
l’infanzia invasa da incubi
la città maledetta
il parco fatiscente
il carcere in rovina
simboli mefistofelici
riti osceni
un demone che non ha bisogno di apparire per farsi sentire
E lo fa rispettando la grammatica del genere, senza ironia, senza citazionismo gratuito.
Dietro l’horror: un’eco autobiografica
C’è dentro anche un’ombra autobiografica, mai invadente ma avvertibile.
Stuckmann ha parlato pubblicamente del suo passato in una fede rigida, dove certe separazioni familiari non sono fisiche ma emotive.
Quell’esperienza non entra nel film come confessione, ma come eco:
il legame interrotto, l’assenza che pesa, il desiderio di ritrovare qualcuno che forse non può più tornare.
È una vibrazione sotterranea che dà a Shelby Oaks una malinconia autentica.
Se fosse un cocktail (Midnight Factory Edition)
Se Shelby Oaks fosse un cocktail, sarebbe un Midnight Black Boulevardier: oscuro, aromatico, pericolosamente seducente.
Un drink da bere solo nei bar con luci troppo basse.
Ricetta:
3 cl di whisky di segale
3 cl Vermouth rosso scuro
2 cl amaro alle erbe nere
1 cl Mezcal scottato al bicchiere
ghiaccio grande
scorza d'arancia bruciata
un velo di cacao amaro
Profuma di legno marcio, erbe scure e caramello fumé.
È il cocktail perfetto: un sorso scalda, uno inquieta, uno ti chiede se davvero vuoi andare avanti.
Un caso Kickstarter diventato mito
Il film nasce da una campagna epica:
1,39 milioni di dollari raccolti su Kickstarter — record assoluto per un horror.
14.720 sostenitori.
Un fenomeno.
Dopo la première al Fantasia Film Festival 2024, Neon ha finanziato nuovi reshoot e un re-edit, spingendo il film verso una nuova vita.
Shelby Oaks inquieta
In Shelby Oaks – Il Covo del Male alberga qualche intuizione che non funziona completamente Ma è sincero. Ipnotico. Dolente, Autentico nella sua imperfezione. E soprattutto inquieta.
Ti rimane addosso come un sussurro che non riesci più a toglierti dalla testa:
“Non mi sento al sicuro.”
E forse, per un horror, non esiste complimento più grande.