Un viaggio per incontrare Mimì, recensione del ritorno di Giannini nel cuore della Sicilia

Cinema
Paolo Nizza

Paolo Nizza

Nel documentario diretto da Alfredo Lo Piero, Giancarlo Giannini ripercorre mezzo secolo dopo i luoghi che segnarono la nascita del suo Mimì in Mimì metallurgico ferito nell’onore. Un itinerario tra Palermo, Corleone, il Belice e Catania che diventa omaggio a Lina Wertmüller e riflessione sulla Sicilia come teatro di passioni, contraddizioni e memoria collettiva. Al cinema dal 29 settembre

Una vettura nera, targata Catania,  scivola lungo le strade di Sicilia, tra scorci assolati e memorie sospese. A bordo c’è Giancarlo Giannini, pronto a ritrovare il suo Mimì, mezzo secolo dopo l’opera di Lina Wertmüller che lo rese icona del nostro cinema.

Un viaggio per incontrare Mimì, diretto da Alfredo Lo Piero e in uscita il 29 settembre 2025, è un documentario che si muove tra memoria e presente, raccontando un viaggio che è anche un atto d’amore.

Sicilia, chiave di tutto

“L’Italia senza la Sicilia non lascia alcuna immagine nello spirito; qui è la chiave di tutto”, scriveva Goethe. È la frase che sembra accompagnare Giannini in questo nuovo pellegrinaggio cinematografico.

Allora, giovane attore, studiava sul campo: fotografava volti, scrutava gesti, osservava persino i diversi modi di tenere una sigaretta. Con Turi Ferro, maestro di dialetto catanese, imparava a parlare senza proferire parola, perché in Sicilia anche il silenzio è lingua. Oggi ripercorre le stesse strade con la consapevolezza di aver lasciato un segno indelebile nella storia del cinema.

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L’omaggio a Lina Wertmüller

Il film è un atto d’amore verso Lina Wertmüller, la prima donna candidata all’Oscar come regista . Alfredo Lo Piero, che l’aveva conosciuta e accolta nella sua scuola di cinema a Catania, lo descrive come una promessa mantenuta.

E proprio le parole della regista  concludono il documentario: “Amare è essere impegnati, è lavorare, è avere interessi. Amare è creare”. Una dichiarazione che diventa la chiave di lettura dell’intero progetto.

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I luoghi della memoria

Il viaggio attraversa Palermo, Corleone, Poggioreale, Agrigento, Catania.  Si passa per il Palazzo Reale della Ficuzza, costruito da Ferdinando III di Borbone, e per le strade di Corleone, tra richiami a San Leoluca e tavolate in cui si canta “Vitti na crozza”. C’è la memoria del terremoto del Belice, con epicentro a Gibellina: le macerie diventate museo a cielo aperto grazie al Cretto di Burri, con i nomi di Sciascia e Guttuso a vegliare sul paesaggio, e l’Etna sullo sfondo. A Catania, Via Crociferi riemerge come palinsesto cinematografico: qui Mimì corteggiava la moglie del brigadiere, ma è anche la via percorsa da Giannini in Paolo il caldo e ne I Viceré. Il percorso si chiude alla Torre di Longina, tra suggestione e rito. Ed è proprio a Catania che avviene uno degli incontri più emozionanti del docufilm: quello con Tuccio Musumeci, che in Mimì metallurgico era l’amico Pasquale. Cinquant’anni dopo, Giannini e Musumeci si ritrovano davanti alla macchina da presa, come se il tempo non fosse mai trascorso.

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Un docufilm tra cronaca e sogno

Il montaggio di Antonio Todaro intreccia il presente con il passato, alternando le riprese di oggi, gli spezzoni del film originale e gli archivi d’epoca.

La fotografia di Giuseppe Di Blasi restituisce la luce tagliente della Sicilia, mentre le musiche di Salvo Legname, intrise di echi morriconiani, trasformano il racconto in una ballata sospesa.

Non è solo un documentario, ma una lectio magistralis di recitazione. Giannini ricorda i suoi tre mesi di apprendistato in Sicilia: un viaggio notturno con cartina alla mano, l’immersione nei dialetti, i gesti rubati ai passanti. Oggi rivive quell’esperienza, offrendo agli spettatori un esempio di dedizione attoriale.

Il sipario della memoria

Alla fine del viaggio restano il rumore delle onde, l’odore della polvere, il canto di una voce lontana. Un viaggio per incontrare Mimì non si chiude, si dissolve: come una sigaretta fumata piano, lascia nell’aria un velo che non si disperde. Giannini, con la sua presenza discreta e intensa, consegna Mimì al futuro: non come ricordo, ma come promessa, come ferita che ancora brucia, come un volto che ci guarda da dietro il sipario della memoria.

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